Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12000 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. I, 06/05/2021, (ud. 26/02/2021, dep. 06/05/2021), n.12000

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio P. – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18082/2019 proposto da:

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.E.;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di L’AQUILA, depositata il

06/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/02/2021 da Dott. DI MARZIO MAURO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

1. – Il Ministero dell’interno ricorre per quattro mezzi, nei confronti di P.E., contro il Decreto del 6 maggio 2019 con cui il Tribunale dell’Aquila ha accolto la sua domanda di protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), sull’assunto che il richiedente fosse credibile laddove aveva riferito vicende relative ad “un suo inserimento forzoso e violento all’interno di una setta cultista, alla richiesta degli appartenenti a detta setta, da lui non esaudita, di uccidere un uomo, a minacce di morte ricevute proprio per non aver eseguito l’ordine impartitogli. Ha riferito di temere di tornare in Nigeria per il timore di venire ucciso dai componenti della setta”.

2. – Non spiega difese l’intimato.

Considerato che:

3. – Il primo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), censurando il decreto impugnato sul rilievo che la fattispecie concreta ridotta a fondamento della domanda non era in alcun modo riconducibile alla previsione normativa.

Il secondo mezzo denuncia nullità del provvedimento per motivazione assente, meramente apparente o irriducibilmente contraddittoria, in ordine ai presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b).

Il terzo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, censurando il decreto impugnato per aver lasciato inosservati i criteri normativamente previsti in punto di valutazione della credibilità del richiedente.

Il quarto mezzo denuncia nullità del decreto per motivazione assente, meramente apparente o irriducibilmente contraddittoria in ordine ai criteri di valutazione della credibilità del richiedente, ai sensi della già richiamata previsione dettata dal D.Lgs. n. 251 del 2007.

Ritenuto che:

4. – Il ricorso è fondato nei limiti che seguono.

4.1. – Va disatteso il primo mezzo in applicazione del principio secondo cui, in tema di protezione sussidiaria, le minacce di morte da parte di una setta integrano gli estremi del danno grave del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 e non possono essere considerate un fatto di natura meramente privata anche se provenienti da soggetti non statuali, sicchè l’adita autorità giudiziaria ha il dovere di accertare, avvalendosi dei suoi poteri istruttori anche ufficiosi ed acquisendo le informazioni sul paese di origine, l’effettività del divieto legale di simili minacce, ove sussistenti e gravi, ovvero se le autorità del Paese di provenienza siano in grado di offrire adeguata protezione al ricorrente (Cass. 15 febbraio 2018, n. 3758).

4.2. – Vanno viceversa accolti gli altri motivi, che per il loro collegamento possono essere simultaneamente esaminati.

Il provvedimento impugnato si protrae per 15 fitte pagine, e si sofferma quasi esclusivamente a sciorinare nozioni concernenti il complessivo inquadramento nella disciplina della protezione internazionale e di quella umanitaria, anche, o meglio perlopiù, con riguardo ad aspetti del tutto estranei alla disposizione in effetti applicata, ossia del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), senza dire in concreto nulla sulle ragioni, rimaste infine totalmente oscure, che hanno indotto il Tribunale a ritenere la narrazione del richiedente non solo credibile, ma anche sussumibile entro l’ambito di applicazione della previsione citata.

Ciò che si sa è solo e soltanto quanto in precedenza virgolettato: ossia che il richiedente ha riferito di aver subito il tentativo di annessione a sè di una setta, e la successiva richiesta, non ottemperata, di compiere un omicidio: ma dal decreto del Tribunale non risulta neppure, tra i tanti interrogativi che una simile vicenda pone, quale fosse la setta che aveva inteso cooptare il richiedente, e se si trattasse di una setta religiosa o di una conventicola di altro genere; perchè mai avesse chiesto all’odierno intimato di uccidere un uomo; chi fosse questo sventurato, ovvero se la richiesta riguardasse addirittura un chiunque a scelta del P.E.; quali plausibili mezzi, per così dire, di convinzione o coercizione o sopraffazione, o cos’altro, possedesse tale setta per soggiogare gli aderenti e, in alternativa, spingere l’intimato a fuggire, successivamente al rifiuto dell’uccisione, e a temere per la vita in caso di rientro in Nigeria; cosa avesse condotto lo stesso, come sembra, visto che nulla si dice al riguardo, a non denunciare l’occorso alle forze dell’ordine; ovvero se, effettuata la denuncia, le autorità preposte se ne fossero disinteressate.

