Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12009 del 16/05/2017

Cassazione civile, sez. III, 16/05/2017, (ud. 24/02/2017, dep.16/05/2017),  n. 12009

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3740/2014 proposto da:

R.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO

TRIESTE 173, presso lo studio dell’avvocato TEODORA MARCHESE,

rappresentato e difeso dall’avvocato CAMILLO COLAIOCCO giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA (OMISSIS);

– intimata –

nonchè da:

AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA BOLOGNA POLICLINICO S ORSOLA

MALPIGHI, in persona del legale rappresentante pro tempore Direttore

Generale Dott. V.S., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA FABIO MASSIMO 60, presso lo studio dell’avvocato ENRICO CAROLI,

rappresentata e difesa dall’avvocato FEDERICO POSTIGLIONI giusta

procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 921/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 19/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/02/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. R.A. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Bologna, l’Azienda ospedaliera universitaria di (OMISSIS), chiedendo fosse condannata a risarcirgli tutti i danni derivati da un’errata manovra chirurgica eseguita presso l’ospedale in data (OMISSIS).

A sostegno della domanda espose di aver subito, in data (OMISSIS), un intervento di trapianto di rene da cadavere e che, dopo aver avuto un iniziale miglioramento delle condizioni generali, si erano presentate successivamente numerose complicazioni che avevano reso necessari due ulteriori interventi chirurgici di revisione. In particolare, dopo l’esecuzione del terzo intervento (26 gennaio 1998) era emerso che il secondo non era stato eseguito a regola d’arte; di qui la necessità di numerose trasfusioni (trentaquattro), con conseguente insorgenza di epatite C collegabile con la presenza di emoderivati infetti.

Si costituì in giudizio l’Azienda convenuta, chiedendo il rigetto della domanda.

Espletata una c.t.u. con richiamo del consulente per ulteriori chiarimenti, il Tribunale accolse in parte la domanda e condannò l’Azienda ospedaliera al risarcimento dei danni conseguenti all’errore chirurgico, liquidati nella somma di Euro 28.012, oltre interessi; escluse, però, che il trapianto di rene fosse fallito per quell’errore, così come escluse che l’epatite C fosse da ricollegare causalmente alle trasfusioni avvenute presso l’ospedale; condannò poi la convenuta al pagamento delle spese di lite.

2. La pronuncia è stata impugnata dall’attore e la Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 19 giugno 2013, ha rigettato il gravame, compensando integralmente le spese del giudizio di secondo grado.

2.1. Ha osservato la Corte territoriale che l’appellante aveva lamentato soltanto in sede di comparsa conclusionale il fatto che fosse stata interrotta dai medici la terapia finalizzata ad evitare il rigetto del trapianto e che fosse stata interrotta la dialisi tra il (OMISSIS). Tale circostanza costituiva una mutatio libelli che ne rendeva inammissibile l’esame, trattandosi di una nuova causa petendi diversa da quella originaria, posto che il R. aveva introdotto la causa lamentando un errore chirurgico commesso nell’intervento del (OMISSIS). Tale mutamento era conseguente, con ogni probabilità, alla circostanza che il c.t.u., nel depositare il proprio elaborato, aveva ricondotto il successivo espianto del rene non ad un difetto di perfusione (collegabile all’errore suddetto), bensì ad una reazione di rigetto di natura immunologica; ciò determinava la novità della questione ai sensi dell’art. 345 codice di rito. D’altra parte, il c.t.u. aveva esaminato tutta la documentazione esistente, ivi compresi i reperti, per cui la richiesta del R. di ottenere che il c.t.u. controllasse anche i reperti istologici dai quali era derivata la diagnosi di rigetto del trapianto costituiva un evidente uso improprio dello strumento della consulenza tecnica.

