Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 120 del 04/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 04/01/2017, (ud. 10/11/2016, dep.04/01/2017),  n. 120

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7650-2016 proposto da:

T.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RICCARDO LANTE

GRAZIOLI 16, presso lo studio dell’avvocato SUSANNA CHIABOTTO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO BONAIUTI

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 14/2016 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositato il 08/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Massimo Silvestri per la ricorrente.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Perugia in data 29 luglio 2015, T.R. proponeva opposizione avverso il decreto del Consigliere delegato della stessa Corte, con il quale era stata dichiarata l’inammissibilità del ricorso ex L. n. 89 del 2001 depositato in data 11/5/2015, con il quale era stata richiesta la condanna del Ministero resistente, al pagamento di un indennizzo in riferimento alla durata eccessiva del procedimento svoltosi dinanzi alla Corte dei Conti – Sezione giurisdizionale per il Lazio e proseguito dinanzi alla Sezione giurisdizionale centrale di appello, la quale lo aveva definito con sentenza del 14 novembre 2014.

Assumeva la opponente che era erronea la affermazione del giudice adito circa il carattere non definitivo della decisione resa in sede di appello dal giudice contabile, e motivata in ragione della possibilità che nel termine triennale di cui al R.D. n. 1214 del 1934, art. 68, lett. a), potesse essere sottoposta a revocazione ordinaria. In particolare la ricorrente aveva provveduto anche alla notifica della sentenza in data 6 gennaio 2015, sicchè tale adempimento era idoneo a far decorrere il termine breve anche per la proposizione della detta revocazione.

Ad avviso della Corte d’Appello la tesi però non poteva essere condivisa, ribadendosi la natura speciale del termine previsto per la revocazione ordinaria nei confronti delle sentenze della Corte dei Conti emesse in grado di appello, che è destinato a trovare applicazione anche nell’ipotesi in cui la sentenza sia stata notificata.

Quindi richiamati i precedenti di questa Corte (Cass. n. 15778/2010 e Cass. n. 9843/2012), ribadiva che alla data di presentazione del ricorso, era ancora carente il requisito della definitività del provvedimento che aveva chiuso il procedimento presupposto.

Per la cassazione di questo decreto la ricorrente ha proposto ricorso affidato ad un motivo.

L’intimato Ministero ha resistito con controricorso.

Con l’unico motivo la T. denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 3 e 4, nonchè degli artt. 325, 326 e 327 c.p.c., in combinato disposto con il R.D. n. 1038 del 1933, artt. 26 e 90.

Si sostiene che in realtà la sentenza adottata in sede di appello dalla Corte dei Conti avrebbe carattere definitivo sul presupposto che la notifica della stessa sentenza operata dalla ricorrente, era comunque idonea a far decorrere il termine breve anche per la proposizione della revocazione ordinaria, stante quanto previsto dal R.D. n. 1058 del 1933, art. 90, che appunto individua nella notifica della decisione impugnata il dies a quo per l’impugnazione delle decisioni del giudice contabile.

Ritiene il Collegio che il ricorso debba essere accolto, in quanto, conformemente a quanto dedotto dalla ricorrente, alla sentenza de qua adottata dalla Corte dei Conti in sede di appello, debba attribuirsi il carattere della definitività, idoneo a consentire il soddisfacimento del presupposto di proponibilità della domanda di equo indennizzo di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, così come riformulato a seguito della novella del 2012.

Ed, invero è indubbio che la notifica della sentenza abbia in ogni caso fatto decorrere il termine breve per l’eventuale impugnabilità della decisione del giudice contabile dinanzi a questa Corte nonchè per la proposizione della revocazione ordinaria di cui al citato R.D. n. 1214 del 1934, art. 68, lett. a), assicurando quindi il conseguimento del carattere della definitività che consente la proposizione della domanda di equo indennizzo.

Ma anche con specifico riferimento alla possibilità della revocazione, appare necessario fare richiamo ai principi affermati da questa Corte nella recente sentenza n. 25179/2015, la cui massima afferma che, in caso di irragionevole durata del giudizio di appello della Corte dei conti, la domanda di equa riparazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4 (nel testo originario, applicabile “ratione temporis”), può essere proposta anche all’esito del giudizio di revocazione ordinaria, sempre che questo sia stato introdotto entro sei mesi dal deposito della sentenza che ha concluso il giudizio presupposto, essendo irrilevante, perchè assolutamente straordinario, il termine di tre anni previsto per la revocazione dal R.D. n. 1214 del 1934, art. 68.

La soluzione alla quale è pervenuta la Corte in tale occasione, sebbene relativa, come visto ad un procedimento di equo indennizzo ancora sottoposto alle regole vigenti prima della riforma del 2012, appare però improntata ad una chiara rivisitazione della propria precedente giurisprudenza in tema di accertamento della definitività della decisione emesse in sede di appello dalla Corte dei Conti, alla luce della possibilità che le stesse potessero essere oggetto di revocazione ordinaria nel termine triennale.

La motivazione del provvedimento, si preoccupa appunto di contemperare i principi sino a quel momento affermati, e che portavano a differire l’attribuzione del carattere della definitività al decorso del detto termine triennale, con gli effetti scaturenti dalla novella, che hanno posto il carattere definitivo come condizione di ammissibilità della stessa domanda di equo indennizzo.

Dovendosi dare atto che, il termine triennale per la revocazione introduce un elemento di specialità nella disciplina del giudizio che si svolge dinnanzi alla Corte dei conti, deve però patrocinarsi la diversa conclusione, rispetto a quanto in passato sostenuto, secondo cui, una volta depositata la sentenza in grado di appello che conclude un giudizio che la parte ritenga si sia irragionevolmente protratto, per la parte comincia a decorrere un doppio termine:

quello di sei mesi per la proposizione della domanda di equa riparazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4 (nel testo previgente);

ovvero il termine triennale per la proposizione della revocazione.

Ne conseguirebbe tuttavia che la domanda di equa riparazione, a seguito delle novella del 2012, sarebbe procrastinata di ben tre anni in forza di un termine certamente di natura straordinaria per la sua entità. Si è quindi ritenuto che un giusto equilibrio possa essere conseguito affermando che ove la parte, nei sei mesi dal deposito della sentenza della Corte dei conti emessa in grado di appello, opti per la proposizione della domanda di revocazione, ciò valga a qualificare il giudizio stesso quale prosecuzione di quello conclusosi con la sentenza oggetto di revocazione ordinaria, sì che, ai fini della individuazione del termine di sei mesi per la proposizione della domanda di equa riparazione dovrà aversi riguardo al momento conclusivo del procedimento di revocazione.

Ove, invece, la parte non intenda avvalersi del rimedio della revocazione entro i sei mesi dal deposito della sentenza della Corte dei conti in grado di appello avrà l’onere di proporre la domanda di equa riparazione, secondo la nuova disciplina di cui al D.L. n. 83 del 2012, nei sei mesi successivi alla definitività della sentenza pronunciata in appello.

Ritiene il Collegio di dover dare continuità a tale principio, con la conseguenza, che, non avendo la parte inteso proporre istanza di revocazione nei sei mesi dalla pubblicazione della sentenza d’appello della Corte dei Conti, quest’ultima ha assunto carattere di definitività ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4.

Ne discende che il ricorso risulta fondato ed il decreto impugnato deve essere cassato con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato con rinvio ad alla Corte d’appello di Perugia in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2017

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