Alla pagina 13 del decreto, dopo la disamina di aspetti giuridici in gran parte totalmente privi di interesse per la soluzione del caso concreto, di cui si è accennato, si reputa di essere finalmente giunti al dunque, con l’annuncio che “sulla base dei principi appena ricordati, può passarsi, ora, all’esame della specifica posizione dell’odierno ricorrente. Ritiene il collegio che la narrazione dei fatti potesse essere ritenuta astrattamente attendibile”. Ma qui, sorprendentemente, la motivazione appena intrapresa si chiude, giacchè l’affermazione che precede è seguita da nulla più che dalla trascrizione di un articolo, definito interessante, sulle origine e sullo sviluppo del cultismo in Nigeria, articolo del cui interesse è però difficile capire il senso, visto che dal decreto non emerge, come si diceva, a quale setta il richiedente fosse stato richiesto di affiliarsi, e quali ne fossero, con sufficiente dettaglio, le caratteristiche, e dunque se detta ignota setta fosse riconducibile al numero di quelle di cui l’articolo discorre: e ciò indipendentemente dalla attendibilità del non meglio identificato Centro Ricerche Protezione Internazionale, da cui il documento proviene, ente di ignota natura e composizione, non si sa se pubblico o privato, al quale il giudice di merito ha ritenuto di affidarsi incondizionatamente ed acriticamente. Neppure un conato, in definitiva, di scrutinio della narrazione attraverso la lente dei criteri enunciati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Dopodichè si riprende, trascritto l’articolo citato, alla pagina 15, con la conclusiva osservazione che: “ciò detto in ordine alla credibilità del racconto”, e cioè dopo aver omesso di dire alcunchè sulla credibilità, “deve, tuttavia, escludersi che sussistano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato… Può, invece, trovare accoglimento la richiesta di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b). E invero, una volta ritenuta la credibilità del racconto fornito, non può essere revocato in dubbio il fatto che il P., in caso di rientro in Nigeria, sarebbe esposto a un grave rischio di essere ucciso dai componenti della setta dalla quale ha ritenuto di defilarsi”. Questo è tutto. Il perchè, in concreto, non possa essere revocato in dubbio che al P. sia interdetto il ritorno in Nigeria è rimasto confinato nel foro interno del Tribunale che ha assunto così fatta decisione.

Si tratta insomma, espunta dal testo del decreto l’esposizione delle superflue considerazioni di ordine generale sulla materia, di una motivazione autoreferenziale, di un vuoto circolo vizioso, privo del benchè minimo riferimento ad un qualche argomento esterno apprezzabile nel suo concreto contenuto: un esempio paradigmatico, dunque, di ciò che questa Corte stigmatizza come motivazione meramente apparente, la quale si risolve in ciò, che la domanda è accolta perchè accolta, fondata perchè fondata, senza il benchè minimo appiglio utile a rendere palese le ragioni della decisione. Cosa mai esponga il P., visto che è stata fatta applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), a tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine, non è in conclusione punto dato sapere. Tutto ciò in violazione dell’obbligo del giudice (anche ove redige un decreto motivato), che è per legge – anzitutto per Costituzione – tenuto all’obbligo di una comprensibile motivazione.

PQM

rigetta il primo motivo ed accoglie gli altri, cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese al Tribunale dell’Aquila in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

 

 

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