Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11990 del 31/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 31/05/2011, (ud. 16/03/2011, dep. 31/05/2011), n.11990

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ELETTROEDIL DI DI GAETANO BARTOLOMEO & C. SNC in persona del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

FERDINANDO DI SAVOIA 3, presso lo studio dell’avvocato GAGLIARDI

AMEDEO M., rappresentato e difeso dagli avvocati PANICCIA GIOVANNI,

GERVASI NICOLO’, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DI ROMA in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 46/2005 della COMM. TRIB. REG. di PALERMO,

depositata il 24/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE FERRARA;

udito per il ricorrente l’Avvocato PANICCIA, per delega Avvocato

GERVASI, che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di invito ai contraddittorio finalizzato ad un accertamento con adesione per l’anno 1996, al quale la Elettroedil di Di Gaetano Bartolomeo & C. s.n.c. dava riscontro con l’invio di una memoria volta a rappresentare la particolare situazione nella quale era venuta a trovarsi nell’anno in questione a causa di un incendio doloso verificatosi nei suoi locali e di altre vicende anomale, l’Amministrazione Finanziaria notificava alla contribuente, sulla base dei parametri previsti dal D.P.C.M. 29 gennaio 1996, come modif.

con D.P.C.M. 27 marzo 1997, un avviso di accertamento con il quale si contestavano maggiori ricavi per L. 889.094.000, annullando così la perdita di esercizio dichiarata dalla società e accertando un reddito imponibile di L. 207.358.000, con le conseguenti imposte dovute per Ilor e Iva.

Avverso tale atto impositivo proponeva ricorso la società deducendo in particolare, oltre al difetto di motivazione dell’atto impugnato, l’illegittimità e l’erronea applicazione al caso di specie dei parametri previsti dal D.P.C.M. 29 gennaio 1996, come modif. con D.P.C.M. 27 marzo 1997, anche in ragione della situazione soggettiva nella quale essa aveva operato per le esposte ragioni.

Il Giudice adito accoglieva il ricorso, ma l’Ufficio proponeva gravame e la C.T.R. della Sicilia con sentenza n. 46/1/05, depositata il 24.10.2005 e non notificata, in riforma della decisione di primo grado accoglieva solo parzialmente le doglianze della contribuente rideterminando i ricavi della società in L. 776.882.000.

Per la cassazione della sentenza proponeva ricorso nei confronti dell’Agenzia delle Entrate la società Elettroedil articolando tre motivi.

L’intimata limitava la propria attività difensiva al deposito di mero atto di costituzione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente rileva la Corte doversi ritenere l’inammissibilità della costituzione in giudizio della parte intimata, in quanto realizzatasi in maniera meramente formale, con atto del tutto privo dei contenuti di cui all’art. 370 c.p.c..

2. Con il primo motivo deduce la ricorrente “violazione e/o falsa applicazione di norme o principi di diritto. Mancato pronunciamento circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 “, lamentando al riguardo che il giudice di merito avrebbe omesso “ogni pronuncia e commento” in ordine all’eccezione formulata in sede di appello circa l’inammissibilità del gravame perchè proposto dalla neo istituita Agenzia delle Entrate (estranea al Ministero delle Finanze) tramite un funzionario, e senza l’assistenza di un difensore.

La doglianza è sotto più profili inammissibile. Ed invero, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, l’omessa pronuncia su una domanda, ovvero su specifiche eccezioni fatte valere dalla parte, integra una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4, e, conseguentemente, è inammissibile il motivo di ricorso con il quale la relativa censura sia proposta sotto il profilo della violazione di norme di diritto, ovvero come vizio della motivazione (v. Cass. 17.12.2009, n. 26598; 4.6.2007, n. 12952; 22.11.2006, n. 24856;

14.2.2006, n. 3190).

In ogni caso, poi, affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito siano state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, per il principio dell’autosufficienza del ricorso, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, onde consentire al giudice di verificarne, unitamente alla ritualità e tempestività, anche la decisività (v. Cass. 31.1. 2006, n. 2138; 27.1.2006, n. 1732;

28.7.2005, n. 15781). Tale onere nei caso di specie non risulta assolto dalla ricorrente.

2. Con il secondo motivo denuncia ancora la contribuente il vizio di violazione e/o falsa applicazione di norme o principi di diritto, e mancato pronunciamento circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 e con riferimento, verosimilmente, all’incidenza sulla propria attività d’impresa del dedotto incendio e delle altre sventure verificatesi in suo danno nel 1996.