2.2. Passando alla questione del contagio da epatite C, la Corte bolognese ha ribadito la decisione del Tribunale circa l’impossibilità di ritenere dimostrato il collegamento tra le trentaquattro trasfusioni e l’insorgere della malattia. Ed infatti, subito dopo i trattamenti presso l’ospedale di (OMISSIS), il R. aveva subito numerose dialisi presso altre strutture (tra cui l’ospedale di (OMISSIS)), per cui, in presenza di molteplici possibili fonti di contagio, non era possibile considerare dimostrato il collegamento causale tra le trasfusioni e l’epatite virale. Sul punto, la sentenza ha anche specificato che non era esatto che uno dei donatori era stato coinvolto in una segnalazione di epatite post-trasfusionale; si trattava, infatti, di una vicenda relativa all’anno (OMISSIS), per cui l’informativa del 24 maggio 1999 giustamente non era stata tenuta in considerazione, posto che i parametri di quel donatore (abituale) erano poi sempre risultati nella norma.

2.3. Quanto, infine, alla sentenza della Corte d’appello di L’Aquila con cui era stata riconosciuta al R. l’indennità di cui alla L. 25 febbraio 1992, n. 210, la Corte bolognese ha osservato che quel precedente non era da ritenere vincolante e che, comunque, la motivazione di quella sentenza non superava il dubbio circa la presenza di molteplici possibili cause di infezione.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Bologna propone ricorso R.A. con atto affidato a tre motivi.

Resiste l’Azienda ospedaliera universitaria di (OMISSIS) con controricorso contenente ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5), errata valutazione della mutatio libelli ai sensi dell’art. 345 c.p.c., oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alle contestazioni mosse alla c.t.u. ed alla richiesta di rinnovo della medesima.

2. Con il secondo motivo del ricorso principale si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla corretta valutazione delle prove documentali, nella specie la cartella clinica in atti.

3. Con il terzo motivo del ricorso principale si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5), omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla corretta valutazione della sentenza pronunciata dalla Corte d’appello di L’Aquila n. 1570 del 2008.

4. La trattazione dei tre motivi viene presentata unitariamente.

Si osserva, in ordine al profilo della mutatio libelli, che la domanda non aveva subito mutamenti, perchè era rivolta ad accertare l’errore chirurgico commesso e le conseguenze dannose che ne sono derivate. Dal richiamo al contenuto della cartella clinica, atto amministrativo non contestato da controparte, nonchè dai quesiti posti al c.t.u. emergerebbe che la responsabilità per l’omissione di terapia era oggetto della domanda. D’altra parte, l’errore chirurgico accertato dal Tribunale, con conseguente emorragia per recisione di un’arteria, aveva reso necessarie le trasfusioni ed aveva in tal modo determinato il contagio da epatite C, da ritenere dimostrato in base alla regola probatoria del più probabile che non. La sentenza impugnata avrebbe, pertanto, erroneamente interpretato il materiale probatorio esistente, non considerando che dall’accertato errore erano dipese le successive conseguenze dannose. Nel giudizio reso dalla Corte d’appello di L’Aquila, inoltre, il c.t.u. era giunto alla conclusione per cui era da ritenere probabile che il contagio fosse avvenuto proprio a seguito della trasfusioni subite a (OMISSIS).

5. Osserva il Collegio che la tecnica di redazione del ricorso, come si è detto, non consente un’esatta separazione delle censure le une dalle altre; tuttavia neppure è possibile una trattazione unitaria, posto che le doglianze, benchè tenute insieme da un comune filo conduttore, sono tra loro diverse.

Si procederà, quindi, seguendo l’ordine logico delle questioni.

6. Il primo punto da affrontare riguarda la presunta errata applicazione, da parte della Corte d’appello, del principio del divieto di mutatio libelli ai sensi dell’art. 345 c.p.c., questione dalla quale la sentenza in esame ha tratto la conclusione dell’inammissibilità della relativa domanda.

