Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12006 del 10/06/2016


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Cassazione civile sez. II, 10/06/2016, (ud. 12/05/2016, dep. 10/06/2016), n.12006

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14967/2011 proposto da:

C.P.G., (OMISSIS), T.C.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PIAVE 52,

presso lo studio dell’avvocato RENATO CARCIONE, rappresentati e

difesi dagli avvocati GIUSEPPE MAZZARELLA, ANDREA BROGLIA;

– ricorrenti –

contro

T.M., (OMISSIS), L.M.F.

LVRMFD47C47E715I, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

CRESCENZIO 20, presso lo studio dell’avvocato CESARE PERSICHELLI,

che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati SERGIO

LAZZARINI, FABIO BOMBAGLIO;

– controricorrenti –

nonchè

sul ricorso 14967-2011 proposto da:

T.M. (OMISSIS), L.M.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

CRESCENZIO 20, presso lo studio dell’avvocato CESARE PERSICHELLI,

che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati SERGIO

LAZZARINI, FABIO BOMBAGLIO;

– ricorrenti incidentali –

contro

C.P.G. (OMISSIS), T.C.

(OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 561/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata i128/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

uditi gli Avvocati Reggio D’Aci (per delega dell’Avvocato

Mazzarella), Persichelli e Lazzarini;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e l’assorbimento del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 10 novembre 2005, i coniugi C.P.G. e T.C. convennero davanti al Tribunale di Varese i coniugi L.F. e T.M.. Gli attori deducevano che con distinti atti di data 23 giugno 2000 a rogito notaio Giuseppe Massimo Minoli di Varese gli stessi C.P.G. e T. C., da un lato, e T.M. e L.M.F., dall’altro, avevano acquistato in proprietà esclusiva due unità immobiliari con annesse piccole aree a corte, in Comune di (OMISSIS), costituite da fabbricati separati, di costruzione risalente a vari secoli addietro, in origine costituenti un complesso denominato “(OMISSIS)” ed in epoca recente ristrutturate per ricavarne due residenze. Con i medesimi atti le due coppie di coniugi avevano acquistato anche in comproprietà indivisa, per quote di 3/10 i C. – T. e di 7/10 i T. – L., numerosi appezzamenti di terreno di natura agricola e boschiva, circostanti i due fabbricati in proprietà esclusiva, per una superficie complessiva di poco inferiore a 20.000 mq. L’area comune comprendeva un piccolo stagno al suo interno ed era attraversata dal corso di un ruscello, che delimita il confine fra i Comuni di Azzate e Galliate Lombardo e divide in due parti il parco, posto a servizio ed ornamento delle due abitazioni.

Con la citazione del novembre 2005, i coniugi C. – T. chiedevano lo scioglimento della comunione avente ad oggetto i terreni indicati, con formazione, a mezzo CTU, di due lotti, aventi consistenza corrispondente all’entità delle quote di comproprietà di ciascuna delle due coppie. A tale pretesa si opponevano i convenuti T. – L., contestando che i terreni fossero oggetto di una comunione, liberamente divisibile a richiesta di una parte e sostenendo, al contrario, che le aree verdi avessero natura condominiale, con i conseguenti limiti alla loro divisibilità.

Istruita la causa essenzialmente con l’espletamento di una CTU finalizzata alla formazione di un progetto divisionale, integrata da una relazione di chiarimenti, la stessa era decisa dalla sentenza n. 85/2008 del Tribunale di Varese, in data 15 gennaio 2008, la quale dichiarava lo scioglimento della comunione ed attribuiva in proprietà esclusiva alle due coppie di coniugi i distinti lotti formati dal CTU, previo pagamento di un conguaglio divisionale di Euro 28.670,00 da parte dei C. – T. ai T. –

