Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12001 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 19/06/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 19/06/2020), n.12001

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15226-27 proposto da:

P.R., P.F., elettivamente domiciliati in

ROMA VIALE DELLE MILIZIE 76, presso lo studio dell’avvocato ELVIRA

DE SANTIS, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, ln persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliare in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8149/2016 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 09/12/201E;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/11/2019 dal Consigliere Dott.ssa FASANO ANNA MARIA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

P.R. e P.F. impugnavano l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), scaturente da un accertamento in autotutela, che annullava un precedente avviso relativo alla dichiarazione di variazione n. (OMISSIS) del 19.4.2013 e n. (OMISSIS) del 19.4.2012. L’atto impositivo era relativo ad un immobile sito in (OMISSIS), censito in categoria A/1, classe 3, con rendita catastale pari ad Euro 3.860,52 a seguito di presentazione della dichiarazione di variazione proposta dai contribuenti. Con il provvedimento in autotutela, si era provveduto ad assegnare all’immobile la categoria A/2, classe 5, rendita catastale Euro 2.835,35. I contribuenti denunciavano la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 2, comma 3 e artt. 6 e 7 e, nel merito, che la classe 5 era troppo elevata rispetto agli altri immobili di zona di cui venivano riportati i dati catastali. La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con sentenza n. 959 del 2016, accoglieva il ricorso.

La decisione veniva appellata innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio che, con sentenza n. 8149 del 2016, accoglieva il gravame, dichiarando la legittimità degli avvisi di accertamento sul presupposto della congruità del classamento attribuito dall’Ufficio. P.R. e P.F. propongono ricorso per la cassazione della pronuncia, affidato a due motivi, illustrati con memorie. L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 652 del 1939 e del D.P.R. n. 1142 del 1949, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. I ricorrenti lamentano che fin dal ricorso introduttivo avevano dedotto la violazione da parte dell’Agenzia delle Entrate dei presupposti per poter addivenire ad una modifica dei dati di classamento e della rendita catastale, nonchè dell’iter procedurale per mezzo del quale si era giunti ai nuovi dati. La Commissione Tributaria Regionale non prenderebbe in considerazione tutte le risultanze catastali stampate il 6 settembre 2013 da cui risulterebbe che le unità immobiliari limitrofe e similari alla particella (OMISSIS) erano accatastate A/2 classe 1 o 2, per cui al momento della notifica dell’avviso di accertamento, il 13 agosto 2013, nessuna unità aveva classe 5. Dall’esame delle tipologie di abitazioni rientranti nella categoria A/2, per le particelle prese a confronto, si ritiene che la rendita catastale risultante sarebbe di Euro 1797,27, invece di 2835, 35. Secondo l’indirizzo sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, l’avviso di accertamento avrebbe dovuto indicare le ragioni che avevano indotto l’Amministrazione a disconoscere il contenuto del DOCFA, e non solo semplicemente i “Nuovi dati di classamento e rendita accertati”, non potendo essere integrata in giudizio la motivazione dell’atto impositivo.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 2,6 e 7 (Statuto del Contribuente) e diritto alla difesa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. I ricorrenti deducono che in seguito alla variazione dello stato dell’immobile, il contribuente propone all’Agenzia delle entrate, attraverso la procedura c.d. DOCFA, una categoria, classe e rendita da attribuire al bene. In caso di mancata rettifica catastale entro 12 mesi dall’avvio della DOCFA, la rendita iscritta in atti, come proposta, diviene definitiva. Se, invece, entro i dodici mesi l’Agenzia ritiene di non dovere accogliere la classe, la categoria e la rendita proposta, notificherà al proprietario un provvedimento di rigetto che corregge retroattivamente quanto oggetto di proposta. Il provvedimento di rigetto/rettifica deve essere adeguatamente motivato. La pronuncia impugnata sarebbe affetta dal vizio di violazione delle disposizioni richiamate in rubrica, non essendo stati indicati i criteri con i quali sia stata attribuita all’immobile la classe 5. La mancata esposizione delle motivazioni della variazione e la mancata allegazione della documentazione integrerebbe una chiara violazione dello Statuto del Contribuente e nello specifico della L. n. 212 del 2000. artt. 6 e 7.

4. I motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente, in quanto inerenti alla medesima questione relativa al difetto di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato, sono inammissibili.

