Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11990 del 10/06/2016

Cassazione civile sez. I, 10/06/2016, (ud. 13/04/2016, dep. 10/06/2016), n.11990

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FORTE Fabrizio – Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1283/2015 proposto da:

B.P.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.

BANTI 34, presso l’avvocato ANNA MARIA BRUNI, che lo rappresenta e

difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA SPAZIALE ITALIANA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

S.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI

NOVELLA 22, presso l’avvocato DANILA PAPARUSSO, che la rappresenta

e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 11372/2014 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 19/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2016 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO;

udito, per la controricorrente S., l’Avvocato PAPARUSSO

DANILA che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.P.E., dipendente dell’Agenzia Spaziale Italiana (A.S.I.) ha proposto reclamo al Garante della Privacy perchè, nel corso di una selezione per titoli e colloquio volta ad un passaggio di funzioni all’interno dell’Agenzia, veniva pubblicato sul sito Internet dell’A.S.I. il curriculum di un’altra concorrente, S. A.M., all’interno del quale si faceva riferimento ad una serie di contenziosi che coinvolgevano in prima persona il ricorrente con precisa indicazione del nominativo, delle parti, del numero di R.G. e allegazione degli atti giudiziari. Tale curriculum è rimasto sul sito internet per molto tempo, in quanto rimosso solo nel febbraio 2012.

Il Garante ha affermato che, sebbene la pubblicazione sia avvenuta in ossequio ad un obbligo di legge, l’eccessivo grado di dettaglio delle informazioni contenute nel curriculum ha determinato una violazione del principio di pertinenza e non eccedenza stabilito nell’art. 11 del Codice Privacy nonchè con specifico riguardo ai dati personali riferiti a soggetti terzi (tra cui il reclamante (in esso contenuti) un’illecita diffusione degli stessi (artt. 11 e 19 del Codice). Tale pubblicazione non trova idonea base giuridica nella menzionata norma di settore volta al perseguimento delle finalità di trasparenza e rendicontazione della performance dei titolari delle posizioni organizzative e dirigenziali.

In conclusione, l’Agenzia all’atto della pubblicazione del curriculum di S.A.M. avrebbe dovuto operare una selezione delle informazioni in esso contenute espungendo od oscurando dati riferiti a soggetti terzi la cui diffusione non trova idonea base giuridica nella disciplina della trasparenza ex art. 19 Codice Privacy. Ferma la facoltà di attivare pretese risarcitorie nei confronti dell’Agenzia.

Tale provvedimento è stato impugnato dal B. al fine di estendere l’illegittimità del comportamento ascritto all’A.S.I. ad S.A.M. anche al fine della responsabilità risarcitoria.

Il Tribunale di Roma ha respinto la domanda sulla base delle seguenti argomentazioni:

Le domande nei confronti di S.A.M. sono infondate.

L’agenzia ha pubblicato il curriculum per sua autonoma scelta a causa dell’inosservanza da parte della S. del termine impostole per la trasmissione del curriculum appositamente destinato alla pubblicazione in adempimento all’obbligo legale stabilito nella L. n. 150 del 2009, art. 11, lett. f), relativo al concorso del 2011. La resistente ha allegato di essere venuta a conoscenza dell’avvenuta abusiva pubblicazione di un curriculum presentato due anni prima per un’altra finalità e ne ha presentato un altro richiedendo ed ottenendo che fosse sostituito al primo.

Ne consegue il difetto del nesso di causalità tra la presentazione del curriculum del 2009 a fini di selezione interna e la pubblicazione del medesimo curriculum nel 2011 per adempimento agli obblighi di trasparenza normativamente previsti. Infine, dagli atti del concorso si evince chiaramente che l’autorizzazione da parte dell’aspirante al trattamento dei propri dati personali era stata concessa soltanto ai fini della selezione concorsuale.

Il curriculum presentato dalla S. era finalizzato al perseguimento di un legittimo interesse personale ed i dati personali del B. non erano destinati alla diffusione essendo già nella disponibilità dell’Agenzia, non essendo neanche configurabile un interesse apprezzabile di terzi al riguardo. Nei suoi confronti opera pertanto la causa di esclusione stabilita nell’art. 5, comma 3, del Codice secondo la quale il trattamento di dati personali delle persone fisiche per fini esclusivamente personali è soggetto all’applicazione del codice solo se i dati sono destinati ad una comunicazione sistematica o alla diffusione.

Per quanto riguarda l’Agenzia il Tribunale esclude la sussistenza di un danno non patrimoniale apprezzabile in capo al ricorrente, dal momento che lo stesso ha appreso del trattamento dei suoi dati solo successivamente al concorso e anche se ne avesse avuto conoscenza in corso di procedura, non avrebbe subito conseguenze negative in ordine alla propria partecipazione al concorso.

