Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12002 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. I, 06/05/2021, (ud. 09/03/2021, dep. 06/05/2021), n.12002

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14945/2020 proposto da:

W.M., elettivamente domiciliato in Roma Viale G. Mazzini, 6,

presso lo studio dell’avvocato Agnitelli Manuela, che lo rappresenta

e difende, come da procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 7449/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/03/2021 da Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

La Corte di appello di Roma, con la sentenza in epigrafe indicata, ha rigettato l’appello proposto da W.M., proveniente dalla Repubblica Popolare Cinese, confermando la prima decisione che aveva respinto la domanda di riconoscimento della protezione internazionale in tutte le sue forme, già denegata dalla Commissione territoriale.

La richiedente ha proposto ricorso per cassazione con quattro mezzi; il Ministero dell’Interno ha depositato mero atto di costituzione.

La cittadino straniera aveva riferito di professare la religione cristiana narrando che la sua famiglia predicava il Vangelo ad amici stretti ed ai parenti, mentre ciò in Cina non era consentito. Aveva narrato che, a seguito di una denuncia, la polizia era andata a casa sua, minacciando la perdita del lavoro per il marito e l’impossibilità per il figlio di frequentare la scuola nell’ipotesi in cui ella avesse continuato a predicare il cristianesimo e ciò la aveva indotta a partire, giungendo in Italia con un volo da (OMISSIS). Aveva manifestato il timore di essere arrestata, una volta rientrata in Cina.

La Corte di appello ha ritenuto non credibile il racconto in ordine alle ragioni di fuga dalla Cina, perchè sulla scorta di una ampia ricostruzione della condizione degli aderenti ai culti cd. illegali in Cina, ha escluso che l’adesione alla fede cristiana, tollerata entro certi limiti, potesse indurre i timori rappresentati, evidenziando in particolare che gli stessi confliggevano con la circostanza che la richiedente aveva potuto lasciare il proprio Paese normalmente, munita di passaporto e con un volo di linea, nel mentre ciò le sarebbe stato impedito se fosse stata in atto una persecuzione nei suoi confronti.

Ha quindi ritenuto insussistenti in concreto, sulla scorta della consultazione di fonti internazionali accreditate, il rischio di danno grave, ai fini della protezione sussidiaria. Infine, ha escluso la ricorrenza di personali condizioni di vulnerabilità e di integrazione sociale in Italia, tali da giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 11, lett. c) ed f), nonchè la illogica, contraddittoria e apparente motivazione per avere la Corte di appello rigettato la richiesta dello status di rifugiato “non riuscendo ad individuare persecuzioni per tendenza o stili di vita” sulla scorta della erronea valutazione di non credibilità della richiedente.

La ricorrente, che aveva narrato di essere fuggita per timore di rappresaglie a causa della sua fede religiosa, si duole di non essere stata creduta e che non si sia tenuto conto dei gravi rischi che comportava tale condizione in Cina.

1.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c), comma 3, lett. a) e artt. 2, 3, 5, 8 e 9 della CEDU, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, lamentando che il rigetto della protezione sussidiaria era stato emesso senza alcuna valutazione sulla sussistenza del danno grave, in difetto di istruttoria.

A parere della ricorrente la decisione era errata perchè la Corte capitolina aveva escluso la sussistenza di un pericolo generalizzato in Cina senza analizzare la mancanza di un danno grave e senza attivare i poteri officiosi di indagine e di informazione.

1.3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 3, lett. a) e b), artt. 3 e 7 della CEDU, sostenendo che il rigetto della protezione sussidiaria era stato emesso sulla base di un giudizio prognostico futuro ed incerto e non delle condizioni effettive ed attuali del Paese di origine, ritenendo che in Cina non vi fosse un pericolo generalizzato.

1.4. Con il quarto motivo si denuncia la violazione del combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c e comma 4, e la illogica e contraddittoria ed apparente motivazione per avere la Corte distrettuale rigettato la richiesta di protezione umanitaria senza operare un esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva della richiedente con riferimento al Paese di origine.

2.1. Il ricorso va dichiarato inammissibile.

2.2. Il primo motivo è inammissibile perchè si limita a sostenere la veridicità del racconto e a contestare genericamente la decisione impugnata, senza indicare alcun fatto decisivo tempestivamente dedotto di cui sia stato omesso l’esame, di guisa che le plurime censure non rispondono nemmeno al modello legale del vizio motivazionale e si palesano del tutto generiche (Cass. n. 3340 del 05/02/2019); di contro la decisione risulta articolata e adeguatamente motivata attraverso la accurata disamina delle dichiarazioni della richiedente, che non sono state ritenute non credibili quanto alla adesione alla fede cristiana, quanto piuttosto alle ragioni dell’allontanamento dalla Cina ed alla fondatezza dei timori espressi, sia alla luce delle ampie informazioni acquisite dalle COI in merito al trattamento riservato in Cina agli aderenti alle diverse fedi religiose, sia in ragione delle contraddizioni e dell’inattendibilità intrinseca del narrato a fronte di un allontanamento dalla Cina avvenuto con modalità ordinarie e regolari, su cui non è svolta alcuna censura puntuale.

Inoltre, la doglianza risulta essere assolutamente generica anche quanto alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione e, per conseguenza, priva di decisività perchè non viene indicato quali siano le informazioni tempestivamente allegate dalla richiedente dinanzi al giudice di merito – che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso (in tema, Cass. n. 2119 del 24/1/2019).

2.3. Anche i motivi secondo e terzo sono inammissibili.

La Corte distrettuale, con ampia ed articolata motivazione, ha analizzato il trattamento riservato a coloro che non seguono la religione di Stato in Cina e la situazione socio/politica del Paese, consultando e dando conto delle fonti internazionali (COI 2019), pur disattendendo la domanda di protezione per la non credibilità delle ragioni di allontanamento dalla Cina, ed ha accertato che la zona di origine della richiedente non risultava esposta a violenza generalizzata o a conflitto armato o internazionale e tale statuizione non viene attinta dal motivo; questo risulta svolto in termini del tutto astratti e generici senza alcun riferimento specifico a fonti internazionali che avrebbero potuto condurre a differenti conclusioni, lamentando un difetto di istruttoria che non si ravvisa.

2.4. Il quarto motivo è inammissibile. La ricorrente non affronta e non confuta, tantomeno in modo puntuale e specifico, l’affermazione della Corte di appello circa l’insussistenza dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria nella situazione rappresentata; la ricorrente propone una critica astratta relativamente all’accertamento del fatto, inammissibile in sede di legittimità.

Invero, la situazione di vulnerabilità deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass. n. 4455 del 23/2/2018, in motivazione; Cass. n. 9304 del 2/4/2019; cfr. pure, ora, Cass. Sez. U. n. 29459 del 13/11/2019, in motivazione); inoltre la richiedente non ha censurato affatto, mediante l’indicazione di fatti decisivi di cui sia stato omesso l’esame, l’accertamento in merito all’assenza di prova dell’integrazione in Italia.

3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese, in assenza di attività difensiva dell’intimato.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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