Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12016 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 19/06/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 19/06/2020), n.12016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29695-2014 proposto da:

ITALIANA RESINE SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO

POMA 2, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE SANTE ASSENNATO,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI RENNA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta difende;

– controricorrente –

avverso sentenza n. 159/09/2014 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. al

LECCE, depositata il 20/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/02/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO MONDINI.

Fatto

PREMESSO

che:

1. la controversia che occupa verte sulla qualificazione del verbale della assemblea dei soci della società Italiana Resine srl, in data (OMISSIS), in relazione alla cui mancata registrazione, l’Agenzia delle entrate ha emesso avviso di liquidazione al D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 9, parte prima, della tariffa allegata. Nel verbale si legge che “i soci deliberano di finanziare la società mediante un apporto personale infruttifero proporzionato alla quota posseduta da ciascun socio secondo le esigenze della società”. Per l’Agenzia delle entrate, è così formalizzato un contratto di finanziamento, assimilabile ad un mutuo, tra soci e società. Da ciò l’obbligo di registrazione con il pagamento della imposta nella misura del 3% sulla somma di Euro 200.000 che, in occasione di una verifica ispettiva effettuata nel 2015, l’Agenzia aveva appurato essere stata versata dai soci alla società ed essere stata annotata nelle scritture contabili come per “acquisto locali”. Per la società, invece, il verbale è un atto interno nel quale è formalizzato l’impegno dei soci ad un successivo (“futuro”) apporto di capitale di rischio, come dimostrato da più elementi e precisamente dal termine “apporto” (diverso dal termine “prestito”), dalla mancata indicazione dell’entità (“la cifra”), dalla indicazione per cui l’apporto sarebbe stato proporzionato alla quota di ogni socio nel capitale sociale, dal carattere infruttifero dell’apporto. Da tutto ciò, quindi, l’insussistenza di obbligo di registrazione del verbale e di versamento dell’imposta e, quindi, l’illegittimità dell’avviso di liquidazione;

2. la commissione tributaria regionale della Puglia, con sentenza in data 20 gennaio 2014, n. 159, in riforma della sentenza di primo grado, ha avallato la tesi del fisco sul rilievo, ritenuto decisivo, che “a circa tre anni di distanza dal momento della adozione delle delibera societaria di cui qui tratta (e cioè al momento della verifica ispettiva in occasione della quale la delibera è stata rilevata), la società aveva ancora nella propria disponibilità (almeno) contabile il versamento eseguito dai soci… non essendo stato detto “apporto” ancora trasformato in aumento di capitale”;

3. la contribuente ricorre per la cassazione della suddetta sentenza sulla base di tre motivi;

4. 1’Agenzia delle entrate ha depositato controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso, la società lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 12 disp. prel. c.c., art. 1362 c.c., art. 2697 c.c., nonchè del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 4,5,9,20,22 e 46, per avere il giudice di appello erroneamente qualificato il verbale della delibera dell’assemblea dei soci come espressivo di un contratto di mutuo, senza considerare gli elementi – sopra già ricordati – che, in base ad una corretta applicazione delle regole d’interpretazione degli atti, avrebbero dovuto indurre a ritenere che il verbale contenesse solo un impegno ad un successivo apporto al capitale di rischio;

2. con il secondo motivo di ricorso, la società lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di due circostanze di fatto. L’una, oggetto di discussione e decisiva nel senso di escludere la tassazione, costituita dalla assenza, nel verbale, dell’indicazione dell’entità dell’apporto. L’altra, parimenti discussa, decisiva nel senso di escludere il contratto di finanziamento, costituita da ciò che nel verbale non era previsto alcun obbligo di restituzione ed era previsto invece che l’apporto sarebbe stato proporzionato alla quota posseduta da ciascun socio;

3. con il terzo motivo di ricorso, la società lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per motivazione “incongrua, carente o apparente”. Deduce la società che la motivazione, esaurendosi nel richiamo alla sentenza di questa Corte n. 2455/2007 (secondo cui “In tema di imposta di registro, intanto può procedersi alla tassazione del conferimento in denaro dei soci in quanto lo stesso sia irrevocabilmente destinato ad essere acquisito al patrimonio della società sia trasformandosi in capitale sociale, in caso di delibera in tal senso, sia rimanendo a costituire un apporto economico liberamente disponibile per i fini sociali, in quanto solo in tale caso si giustifica l’immediata esazione essendosi già irrevocabilmente verificato il fenomeno economico che la giustifica. Quando, invece, l’apporto di denaro è provvisorio ed incerto quanto alla sua destinazione finale perchè la sua stabilità è condizionata al prospettato ma non certo aumento di capitale e nessuna variazione del patrimonio della società può dirsi intervenuta, in quanto l’aumento della disponibilità finanziaria è bilanciato dal debito per la restituzione, non può ritenersi ancora stabilizzata quella situazione di aumento di ricchezza disponibile che giustifica la sottoposizione all’imposta”) e nella affermazione per cui “a circa tre anni di distanza dal momento della adozione delle delibera societaria di cui qui tratta (e cioè al momento della verifica ispettiva in occasione della quale la delibera è stata rilevata), la società aveva ancora nella propria disponibilità (almeno) contabile il versamento eseguito dai soci… non essendo stato detto “apporto” ancora trasformato in aumento di capitale”, non era idonea a dare conto della ritenuta legittimità dell’avviso;

