Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11997 del 16/05/2017

Cassazione civile, sez. III, 16/05/2017, (ud. 21/10/2016, dep.16/05/2017),  n. 11997

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2839/2014 proposto da:

D.C.L.M., domiciliata ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANTONIO BONGIORNO, giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

IACP ISTITUTO AUTONOMO CASE POPOLARI MESSINA, IMPRESA

S.A., G.A.;

nonchè da:

– intimati –

IACP ISTITUTO AUTONOMO CASE POPOLARI DI MESSINA, in persona del

proprio Presidente p.t, quale legale rappresentante, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PARIOLI 24, presso lo studio

dell’avvocato TOMMASO GUALTIERI, rappresentato e difeso

dall’avvocato CANDELORO DOMENICO NANIA, giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente incidentale –

contro

D.C.L.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 614/2012 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 22/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/10/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto, assorbito incidentale condizionato.

Fatto

I FATTI

D.T.A. e D.C.G. – in proprio e in rappresentanza della figlia minore E. -, D.C.L.M. e R. convennero dinanzi al Tribunale di Messina il locale IACP e l’impresa S., esponendo che, nel (OMISSIS), D.C.L.M. aveva riportato una vasta ferita da taglio alla gamba sinistra ed altra ferita al ginocchio destro cadendo nel bagno dell’abitazione familiare, di proprietà dell’Istituto per le case popolari, a causa di materiali di risulta abbandonati in loco dall’impresa convenuta, che eseguiva lavori di restauro per conto del detto Istituto.

Il giudice di primo grado accolse la domanda della sola D.C.L.M., condannando i convenuti in solido a risarcirle i danni patiti, rigettando la domanda di manleva proposta dallo S. nei confronti di tal G. (per carenza di prova che quest’ultimo fosse stato incaricato di smaltire il materiale di demolizione e risulta da parte dello S.), e riconoscendo infine all’IACP il diritto di rivalsa nei confronti dello S..

La corte di appello di Messina, investita delle impugnazioni, principale e incidentali, hinc et inde proposte:

– Confermò la pronuncia di primo grado in punto di esclusione della responsabilità dell’IACP e del G.;

– Confermò, in parte qua, l’affermazione di responsabilità di S.A.;

– Ritenne concorrente nella misura del 50% quella della danneggiata D.C.L.M.;

– Rideterminò, conseguentemente, la somma dovutale, confermandone la voce relativa al danno biologico;

Riconobbe e liquidò il danno morale soggettivo (non riconosciuto in prime cure), personalizzando poi l’importo del danno biologico considerato nella sua dimensione dinamico-relazionale;

– Confermò il rigetto di tutte le altre pretese risarcitorie degli appellanti incidentali.

Avverso la sentenza della Corte siciliana D.C.L.M. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un (apparentemente unico) motivo di censura.

Resiste con controricorso l’IACP, che propone a sua volta ricorso incidentale condizionato.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile.

Con il primo motivo, si denuncia violazione ed erronea applicazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, degli artt. 2043 e 1662 c.c..

Nella lunga e defatigante esposizione della censura, parte ricorrente sovrappone, senza distinguerli, (pretesi) vizi di violazione di legge e censure relative al contenuto della motivazione, e sovrappone ancora inammissibili riferimenti alla pronuncia di primo grado (si legge al folio 20 del ricorso: “il secondo motivo di appello è inammissibile nel rito e nel merito e deve essere disatteso e rigettato”) e censure di mero fatto alla sentenza di appello. Sentenza che, con ampia, articolata ed esauriente motivazione, del tutto scevra da vizi logico-giuridici, che il collegio interamente condivide, ha fatto puntuale e rigorosa applicazione di principi consolidati presso questo giudice di legittimità tanto in tema di responsabilità dell’appaltatore quanto di liquidazione del danno non patrimoniale, quanto ancora di legittimazione a pretenderlo da parte dei cd. danneggiati riflessi.

La Corte territoriale, dando piena attuazione al generale principio di diritto processuale che impone, nella motivazione, il rispetto di criteri logici di giustificazione razionale del raggiunto convincimento e dell’adottata decisione, offre chiara e puntuale valutazione, condivisibilmente argomentata, della valenza e dell’efficacia probatoria attribuita agli elementi acquisiti al processo, ritenendo la ricostruzione del fatto, così come operata in sede di motivazione, dotata di un più elevato grado di conferma logica e di credibilità razionale rispetto ad altre, possibili e pur prospettate ipotesi fattuali alternative.

Tutte le censure ad essa mosse sono, pertanto, irrimediabilmente destinate ad infrangersi sul più che corretto impianto motivazionale della sentenza d’appello descritto in narrativa, dacchè esse, nel loro complesso, pur formalmente abbigliati in veste di denuncia di una (peraltro del tutto generica) violazione di legge e di un (asseritamente) decisivo difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito.

Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, mediante una specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie astratta applicabile alla vicenda processuale, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto irricevibili, volta che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere in alcun modo tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale, ovvero vincolato a confutare qualsiasi deduzione difensiva.

E’ poi principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5, non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile).

Non senza rammentare come, all’esito delle modificazioni apportate all’art. 360 c.pc.., n. 5, dalla L. n. 134 del 2012, il vizio motivazionale denunciabile non sia più quello (illegittimamente lamentato dal ricorrente) di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, bensì quello di omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti – onde l’ulteriore inammissibilità, in parte qua, delle censure mossa alla sentenza impugnata.

Per altro verso, il ricorrente, nella specie, pur denunciando, formalmente, un insanabile deficit motivazionale della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai definitivamente cristallizzate sul piano processuale) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai consolidatosi, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione probatoria, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata – quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

Il ricorso incidentale è conseguentemente assorbito nella declaratoria di inammissibilità di quello principale, attesone l’espresso condizionamento al suo eventuale accoglimento.

Le spese del giudizio di Cassazione seguono il principio della soccombenza.

Liquidazione come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito quello incidentale condizionato, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 5.200, di cui Euro 200 per spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari alla somma già dovuta, a norma del predetto art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2017

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