Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12007 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. I, 06/05/2021, (ud. 22/03/2021, dep. 06/05/2021), n.12007

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2266/2019 proposto da:

F.Y., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour,

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e

difesa dall’Avvocato Chiara Villante, giusta procura speciale

allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Brescia depositato il 25/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/3/2021 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Brescia, con decreto del 25 novembre 2018, rigettava il ricorso proposto da F.Y., cittadino della Costa d’Avorio, avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento della protezione internazionale.

Il Tribunale – fra l’altro e per quanto qui di interesse – escludeva la sussistenza nel paese di origine delle condizioni previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, in assenza di una situazione di generalizzata e indiscriminata violenza derivante da conflitto armato.

Il collegio di merito, inoltre, riteneva che non ricorressero le condizioni per riconoscere la protezione umanitaria, in quanto il migrante non si trovava in una specifica situazione di vulnerabilità nè aveva manifestato significative problematiche economiche correlate al suo rimpatrio, salvo riferire di non essere in grado di restituire in un’unica soluzione tutta la somma che gli era stata consegnata dal suo datore di lavoro.

A tal fine non poteva giovare neppure la fattiva volontà di inserimento nel contesto sociale del paese ospitante registrata nei mesi compresi tra la richiesta di protezione internazionale e il suo rigetto.

2. Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso F.Y. prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3. Il primo motivo di ricorso, sotto la rubrica “violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,14 – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio – erronea, contraddittoria motivazione e omessa valutazione di elementi di fatto (nn. 3 e 5)”, censura il decreto impugnato nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per la protezione sussidiaria, sostenendo che la statuizione impugnata sarebbe frutto di un’erronea valutazione della documentazione allegata dal richiedente asilo e acquisita d’ufficio; si sarebbe così negato il riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. b) e art. 14), lett. c), a dispetto del rischio per il migrante, in caso di rimpatrio, di subire un grave danno, stante l’attuale situazione generale del paese di provenienza.

In questa prospettiva si sarebbe invece dovuta riconoscere alla nozione di “conflitto armato interno” una portata più ampia, ricomprendendovi anche una violenza indiscriminata non fronteggiata adeguatamente dallo stato di appartenenza.

Per il corretto significato da attribuire a questa espressione occorreva far riferimento al diritto internazionale umanitario e, in particolare, all’art. 1 del protocollo II della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949, in base al quale, al fine di ravvisare la sussistenza di un conflitto armato interno, devono essere considerati quali requisiti sufficienti l’esistenza di chiare strutture di comando tra le parti in conflitto ed un controllo sul territorio tali da soddisfare quanto indicato nel detto protocollo.

Inoltre – prosegue il ricorrente – perchè la domanda rientri nell’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non sarebbe necessaria la rappresentazione coerente di un quadro individuale di esposizione diretta a pericolo per la propria incolumità, essendo sufficiente tratteggiare una situazione nella quale alla violenza diffusa e indiscriminata non sia contrapposto alcun anticorpo concreto delle autorità statali.

Nel caso di specie dalla documentazione allegata era possibile evincere che la situazione di sicurezza della Costa d’Avorio si era drammaticamente deteriorata negli ultimi tempi, sicchè sussisterebbe ad oggi il rischio per l’intera popolazione di rimanere coinvolta in conflitti a fuoco nonchè vittima di attentati terroristici.

4. Il motivo è inammissibile.

La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass. 32064/2018, Cass. 30105/2018, Cass.13712/2012, Cass. 32912/19).

E’ stato pure precisato che “ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 18306/2019).

Nel caso di specie un siffatto livello di violenza non risulta essere stato accertato dal giudice del merito.

Occorre inoltre osservare che il ricorrente non ha neppure assolto l’onere di allegazione circa l’applicabilità, con riferimento alla situazione concreta del suo paese d’origine, dell’art. 1 del protocollo II della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949, cui ha fatto riferimento.

Le censure proposte sono inammissibili anche laddove, pur dietro la formale prospettazione di un vizio di violazione di legge, prospettano in sostanza doglianze riferite al merito della decisione impugnata.

Le eccezioni difensive sono volte, in effetti, non a censurare l’applicazione della norma di legge, siccome compiuta dal Tribunale il quale, nell’accertare, in fatto, l’insussistenza di una situazione di pericolo nel paese d’origine, si è all’evidenza, come risulta dal tenore delle affermazioni contenute nel decreto impugnato, avvalso di fonti autorevoli e specificamente richiamate -, ma a proporre una valutazione alternativa della situazione esistente in Costa d’Avorio rispetto a quella compiuta dal giudice di merito.

Le censure proposte si risolvono, quindi, in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., Sez. U., 8053/2014).

5. Il secondo mezzo, sotto la rubrica “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 – omessa valutazione di fatto e di diritto – Erronea e/o contraddittoria motivazione”, censura il decreto impugnato nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

In particolare, il collegio di merito avrebbe trascurato di considerare la situazione di vulnerabilità determinata dal pericolo per l’incolumità del migrante, il quale non solo correrebbe il rischio di subire una pena detentiva per fatti integranti un mero illecito civile nell’ordinamento italiano, ma sarebbe nuovamente vittima di soprusi e angherie da parte del datore di lavoro.

Il giudicante avrebbe anche omesso di effettuare una valutazione comparativa fra il grado di inserimento del migrante in Italia e la situazione soggettiva e oggettiva in cui questi si verrebbe a trovare nel paese di origine.

Allo stesso modo non sarebbero state adeguatamente valorizzate tanto la situazione di grave instabilità socio-politica del paese di provenienza, quanto le generalizzate e gravi violazioni dei diritti umani sistematicamente perpetrate nella quotidianità.

6. Il motivo è inammissibile.

Il collegio di merito, oltre a osservare che il sistema giudiziario nazionale consentiva al migrante di dimostrare che la perdita della merce a lui affidata era avvenuta per causa a lui non imputabile, ha ritenuto che questi avrebbe ricevuto adeguata tutela da eventuali minacce di morte espresse al suo indirizzo dall’ex datore di lavoro (peraltro giudicate non credibili).

Ha reputato, inoltre, che un eventuale rimpatrio non avrebbe compromesso i diritti umani del richiedente asilo, escludendo nel contempo che il percorso di integrazione, per come dimostrato dalla documentazione prodotta, consentisse di delineare una situazione di vulnerabilità.

Ha rilevato, infine, che la situazione attuale della Costa d’Avorio, volta verso la normalità, non autorizzava “il generico rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari” (tenuto conto, peraltro, che “le residue criticità della situazioni ivoriana, benchè gravi, non paiono riferibili alla persona del ricorrente”; pag. 6).

A fronte di questi dettagliati e puntuali accertamenti – aventi ad oggetto tutti i profili allegati dal ricorrente e rientranti nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017).

7. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.100 oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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