4. i motivi di ricorso possono essere esaminati in modo congiunto in quanto connessi. Nel verbale di cui trattasi era scritto che “i soci deliberano di finanziare la società mediante un apporto personale infruttifero proporzionato alla quota posseduta da ciascun socio secondo le esigenze della società”. E’ incontroverso che la delibera è stata attuata con un versamento di Euro 200.000,00; come si desume dalla sentenza (“a circa tre anni di distanza dal momento della adozione delle delibera societaria di cui qui tratta… la società aveva ancora nella propria disponibilità (almeno) contabile il versamento eseguito dai soci”), il versamento è stato contestuale alla delibera. E’ incontroverso che il versamento è stato registrato nelle scritture contabili con la specificazione, conforme allo scopo perseguito, di “(versamento per) acquisto locali”. La commissione ha fatto richiamo alla sentenza di questa Corte n. 24555/2017 e sul rilievo che, a distanza di tempo dal versamento, non era stato deliberato alcun aumento di capitale, ha concluso doversi intendere che il versamento era stato effettuato a titolo di mutuo ed era stato quindi legittimamente tassato ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 9, della tariffa, parte prima, allegata. Tanto premesso, il ricorso risulta essere fondato nei limiti delle considerazioni che seguono. La conclusione cui sono pervenuti i giudici d’appello è effettivamente non sostenuta da motivazione logica. La prolungata disponibilità contabile della somma non consente di risalire al titolo giuridico in forza del quale la somma è stata acquisita dalla società stessa. Il fatto che l’erogazione non sia stata correlata ad un aumento di capitale non consente di assumere che l’erogazione sia avvenuta a titolo di mutuo. L’erogazione di una somma da parte dei soci può infatti avvenire a titolo di mutuo (con conseguente soggezione ad imposta proporzionale di registro) o in conto di futuro aumento di capitale o in conto capitale e cioè come apporto al patrimonio (con conseguente soggezione ad imposta di registro ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 4, tariffa parte prima, allegata). Dacchè l’illogicità della motivazione. Aggiungasi che l’espressa esclusione di interessi e la mancata previsione di un termine per il rimborso dell’erogazione sono elementi i quali, a fronte della normale fruttuosità (art. 1815 c.c.), e dell’altrettanto normale previsione della durata del mutuo, non inducono a qualificare il finanziamento in termini di mutuo. La commissione avrebbe dovuto ricostruire il senso della verbalizzazione in base ai criteri di interpretazione, letterale e logico-sistematico, evocati dalla ricorrente, dettati dal codice civile in tema di contratti ed applicabili, come questa Corte ha in più occasioni sottolineato -v., ad esempio, in motivazione, Cass. 15035/2018; 23599/2006; 2314/1996-, anche per la ricerca della reale intenzione dei soggetti (socio e società) di una delibera assembleare. Nell’ottica di un’interpretazione doverosamente conforme al criterio di cui all’art. 1362 c.c., comma 2, la commissione avrebbe dovuto tra l’altro valutare il fatto che l’apporto dato dai soci è stato annotato nelle scritture contabili della società come finalizzato ad “acquisto locali”. La Corte ha infatti affermato che “L’erogazione di somme che, a vario titolo, i soci effettuano alle società da loro partecipate, può avvenire a titolo di mutuo oppure di apporto del socio al patrimonio della società. La qualificazione, nell’uno o nell’altro senso, dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti e la relativa prova deve trarsi dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi, dovendosi, inoltre, avere riguardo, in mancanza di una chiara manifestazione di volontà, alla qualificazione che i versamenti hanno ricevuto nel bilancio, da reputarsi determinante per stabilire se si tratti di finanziamento o di conferimento, in considerazione della soggezione del bilancio all’approvazione dei soci” (Cass. n. 7471 del 23/03/2017; conf. Cass. 15035/2018);

5. il ricorso deve essere quindi accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa deve essere rinviata alla commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, perchè la stessa proceda, di nuovo, alla ricostruzione della reale volontà delle parti e quindi alla qualificazione del versamento erogato dai soci alla società ricorrente;

6. il giudice del rinvio dovrà decidere anche delle spese.

P.Q.M.

la corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese alla commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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