L.. Proposto appello dai signori T. – L., e costituitisi i signori C. – T. nel giudizio di gravame, la CORTE D’APPELLO di MILANO, con sentenza n. 561/2011 del 28 febbraio 2011, accoglieva l’impugnazione, riformava la sentenza del Tribunale di Varese e rigettava la domanda di scioglimento della comunione. Osservava la Corte d’appello che non risultava decisiva l’individuazione della natura giuridica delle aree esterne comuni, per stabilire se le stesse fossero oggetto di comunione ovvero di condominio, perchè, ove anche tornasse applicabile, come ritenuto dal Tribunale di Varese, la disciplina della comunione ordinaria fra i condividenti, le circostanze di fatto che escluderebbero la “comoda divisibilita” delle aree verdi comuni sarebbero talmente evidenti da permettere di apprezzare già ad un primo esame l’erroneità delle soluzioni adottata nella sentenza di primo grado. Evidenziava la Corte milanese come il compendio immobiliare descritto nell’espletata CTU comprendesse tale parco comune, di forma allungata, irregolare, tendenzialmente rettangolare, e composto di due parti. Una prima parte, che si estende dal cancello principale di accesso alla proprietà comune fino al ruscello, comprende in posizione centrale i due corpi di fabbrica, a brevissima distanza l’uno dall’altro, in origine costituenti l’antico mulino e poi trasformati nelle ville di proprietà esclusiva dei C. – T. e dei T. –

L.; questa parte del parco contiene tutti i manufatti che attrezzano la zona verde (stagno e relative bordo, terrazza, parcheggio e accesso carraio, ricovero in legno, pergola, scogliera in prossimità della riva del ruscello, zona per il barbecue). Una seconda parte, nel settore “oltretorrente”, indicato come area boschiva ed a prato, ospita il solo campo da tennis e risulta, pertanto, assai meno godibile per le normali attività cui e destinate il parco di una villa residenziale. L’ultima parte, secondo la sentenza del Tribunale di Varese, andava attribuita ai T. –

L., mentre ai C. – T. veniva attribuita la restante parte del parco, ove sono concentrate quasi tutte le dotazioni che consentono di qualificare l’ampia area verde come un prestigioso parco a servizio della funzione residenziale. Tale disomogeneità degli esiti della divisione costituiva, ad avviso della Corte milanese, un primo indizio della non comoda divisibilità del pur vasto terreno comune. Per di più, avvisava la Corte di merito, mentre nella situazione dei luoghi esistenti, le due unità abitative si trovano in posizione approssimativamente centrale rispetto al parco, nella soluzione proposta dal CTU e recepita dal Tribunale di Varese le due ville si sarebbero trovate l’una all’estremo margine nord e l’altra all’estremo margine sud della porzione di parco di rispettiva pertinenza. Ciò avrebbe compromesso la futura commerciabilità e, quindi, il valore venale non solo delle ville, ma anche, per quel che qui rileva, delle aree verdi. Da ciò un ulteriore profilo della non comoda divisibilità in natura del compendio immobiliare comune. Per di più, proseguiva la Corte di Milano, tra le opere che il CTU nominato in primo grado aveva ritenuto necessarie per la formazione dei due lotti, ve ne erano alcune, essenziali per la fruibilità del lotto attribuito ai T. – L., da realizzare su spazi demaniali ed a cura del Comune di Azzate, di non trascurabili entità e costo, quali, in particolare, le opere di adeguamento del calibro e del sottofondo della strada pubblica da percorrere per raggiungere il nuovo cancello di accesso alla proprietà T. – L.. Identiche difficoltà la Corte di merito ravvisava per le altre opere da realizzare su proprietà di terzi (spostamento dei pali della rete elettrica), comunque indispensabili per la formazione dei lotti.

Avverso la sentenza n. 561/2011 del 28 febbraio 2011 della Corte d’Appello di Milano C.P.G. e T.C. hanno proposto ricorso strutturato in quattro motivi. Resistono L. F. e T.M., i quali propongono altresì ricorso incidentale condizionato. I ricorrenti C.P.G. e T.C. in data 5 maggio 2016 hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo del ricorso di C.P.G. e T. C. deduce la violazione degli artt. 1111, 1114, 1116, 718 e 720 c.c., nonchè degli artt. 785 e 789 c.p.c. e l’omessa e/o insufficiente motivazione su fatti decisivi e controversi. Premessa la portata della nozione normativa di “non comoda divisibilità”, alla stregua dell’interpretazione che ne dà la giurisprudenza, osservano i ricorrenti come la Corte d’Appello abbia svolto la sua valutazione non sul compendio immobiliare, ma sul progetto di divisione ipotizzato dal CTU nominato in primo grado, senza spiegare perchè non potessero concepirsi soluzioni alternative che comunque consentissero l’esercizio del diritto potestativo di sciogliere la comunione.