4.1. Non è contestato in atti che la Commissione Tributaria Provinciale con sentenza n. 959/2016 ha accolto il ricorso proposto dai contribuenti, che nel giudizio di primo grado avevano denunciato il vizio di motivazione dell’avviso di accertamento per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 e, nel merito, che la classe era troppo elevata rispetto agli altri immobili della zona di cui venivano riportati i dati catastali. Si legge nella motivazione della sentenza impugnata che i contribuenti, a seguito dell’appello proposto dall’Ufficio, si sono costituiti con controdeduzioni “insistendo per la declaratoria di inammissibilità per tarditivà del gravame ed, in subordine, per il rigetto dello stesso”. In particolare, la Commissione Tributaria Provinciale, sul presupposto della corretta motivazione dell’avviso di accertamento: “laddove lo stesso riporta tutti i dati catastali per poter individuare l’immobile, ovvero categoria, classe, vani e rendita e non è necessario che il catasto indica gli elementi di base necessari per pervenire a quei dati, perchè la parte ne è già in possesso avendoli forniti essa stessa con il documento DOCFA, conforme Cassazione 1060/2010 e diverse altre successive”, ha accolto il ricorso dei contribuenti, ritenendo la classe attribuita troppo elevata avuto riguardo ad immobili similari. Ciò premesso, i ricorrenti non deducono nel ricorso per cassazione di avere proposto appello incidentale avverso tale eccezione di merito, nè ciò si rileva dalla sentenza impugnata.

Ne consegue, pertanto, l’inammissibilità dei motivi, tenuto conto dell’indirizzo espresso da questa Corte, che si condivide, secondo cui: ” Qualora una eccezione di merito sia stata ritenuta infondata nella motivazione della sentenza del giudice di primo grado o attraverso un’enunciazione in modo espresso, o attraverso un’enunciazione indiretta, ma che sottenda in modo chiaro ed inequivoco la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione da parte sua dell’appello incidentale, che è regolato dall’art. 342 c.p.c., non essendo sufficiente la mera proposizione di cui all’art. 346 c.p.c.. Qualora l’eccezione sia a regime di rilevazione affidato anche al giudice, la mancanza dell’appello incidentale preclude, per il giudicato interno formatosi ex art. 329 c.p.c., comma 2, anche il potere del giudice d’appello di rilevazione d’ufficio, di cui all’art. 345 c.p.c., comma 2. Viceversa, l’art. 346 c.p.c., con l’espressione “eccezione non accolte nella sentenza di primo grado”, nell’ammettere la mera riproposizione dell’eccezioni di merito da parte del convenuto rimasto vittorioso con riguardo all’esito finale della lite, intende riferirsi all’ipotesi in cui l’eccezione non sia stata dal primo giudice ritenuta infondata nella motivazione nè attraverso un’enunciazione in modo espresso, nè attraverso un’enunciazione indiretta, ma chiara ed inequivoca. Quando la mera riproposizione (che deve essere espressa) è possibile, la sua mancanza rende irrilevante in appello l’eccezione, se il potere di rilevazione riguardo ad essa è riservato alla parte, mentre, se il potere di rilevazione compete anche al giudice, non impedisce – ferma la preclusione del potere del convenuto – che il giudice di appello eserciti detto potere a norma dell’art. 345 c.p.c., comma 2″. (Cass. SS.UU. n. 11799 del 2017). Per eccezione di merito si intende quel fatto che, in relazione alla struttura della fattispecie costitutiva del diritto fatto valere dalla parte attrice con la domanda, assume la natura di fatto impeditivo, modificativo o estintivo dell’efficacia dei fatti costitutivi, per essere così individuato e qualificato dalla fattispecie normativa astratta relativa al diritto azionato. Tale fatto, per la sua inerenza sul piano normativo alla fattispecie dedotta in giudizio, assume il rilievo di c.d. fatto principale non diversamente dai fatti costitutivi della domanda. Nella specie, il ragionamento svolto dal primo giudice ha disatteso l’eccezione di nullità dell’atto impugnato per difetto di motivazione, quindi è evidente l’interesse dei contribuenti a riottenerne l’esame da parte del giudice di appello, mediante una critica alla decisione di primo grado che andava proposta con specifico motivo di appello incidentale. In difetto, l’art. 329 c.p.c., comma 2, determinerà acquiescienza sulla relativa parte della sentenza e la formazione della cosa giudicata interna sull’infondatezza della eccezione.

5. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna le parti soccombenti al rimborso delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 6000,00 per compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 19 giugno 2020

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