Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12013 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. I, 06/05/2021, (ud. 22/03/2021, dep. 06/05/2021), n.12013

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13315/2019 proposto da:

D.M., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour,

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e

difesa dall’Avvocato Carlo Benini, giusta procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Bologna depositato il 1/4/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/3/2021 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Bologna, con decreto del 1 aprile 2019, rigettava il ricorso proposto da D.M., cittadino della Guinea, avverso il provvedimento emesso dalla locale commissione territoriale di diniego di riconoscimento della protezione internazionale.

Il Tribunale, ritenute non credibili le dichiarazioni del migrante (il quale aveva raccontato di essersi allontanato dal paese di origine per sfuggire ai propositi di vendetta dei parenti di una ragazza con cui aveva avuto una relazione sentimentale e che era rimasta incinta), escludeva di conseguenza che a quest’ultimo potesse essere riconosciuta la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

In presenza di una situazione che, seppur seria, non concretava uno stato di violenza indiscriminata, non era possibile neppure riconoscere la protezione sussidiaria in applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Infine, la scarsa credibilità del migrante induceva a ritenere non dimostrata l’esistenza di particolari profili di vulnerabilità che consentissero il riconoscimento della protezione umanitaria, tenuto conto peraltro dell’insufficienza degli elementi addotti a evidenziare un radicamento in Italia.

2. Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso D.M. prospettando tre motivi di doglianza.

Il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini di cui all’art. 370 c.p.c., al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, perchè il Tribunale non ha applicato il principio dell’onere probatorio attenuato nè ha valutato la credibilità del richiedente asilo alla luce dei parametri normativi previsti a questo riguardo.

In particolare, i giudici di merito si sarebbero limitati a considerare nel complesso non credibile il racconto del migrante, malgrado lo stesso fosse lineare, coerente e dettagliato, ed avevano omesso di valutare, come impone la disciplina in materia, la tempestività della domanda, la completezza delle informazioni disponibili, l’assenza di strumentalità delle dichiarazioni e la loro tendenziale plausibilità.

4. Il motivo è inammissibile.

La valutazione di affidabilità del dichiarante è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici indicati all’interno del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, oltre che di criteri generali di ordine presuntivo idonei a illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese (Cass. 20580/2019).

La norma in parola obbliga in particolare il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto a un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche a una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (Cass. 21142/2019).

Il giudice di merito si è ispirato a questi criteri laddove, all’esito dell’esame delle dichiarazioni rese dal migrante anche in sede giudiziale, ha rilevato – come previsto dall’art. 3, comma 5, lett. c, appena citato – che il racconto offerto dal richiedente asilo non era stato adeguatamente circostanziato, essendo privo di dettagli in più punti, non risultava plausibile sotto il profilo della credibilità razionale della concreta vicenda narrata, anche alla luce delle informazioni disponibili sulla società guineana, ed appariva contraddittorio.

Una volta constatato come la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo sia il risultato di una decisione compiuta alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è sufficiente aggiungere che la stessa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile in questa sede solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.

Si deve, invece, escludere l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, nel senso proposto in ricorso, trattandosi di censura attinente al merito; censure di questo tipo si riducono, infatti, all’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che però è estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce invece alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 3340/2019).

5. Il secondo mezzo lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), perchè il Tribunale, oltre a trascurare il danno grave che il richiedente asilo avrebbe corso in caso di rimpatrio a causa dei propositi di vendetta della famiglia della fidanzata, non ha riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del richiedente asilo derivante da una situazione di violenza indiscriminata.

A questo riguardo si dovevano valorizzare, all’esito di una compiuta indagine officiosa, anche il sistema di vendette private, l’aumento della delinquenza comune e organizzata e il costante rischio di manifestazioni violente esistenti in Guinea.

6. Il motivo è inammissibile.

Il racconto del migrante, una volta ritenuto non credibile dal giudice di merito, non assumeva alcun rilievo ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria.

La giurisprudenza di questa Corte è poi ferma nel ritenere che “ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria; il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 18306/2019).

Non assumono invece alcuna rilevanza situazioni (quali il sistema di vendette private, l’aumento della delinquenza comune e organizzata e il costante rischio di manifestazioni violente addotte nel motivo in esame), che, per la loro intrinseca diversità dalla condizione tipizzata dalla norma, non sono ad essa riconducibili, dato che il rischio di danno grave cui si riferisce del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è esclusivamente quello che deriva dalla violenza indiscriminata nella situazione di conflitto armato in corso nello Stato di provenienza (Cass. 14350/2020).

7. Il terzo motivo di ricorso si duole della violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e art. 5 T.U.I. perchè il Tribunale – a dire del ricorrente – ha escluso il riconoscimento della protezione umanitaria senza valutare correttamente, all’esito di un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, la sussistenza di seri motivi che militavano invece per l’accoglimento.

In particolare, il giudice di merito avrebbe erroneamente trascurato di valorizzare le ragioni che avevano indotto lo straniero ad abbandonare il proprio paese di origine, anche sotto il profilo della violazione o dell’impedimento dei diritti umani inalienabili, e il buon grado di integrazione raggiunto tramite il percorso intrapreso e l’attività lavorativa che il migrante stava svolgendo.

8. Il motivo è inammissibile.

Il Tribunale, all’esito del giudizio di non credibilità, ha ritenuto, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, da una parte che non fosse ravvisabile alcuna condizione seria e grave di vulnerabilità da tutelare, dall’altra che lo svolgimento di attività lavorativa per brevissimi periodi a tempo determinato, corsi di studio della lingua italiana e attività di volontariato non consentisse di evidenziare un radicamento del migrante sul territorio.

A fronte di questi accertamenti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017).

9. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

La costituzione dell’amministrazione intimata al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c., ed al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non celebrata, esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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