Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12002 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 19/06/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 19/06/2020), n.12002

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24494-2017 proposto da:

EURO COSTRUZIONI SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA ANASTASIO II 274,

presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO BIANCARDI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1360/2017 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 15/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/11/2019 dal Consigliere Dott.ssa FASANO ANNA MARIA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

La società Euro Costruzioni S.r.l. impugnava un avviso di rettifica e liquidazione, con il quale l’Agenzia delle Entrate rettificava i valori dichiarati in un atto di compravendita del 22.12.2011, da Euro 200.000,00 ad Euro 561.000,00 per il locale C/1 sito nel Comune di Fiano Romano, con liquidazione di una maggiore imposta di registro, ipotecaria e catastale. La contribuente denunciava l’omessa motivazione dell’atto impugnato e l’errato accertamento sulla base dei valori OMI e BIR e su un semplice atto richiamato per relationem avente caratteristiche del tutto diverse da quelle oggetto di contestazione. La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con sentenza n. 19013/2015, accoglieva il ricorso, annullando l’avviso di rettifica e liquidazione. L’Agenzia delle entrate proponeva appello, che veniva accolto dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza n. 1360 del 2017, ritenendo non congrua la valutazione di stima effettuata dall’Agenzia in rapporto alla diversa dimensione del bene preso a confronto e della sua ubicazione in altro indirizzo, e concludendo per la riduzione del valore accertato del 20% in ragione delle caratteristiche dell’immobile. Euro Costruzioni S.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo due motivi. L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, in relazione alla L. n. 88 del 2009, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe inficiata da un gravissimo errore di motivazione in ragione della errata applicazione della normativa di riferimento. In particolare, i giudici di appello avrebbero correttamente precisato che il perimetro processuale era delimitata dalle leggi n. 88 del 2009 e n. 296 del 2006, che avevano stabilito in maniera definitiva che il procedimento di valutazione basato su dati e valori OMI e BIR si atteggia come presunzione semplice e non più come presunzione legale, errando però nella motivazione e contraddicendosi laddove hanno concluso ritenendo di emendare la sentenza di primo grado e di ridurre il valore finale del 20%, pur affermando che l’Ufficio non aveva dato alcuna prova della fondatezza dell’accertamento.

2. Con il secondo motivo si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè insufficiente e/o illogica e/o contraddittoria motivazione. Si lamenta che la Commissione Tributaria Regionale sarebbe erronea, contraddittoria ed illogica anche nella parte in cui, disattendendo quanto correttamente e congruamente motivato nella sentenza di primo grado, non avrebbe dato corretta e doverosa rilevanza alla perizia giurata dell’arch. S.R., nè dato idonea motivazione di irrilevanza della stessa. I giudici di secondo grado avrebbero semplicemente copiato, senza alcun controllo di merito, il richiamo effettuato nell’atto di appello da parte dell’Ufficio alla sentenza della Cassazione n. 25104 del 2008 e, nella concisa motivazione, avrebbero statuito che la perizia di parte ricorrente rappresenterebbe un documento prodotto da un terzo il cui apprezzamento sarebbe affidato alla libera discrezione del giudice, non obbligato a tenerne conto. I giudici di secondo grado avrebbero decurtato il valore accertato del 20% senza una valida e congrua motivazione e, soprattutto, senza motivare in merito al disconoscimento della perizia di parte.

3. I motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per connessione logica, sono inammissibili per le considerazioni che seguono.

3.1. Il primo motivo appare inammissibilmente formulato in quanto il ricorrente non si limita, infatti, a richiedere il controllo in ordine alla corretta applicazione o interpretazione della disciplina di legge da parte del giudice del merito, ma domanda, invece, la rinnovazione del giudizio in ordine alla sussistenza dei presupposti di fatto già adeguatamente espletato dal giudice di appello, ai fini dell’applicazione delle disposizione invocata, con conseguente inammissibile sovrapposizione del giudizio di questa Corte ai poteri propri ed esclusivi del giudice di merito.

3.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile ed infondato. Il motivo è inammissibile, in quanto le relative censure, a rigore, non sono inquadrabili come vizio di motivazione, perchè nella realtà rappresentano nient’altro che la riproposizione di tesi ed apprezzamenti propri di una parte (perizia di parte), disattese dalla sentenza impugnata con valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità, in quanto sufficientemente motivata, ancorchè non si sia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

Il motivo è, altresì, infondato, atteso che il vizio relativo alla congruità della motivazione comporta un giudizio sulla ricostruzione del fatto giuridicamente rilevante, e sussiste solo qualora il percorso argomentativo adottato nella sentenza di merito presenti lacune ed incoerenze tali da impedire l’individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione. Invero, nella specie, il giudice di appello ha adeguatamente motivato il percorso logico giuridico che ha portato al proprio convincimento, con illustrazione delle argomentazioni a sostegno della decisione, seppure sintetiche, ma prive di vizi logici. La Commissione Tributaria Regionale, nella sostanza, ha ridotto del 20% il valore accertato, ricorrendo ad un giudizio equitativo.

In altre consimili vicende questa Corte, escludendo che l’utilizzo da parte del giudice tributario dell’apprezzamento equitativo ai fini dell’espressione di un giudizio di stima possa costituire violazione di legge, ha ritenuto che tale vizio sia riconducibile ad un difetto di motivazione. L’apprezzamento, in quanto frutto di un giudizio estimativo, non è infatti riconducibile ad una decisione della causa secondo la cosiddetta equità sostitutiva, che, consentita nei soli casi previsti dalla legge, attiene al piano delle regole sostanziali utilizzabili in funzione della pronuncia ed attribuisce al giudice il potere di prescindere nella fattispecie dal diritto positivo. Rientrando il suddetto apprezzamento nei generali poteri conferiti al giudice dagli artt. 115 e 116 c.p.c., la relativa pronuncia, rimessa alla sua prudente discrezionalità, è suscettibile di controllo, in sede di legittimità, soltanto sotto il profilo della carenza o inadeguatezza della corrispondente motivazione (cfr. n. 25707 del 2015; Cass. n. 4442 del 2010; Cass. n. 24520 del 2005). La sentenza impugnata non può essere censurata sotto il profilo motivazionale, tenuto conto che il giudice di appello ha decurtato il valore in ragione delle condizioni dell’immobile, ed in particolare: “tenendo conto dello stato dei fatti in cui si trovava l’immobile di cui si tratta e della diversa più ampia metratura rispetto a quella similare, i cui canoni di locazione non sono direttamente proporzionali alla superficie”. Tale argomentazione appare congrua e priva di vizi logici, sufficiente a sostenere il decisum.

4.In definitiva il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte soccombente al rimborso delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 4.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 19 giugno 2020

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