Peraltro l’art. 2059, esime dal provare la responsabilità ma non la sussistenza del danno ed il nesso di casualità.

Il Tribunale richiama infine le S.U. (n. 26972 del 2008) nella parte in cui escludono la risarcibilità dei danni futili. Il danno in questione, anche se di natura non patrimoniale, non può dirsi in re ipsa, nè può dirsi lesa la sua reputazione dal momento che i dati sono stati pubblicati soltanto dal 4 al 7 novembre 2011.

Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il B. affidato a 3 motivi. Hanno resistito con controricorso S.A.M. e l’A.S.I..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Nel primo motivo viene dedotta la nullità della sentenza per mancata lettura del dispositivo in udienza in violazione dell’art. 429 c.p.c., richiamato dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10.

Viene censurata sia la mancata lettura del dispositivo in udienza che la mancanza di data certa.

Dal verbale d’udienza non risulta traccia della lettura del dispositivo. La sentenza è stata depositata in cancelleria e la data di deposito non coincide con quella della pronuncia, dal momento che il timbro reca la firma del 21 poi corretta al 19.

Dalla sentenza depositata da parte del ricorrente risulta inequivocamente la data di emissione e pubblicazione della medesima nel giorno 19. Ciò emerge dalla indicazione delle date nella prima e nell’ultima pagina della medesima prima della sottoscrizione del giudice e del cancelliere. Il timbro con data diversa apposto a lato è al riguardo del tutto irrilevante non essendo accompagnato o annullato da alcuna sottoscrizione.

Deve aggiungersi in ordine al rilievo dell’omessa lettura del dispositivo in udienza che la parte ricorrente ne ha censurato la mancanza senza indicare (cfr. pag. 7 tra parentesi la indicazione carente “all…”) come rinvenire il documento che doveva costituire la prova di tale vizio. La parte resistente S., tuttavia ha riprodotto il provvedimento del giudice in questione il quale reca “Il G.U. decide la causa stessa dando lettura del dispositivo e contestuale motivazione”.

La censura è, di conseguenza manifestamente infondata.

Nel secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15, nonchè la mancata applicazione dell’art. 11, per aver escluso la sussistenza del danno non patrimoniale nonostante la violazione accertata sulla base di una lettura ingiustificatamente restrittiva dell’art. 2050 e 2059 c.c..

Nel terzo motivo violazione e falsa applicazione D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15 ed art. 11, con riferimento alla responsabilità della S. per non aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.

Le due censure possono essere trattate congiuntamente in quanto logicamente connesse.

In ordine alla lamentata esclusione del danno non patrimoniale, presumibilmente riferibile ad entrambe le parti resistenti, deve osservarsi che, come già nella fase di merito, anche nell’esposizione del motivo di ricorso nulla viene addotto a sostegno dell’esistenza di un danno conseguito all’immagine, alla reputazione, o alla lesione di altri diritti fondamentali (salute, identità etc.) conseguente alla illegittima condotta dell’Agenzia. La pronuncia citata a sostegno del motivo è del tutto contrastante con il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno in re ipsa come può evincersi agevolmente dalla massima ufficiale:

“Il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 15 (cosiddetto codice della privacy), pur determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli artt. 2 e 21 Cost. e dall’art. 8 della CEDU, non si sottrae alla verifica della “gravità della lesione” e della “serietà del danno” (quale perdita di natura personale effettivamente patita dall’interessato), in quanto anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost., di cui il principio di tolleranza della lesione minima è intrinseco precipitato, sicchè determina una lesione ingiustificabile del diritto non la mera violazione delle prescrizioni poste dall’art. 11 del codice della privacy ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva. Il relativo accertamento di fatto è rimesso al giudice di merito e resta ancorato alla concretezza della vicenda materiale portata alla cognizione giudiziale ed al suo essere maturata in un dato contesto temporale e sociale” (Cass. 16133 del 2014).

Quanto al profilo di responsabilità della S., evidenziato nel terzo motivo deve rilevarsi che, nonostante l’ampia articolazione della censura non viene colta la ratio decidendi della sentenza impugnata, fondata sull’assenza del nesso causale, per essere la decisione relativa alla pubblicazione del curriculum precedentemente consegnato dalla resistente all’Agenzia, una scelta assunta in totale autonomia dall’Ente. L’asserita mancanza di cautele da parte della S., risulta irrilevante in quanto esaminabile solo all’esito del riconoscimento di un collegamento eziologico tra la condotta (omessa presentazione del curriculum aggiornato) e l’evento (pubblicazione del precedente).

L’accertata mancanza di responsabilità della S. in ordine all’evento esonera dall’esame della censura relativa al danno.

Al rigetto del ricorso consegue l’applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali di questo giudizio.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare rispettivamente a ciascuna delle parti resistenti Euro 3000 per compensi; Euro 200 per esborsi oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2016

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