1.2. Il secondo motivo censura la violazione degli artt. 1111, 1114, 1116, 718 e 720 c.c., nonchè degli artt. 785 e 789 c.p.c. e l’insufficiente motivazione su fatti decisivi e controversi.

Affermano i ricorrenti che la sentenza impugnata poggia arbitrariamente su circostanze di fatto, che escluderebbero la comoda divisibilità del compendio, aventi natura meramente congetturale, seppur proposte come nozioni di comune esperienza, quale l’assunta disomogeneità in termini di “godibilità” delle due porzioni create dal CTU e delle relative dotazioni.

1.3. Il terzo motivo afferma sempre la violazione degli artt. 1111, 1114, 1116, 718 e 720 c.c., nonchè degli artt. 785 e 789 c.p.c. e l’insufficiente motivazione su fatti decisivi e controversi. Di identica arbitrarietà ed illogicità sarebbe affetto l’argomento utilizzato dalla Corte di merito della perdita di centralità (e conseguentemente di valore) che le due ville verrebbero a subire nei due lotti sperati. La Corte di Milano avrebbe tenuto conto dell’incidenza della divisione dei beni comuni sul valore delle ville, che sono beni esclusi dalla comunione, ed avrebbe comunque espresso al riguardo congetture sprovviste di supporto razionale.

1.4. Il quarto motivo di ricorso è sempre rubricato nel senso della violazione degli artt. 1111, 1114, 1116, 718 e 720 c.c., nonchè degli artt. 785 e 789 c.p.c. e dell’insufficiente motivazione su fatti decisivi e controversi. Si critica il terzo elemento fattuale contemplato dalla Corte di Milano, ovvero la necessità di opere rimesse all’esecuzione di terzi per la materiale divisione nei due lotti ipotizzati dal CTU nominato in primo grado. Ancora una volta si rappresenta che l’ostacolo alla divisibilità da ultimo contemplato nella sentenza d’appello varrebbe come mera congettura.

2. L.F. e T.M. propongono ricorso incidentale condizionato, al fine di conseguire pronuncia accertativa della natura di condominio edilizio delle aree comuni, rivelando esse tutti gli elementi sintomatici di tale situazione.

3. I quattro motivi del ricorso principale, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro intima connessione logica, risultano infondati.

In via di premessa, pur potendo certamente configurarsi la nozione di condominio, ex art. 1117 c.c., ed ora anche ex art. 1117 bis c.c., nel caso di immobili adiacenti orizzontalmente in senso proprio, è da negare che il bene per cui è causa, secondo la consistenza accertata nei gradi di merito (superficie di terreno di natura agricola e boschiva, circostante i due fabbricati in proprietà esclusiva delle parti, avente una superficie complessiva di poco inferiore a 20.000 mq, comprensiva di uno stagno e di un ruscello), rientri tra beni la cui attribuzione al condominio possa essere presunta a norma dell’art. 1117 c.c., non essendo legato alla proprietà singole delle rispettive unità immobiliari da quel rapporto di accessorietà necessaria che costituisce il fondamento stesso della condominialità. Ne discende che all’area per cui è causa torna applicabile non la regola di indivisibilità stabilita dall’art. 1119 c.c., per le parti comuni di un edificio in condominio, quanto la regola della comoda divisibilità dettata dall’art. 1114 c.c..

Non sono condividibili le critiche rivolte dai ricorrenti alla sentenza della Corte di Milano, nel senso che la stessa avrebbe ragionato non sull’esatta consistenza del compendio immobiliare, quanto sul progetto di divisione ipotizzato dal CTU, ed avrebbe poi raggiunto la conclusione della non comoda divisibilità sulla base di deduzioni arbitrarie, contrabbandate come nozioni di comune esperienza. La sentenza d’appello ha verificato che il fondo da dividere, costituente il parco comune, ha una forma irregolare, ed ha una prima parte, che va dal cancello di accesso fino al ruscello, e comprende in posizione centrale le due ville di proprietà esclusiva, nonchè tutte le strutture più confortevoli per la fruizione della zona verde, quali lo stagno, la terrazza, il parcheggio, un ricovero in legno, la pergola, la scogliera in prossimità della riva del ruscello, la zona per il barbecue; mentre la seconda parte, oltre il ruscello, consiste in un’area boschiva ed è dotata del solo campo da tennis, e risulta, pertanto, assai meno godibile per le normali attività cui è destinato il parco di una villa residenziale.

