Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11991 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. I, 06/05/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 06/05/2021), n.11991

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6174/2019 proposto da:

C.K., rappresentato e difeso dall’Avv. Alessandro Calabrese,

giusta procura alle liti allegata al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– controricorrente –

avverso il decreto n. 96/2019 del Tribunale di L’Aquila, pubblicato

il 15 gennaio 2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/02/2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con decreto del 15 gennaio 2019, il Tribunale di L’Aquila ha rigettato il ricorso proposto da C.K., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Il richiedente ha dichiarato di avere lasciato il paese di origine per dissidi con il padre e con la matrigna, la quale aveva ferito sua madre; che il padre, messo al corrente di tale occorso, lo aveva minacciato di morte, ove avesse preso di nuovo le difese della madre o fosse fuggito in altro Paese.

3. Il Tribunale ha ritenuto che i fatti esposti non integravano una persecuzione personale dovuti a motivi di discriminazione e che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, tenuto conto dei motivi che avevano determinato la fuga del ricorrente dal Gambia e dell’evoluzione della situazione politica del paese, caratterizzata dalla celebrazione di elezioni democratiche e dalla vittoria del nuovo Presidente B.; quanto alla protezione umanitaria, i giudici di merito hanno precisato che non era stata allegata alcuna delle ragioni umanitarie previste dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

4. C.K. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a due motivi.

5. L’Amministrazione intimata ha depositato controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, con specifico riferimento alla protezione sussidiaria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il vizio di motivazione apparente, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione della situazione aggiornata esistente in Gambia e dell’omessa attività istruttoria.

1.1. Premessa l’inammissibilità del motivo, formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), deve evidenziarsi che il dedotto omesso esame di fatto decisivo non sussiste perchè il Tribunale ha valutato la situazione esistente in Gambia e la sussistenza di una minaccia grave alla vita o alla persona del ricorrente a causa di situazioni di conflitto armato interno in corso, tali da esporre i civili a un rischio indiscriminato, rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), escludendone la sussistenza sulla base di fonti internazionali, espressamente richiamate e aggiornate al 2017 (pagine 3 e 4 del provvedimento impugnato).

1.2 Del pari insussistente è il vizio dedotto di violazione di legge per l’omessa indagine istruttoria officiosa circa le condizioni sociali e politiche del Paese di provenienza, poichè, come detto, il Tribunale ha consultato e utilizzato fonti informative, assolvendo così al proprio dovere di “cooperazione istruttoria”, mentre il ricorrente, che pure si lamenta della valutazione del Tribunale, non afferma di aver prodotto ai giudici di merito fonti informative alternative sulla situazione politica, economica e sociale attuale del Gambia, limitandosi a contestare,la valutazione di merito espressa dal Tribunale, non sindacabile in questa sede.

1.3 Peraltro, la fonte indicata dal ricorrente in questa sede, ovvero il report COI, relativo al periodo ottobre 2017 – marzo 2018, conferma i progressi esistenti in Gambia dopo l’elezione del nuovo presidente B., mentre l’altra fonte richiamata (UNHCR), oltre ad essere priva di una specifica collocazione temporale, non si pone in modo contraddittorio con quanto affermato dal Tribunale, evidenziando come causa di instabilità politica l’esodo dal Gambia verso il Senegal di una moltitudine di persone.

1.4 Il richiamo, poi, a precedenti giudiziari favorevoli a persone provenienti dal Gambia non può assumere decisivo rilievo in quanto frutto della valutazione delle circostanze specificamente accertate in detti giudizi.

1.5 Va inoltre ricordato, in proposito, che l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente, che è prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503).

1.6 La domanda avente ad oggetto il riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), in cui rileva la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento, è stata dunque correttamente disattesa.

Il Tribunale ha, altresì, provveduto ad escludere la sussistenza di situazioni di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)) valorizzando il mutato assetto politico-istituzionale del Gambia.

1.7 Anche la censura sulla motivazione apparente è inammissibile, poichè la motivazione dettata dal Tribunale, pur sintetica, è esistente e consente di ricostruire il percorso logico seguito nel rispetto dei canoni di congruità logica e come tale è idonea a sottrarsi alla dedotta censura.

Al riguardo, è utile ribadire che il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza ricorre ogni qualvolta il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logico-giuridica, rendendo così impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 5 agosto 2019, n. 20921; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, con riferimento alla protezione umanitaria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la motivazione apparente, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 e del D.Lgs. n. 257 del 2008, art. 32; l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione della situazione aggiornata esistente in Gambia e dell’omessa attività istruttoria.

2.1 Anche il secondo motivo è inammissibile perchè, oltre a sovrapporre ancora una volta mezzi d’impugnazione eterogenei, non censura la ratio decidendi puntualmente espressa dal Tribunale per negare il riconoscimento del richiesto permesso di soggiorno per motivi umanitari, che ha specificamente affermato che il richiedente non aveva allegato la sussistenza di seri motivi, ovvero di situazioni soggettive di vulnerabilità riconducibili ai motivi di età e di salute o a pregresse esperienze traumatiche; nè di un percorso di integrazione di formazione o lavorativo.

2.2 Il ricorrente, peraltro, si è limitato ad una critica sterile indirizzata alla motivazione del provvedimento impugnato, senza nulla aggiungere, nemmeno in questa sede, con riferimento alla posizione personale e ad una qualche situazione di vulnerabilità in grado di giustificare le ragioni umanitarie richieste per il permesso di soggiorno.

2.3 Sul punto va richiamato il principio affermato da questa Corte secondo cui “In materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass., 9 luglio 2020, n. 14548; Cass. n. 15794 del 12/06/2019).

Ed invero, l’allegazione da parte del richiedente della situazione generale del paese di provenienza non può prescindere, per essere positivamente apprezzata dal giudice del merito nella valutazione comparativa tra integrazione nel paese di accoglienza e la situazione del paese di provenienza, dall’aspetto individualizzante rispetto alla vita precedente del richiedente protezione, tale da evidenziare le condizioni di vulnerabilità soggettive necessarie per il riconoscimento dell’invocata protezione umanitaria, non potendosi ritenere pertinenti nè rilevanti allegazioni generiche sulla situazione del paese di provenienza del richiedente in ordine alla privazione dei diritti fondamentali ovvero in ordine alla condizione di pericolosità interna che siano scollegate dalla situazione soggettiva dello stesso richiedente.

2.4 Ciò posto va evidenziato che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass., 22 febbraio 2019, n. 5358).

Secondo il richiamato orientamento giurisprudenziale, i seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali cui del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, sono accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

La condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio (Cass. 15 maggio 2019, n. 13079).

Con particolare riferimento al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, questo, tuttavia, può assumere

rilevanza non quale fattore esclusivo, bensì quale circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale da tutelare mediante il riconoscimento di un titolo di soggiorno (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

Ed infatti, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza e, tuttavia, non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass., 28 giugno 2018, n. 17072; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).

Così facendo, infatti, si prenderebbe altrimenti in considerazione, piuttosto che la situazione particolare del singolo soggetto, quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali e astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass., 3 aprile 2019, n. 9304; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).

3. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna C.K. alla rifusione, in favore del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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