6.1. Tale doglianza non è fondata.

Risulta dallo stesso tenore del ricorso (v. pp. 7 e 32) che nel giudizio di primo grado la domanda risarcitoria fu proposta in relazione alla “errata manovra chirurgica”, peraltro dall’attore genericamente ricondotta agli “interventi chirurgici effettuati presso l’Ospedale (OMISSIS) dal (OMISSIS)”. Si apprende dal resto del ricorso che gli interventi chirurgici furono tre e la sentenza impugnata rileva (p. 4) che la causa fu introdotta specificamente in relazione all’intervento del (OMISSIS) nel corso del quale si verificò l’errore che è stato riconosciuto già dal Tribunale e che ha condotto ad una condanna che, sul punto, non è più in discussione.

Tuttavia la sentenza in esame ha rilevato, con un percorso logico che non è stato, in effetti, contestato, che solo a seguito del deposito della relazione del c.t.u. – il quale era pervenuto all’affermazione che il successivo espianto del rene non era dipeso “da un difetto di perfusione dell’organo trapiantato, bensì da una reazione di rigetto di natura immunologica” – l’attore in comparsa conclusionale allegò la circostanza della sospensione di determinate terapie farmacologiche e della dialisi nel periodo che va dal (OMISSIS), cioè subito prima e subito dopo l’intervento per il quale è stata accertata la responsabilità dei sanitari.

Ora, è vero che chiedere il risarcimento “dei danni fisici, morali, esistenziali, patrimoniali e non patrimoniali subiti” (così le conclusioni riportate nel ricorso a p. 7) significa, ragionando in astratto, richiamare ogni possibile errore professionale dei sanitari. E’ altrettanto vero, però, che allegare una ragione di colpa consistente nell’interruzione o nell’omissione di terapie è circostanza ben diversa dall’allegazione di un errore chirurgico; in questo modo non ci si limita ad una semplice osservazione critica alla c.t.u., bensì si introduce una nuova causa petendi che avrebbe richiesto altri accertamenti in fatto, da compiere in contraddittorio con la controparte.

E’ appena il caso di aggiungere, poi, che non è sostenibile, come pretende la difesa del ricorrente, che il richiamo fatto alla cartella clinica potesse far ritenere implicitamente formulata la domanda di risarcimento dei danni per sospensione o omissione di attività terapeutica.

Da ciò consegue che la prima doglianza non è fondata, poichè la Corte d’appello correttamente ha ritenuto che la questione fosse nuova e, come tale, inammissibile.

7. Il ricorso lamenta anche, peraltro in maniera alquanto confusa, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alle contestazioni mosse alla c.t.u., alla richiesta di rinnovo della medesima ed alla corretta valutazione delle prove documentali, nella specie la cartella clinica in atti.

Tale parte della censura è inammissibile per due concorrenti ragioni.

Se con essa si intende contestare, come potrebbe apparire leggendo le pp. 31-33 del ricorso, la mancata valutazione del preteso errore terapeutico consistente nella sospensione di determinate terapie farmacologiche e della dialisi, la doglianza è inammissibile per le ragioni appena indicate nel precedente punto 6.1., trattandosi di questione tardivamente posta in primo grado e correttamente ritenuta inammissibile.

Se, viceversa, la doglianza si risolve, come sembrerebbe dalla lettura delle pp. 33-35 del ricorso, in una censura all’operato del c.t.u. il quale sarebbe pervenuto a conclusioni errate, poi recepite dalla Corte di merito, si tratta ugualmente di una censura inammissibile, in quanto la valutazione sull’operato del c.t.u. e sull’attendibilità delle conclusioni da lui raggiunte costituisce un tipico apprezzamento spettante al giudice di merito e non più sindacabile in sede di legittimità.