L’ultima parte, secondo la sentenza del Tribunale di Varese, andava attribuita ai signori T. – L., mentre ai signori C. – T. veniva attribuita la restante parte del parco, ove sono concentrate quasi tutte le dotazioni che consentono di qualificare l’ampia area verde come un prestigioso parco a servizio della funzione residenziale. Tale conformazione dell’area comune, divisa naturalmente in due dal ruscello e con una non equilibrata distribuzione degli insediamenti e dei manufatti, ha indotto la Corte di merito a ravvisare la notevole disomogeneità degli esiti di una eventuale divisione. Altro ostacolo alla divisibilità veniva ravvisato dai giudici milanesi nell’entità e nei costi delle opere da realizzare per la formazione dei due lotti separati.

In tal modo, la Corte d’appello di Milano ha fatto corretta applicazione del principio, più volte affermato da questa Corte, e che qui viene ribadito, secondo cui, in tema di scioglimento di comunione avente ad oggetto un immobile, il requisito della comoda divisibilità del bene, ai sensi ed agli effetti degli artt. 720 e 1114 c.c., non si esaurisce nella mera possibilità materiale di frazionare il bene medesimo in più porzioni, ma richiede anche che ciascuna porzione resti sostanzialmente idonea, sia pure in proporzione della sua entità, ad assolvere la stessa funzione economica del tutto, senza subire apprezzabili perdite dell’originario valore (Cass. 21 agosto 2012, n. 14577; Cass. 29 maggio 2007, n. 12498; Cass. 24 ottobre 2006, n. 22833; Cass. 7 maggio 1987, n. 4233; Cass. 4 aprile 1985, n. 2305; Cass. 12 giugno 1981, n. 3812). Pertanto, con riguardo ad un fondo destinato a parco annesso a due ville, tale comoda divisibilità postula, oltre al riscontro dell’indicata frazionabilità, anche il positivo accertamento che ciascuna parte sia in grado di essere utilizzata come parco avente un identico coefficiente di amenità, pure se in scala proporzionalmente ridotta, senza che si rendano necessari accorgimenti costosi o complessi, ovvero imposizioni di pesi e servitù implicanti grave pregiudizio del suo valore.

Ciò premesso in ordine all’astratta nozione di comoda divisibilità, va altresì ribadito che l’accertamento di tale requisito, con riguardo ad un dato compendio immobiliare, è riservato all’apprezzamento di fatto del giudice del merito, ed è incensurabile in sede di legittimità, se sonetto, come riscontrato nel caso in esame, da motivazione comunque congrua, coerente e completa. Argomentare la non divisibilità alla luce della diversa attitudine funzionale e pregevolezza delle diverse zone del parco, come anche dei costi e della complessità degli accorgimenti infrastrutturali necessari per separare le due nozioni, o ancora del timore di un deprezzamento del valore delle porzioni rispetto al valore dell’intero parco, qualificato dall’unitarietà dell’insieme e dall’interdipendenza funzionale tra le componenti delle due zone poste prima e dopo il ruscello, risulta espressione di corrette regole di giudizio di carattere generale, derivanti dall’osservazione dei fatti di causa e dalla valutazione delle prove operate secondo nozioni di pratica comune. Consegue il rigetto del ricorso principale.

Rimane così assorbito il ricorso incidentale di L.F. e T.M., qualificato come condizionato, e peraltro proposto dalle parti rimaste completamente vittoriose nel giudizio di appello, volto a conseguire unicamente il mutamento della motivazione della sentenza della Corte di Milano.

Le spese del giudizio di legittimità si regolano secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale proposto da C.P. G. e T.C., dichiara assorbito il ricorso incidentale proposto da L.F. e T.M. e condanna i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2016

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