La censura è infondata e in parte addirittura inammissibile.

La violazione di legge risulta infatti dedotta in maniera assolutamente generica, senza neanche il formale richiamo alla previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e soprattutto senza la chiara indicazione delle norme che si assume sarebbero state violate.

In ogni caso la vicenda appare decisa dal giudice sulla base dell’esatta individuazione delle norme applicabili e di una corretta ricostruzione dei fatti posti a fondamento della decisione, sorretta da una motivazione che, per quanto espressa con toni eccessivamente paternalistici e in maniera sicuramente prolissa, risulta chiara nei suoi contenuti fondanti, e soprattutto contestata dalla contribuente in maniera meramente dialettica e approssimativa, con un approccio manifestamente tendente, più che a censurare un effettivo vizio di motivazione, a invocare una nuova valutazione nel merito, certamente precluso in sede di legittimità.

Come da questa Corte anche recentemente ribadito: “La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena ia nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (v. Cass. SS.UU. sent. 18.12.2009, n. 26635).

Così riassuntivamente esposta la disciplina dell’accertamento, nel caso di specie la contribuente non contesta il procedimento di applicazione dei parametri seguito dall’Ufficio, ma piuttosto la sussistenza di quelle condizioni di “normalità” che ne avrebbero giustificato l’applicazione nei suoi confronti. Tale contestazione, però, per un verso fonda su circostanze mai meglio precisate, oltre che mai documentate (i vari atti vandalici dei quali sarebbe stata vittima nel periodo in questione), mentre per altro verso collega ad un evento/incendio subito, che risulta puntualmente valutato dai giudice del gravame, che nella sentenza impugnata di quella circostanza ha tenuto debitamente conto, nella misura in cui l’ha ritenuta rilevante, detraendo dai maggiori ricavi accertati dall’Ufficio l’importo dei beni da ritenersi invenduti perchè oggetto di richiesta da parte della contribuente, di indennizzo alla società assicuratrice. Al riguardo è appena il caso di rilevare che tutto quanto ulteriormente dedotto in ordine alla corrispondenza tra indennizzo percepito e danno effettivamente subito per la distruzione della merce, nonchè per i danni conseguenti al preteso periodo di inattività al quale la società sarebbe stata costretta per effetto dell’incendio, nonchè alle altre difficoltà e costi affrontati per la ripresa dell’attività, risulta solo genericamente invocato in ricorso, senza che però in alcun modo risulti in quali termini esposto e specificamente documentato nel giudizio di merito.

Così che in definitiva, nel mentre l’accertamento, nel suo impianto essenziale deve ritenersi provato sulla base di quel sistema di presunzioni al quale correttamente ha fatto riferimento l’Ufficio, le giustificazioni dedotte dalla contribuente non possono che trovare accoglimento nella misura in cui risultano effettivamente incidenti sull’attività di impresa, come ha in concreto ritenuto il giudicante con decisione ampiamente argomentata, e sostanzialmente censurata unicamente per la mancata valutazione di circostanze non documentate, onde l’infondatezza del motivo di ricorso in esame.

3. Con il terzo motivo denuncia infine la contribuente il vizio di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. con ciò lamentando che nell’impugnata sentenza la C.T.R. avrebbe erroneamente affermato che l’Ufficio emise l’avviso di accertamento sulla base di attenta valutazione delle circostanze specifiche del caso concreto, laddove invece quell’atto sarebbe scaturito dall’automatica applicazione dei parametri, senza nessuna considerazione della particolarità della situazione della società, in conseguenza del noto e documentato incendio.

Il motivo è per più aspetti inammissibile in quanto assolutamente generico nella esposizione delle ragioni per le quali risulterebbero violate le norme indicate, ed inoltre rivolto a censurare prevalentemente l’avviso di accertamento piuttosto che la sentenza, e sulla base di affermazioni non verificabili per la mancata trascrizione dei contenuti essenziali del suddetto atto, circostanza quest’ultima determinante anche ai fini della verificabilità dell’unica censura rivolta effettivamente al giudicante (l’infondatezza dell’accertamento contenuto in sentenza circa i riferimenti contenuti nella motivazione dell’atto, alla concreta situazione della società).

4. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, nulla dovendosi disporre per le spese in assenza di valida costituzione della parte intimata.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2011

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