8. Rimane, a questo punto, l’ultima doglianza, con la quale si contesta che la Corte bolognese avrebbe ritenuto ininfluente la pronuncia della Corte d’appello di L’Aquila che ha riconosciuto che il R. aveva diritto all’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992, per aver contratto il virus HCV in conseguenza delle trasfusione ricevute durante la degenza presso l’Ospedale (OMISSIS). Tale sentenza, nella tesi del ricorrente, costituirebbe prova insuperabile dell’esistenza del nesso di causalità tra le trasfusioni e il contagio, negato invece dalla pronuncia oggi impugnata.

8.1. La doglianza è infondata per le seguenti ragioni.

Va innanzitutto osservato che non sussiste, nella specie, un giudicato vincolante tra le parti, posto che la sentenza n. 1570 del 2008 della Corte abruzzese è stata emessa in un giudizio tra l’odierno ricorrente ed il Ministero della salute. Il giudicato, per poter assumere la sua portata vincolante, presuppone l’identità delle parti (art. 2909 c.c.) che, nella specie, manca; e di tanto mostra di essere consapevole anche il R. il quale non indica, nella censura di violazione di legge contenuta alla p. 37 del ricorso, le norme sul giudicato.

Esclusa, pertanto, l’esistenza di una pronuncia che faccia stato “a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”, la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila costituisce un precedente che la Corte bolognese era evidentemente tenuta a valutare, posto che essa contiene un sicuro indizio a favore della tesi del ricorrente. Tale valutazione però, è bene ribadirlo, era libera, non sussistendo alcun vincolo di giudicato. La Corte bolognese era quindi chiamata a stabilire, alla stregua del principio causale del più probabile che non, se il virus HCV contratto dal R. fosse o meno da considerare causalmente dipendente dalle trasfusioni di sangue alle quali egli era stato sottoposto presso l’ospedale di (OMISSIS).

L’accertamento della sussistenza del nesso causale secondo la regola ora indicata presuppone che, se un evento ha una determinata probabilità di essere causa di un altro e non vi sono possibilità alternative, il giudice di merito è tenuto a considerare come sussistente quel nesso; se, invece, sussistono due o più diverse possibili cause dell’evento, il giudice di merito è tenuto a valutarle e a confrontarle, decidendo quale risulti, appunto, la più probabile.

Osserva questa Corte che la Corte d’appello di (OMISSIS) ha fatto, nella specie, buon governo di questi principi. Posta di fronte all’alternativa per cui il R. poteva aver contratto il virus HCV presso l’Ospedale (OMISSIS) ovvero presso l’Ospedale di (OMISSIS) dove era stato lungamente sottoposto al trattamento di dialisi, la Corte di Bologna ha valutato le due possibilità ed ha stabilito che non potesse ritenersi dimostrato che la contrazione del virus fosse in collegamento causale con le trasfusioni ricevute a (OMISSIS). A tale conclusione la Corte è giunta valutando le prove a sua disposizione, fra le quali la menzionata sentenza della Corte d’appello di L’Aquila, esaminando la c.t.o. e considerando non significativo il coinvolgimento di uno dei donatori del sangue trasfuso a (OMISSIS) in una vicenda di epatite post-trasfusionale, circostanza ritenuta irrilevante per una serie di ragioni. E’ palese che questo è un giudizio di merito nel quale non sono ravvisabili omissioni e che, siccome compiuto alla luce di tutte le prove esistenti (ivi compresa l’altra sentenza), non può in alcun modo essere contestato o modificato in sede di giudizio di legittimità.

Da tanto consegue che la doglianza in esame è priva di fondamento.

9. Il ricorso principale, pertanto, è rigettato e ciò comporta l’assorbimento del ricorso incidentale che ha natura condizionata.

10. La delicatezza della materia trattata, la gravità dell’episodio di cui si discute e la complessità, in particolare, dell’ultima questione esaminata inducono questa Corte a compensare integralmente le spese del giudizio di legittimità.

Pur sussistendo, in astratto, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del solo ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, tale obbligo non va disposto, poichè il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato con provvedimento del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Bologna in data 21 gennaio 2014.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato. Spese compensate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 24 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2017

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