Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11990 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. I, 06/05/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 06/05/2021), n.11990

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

B.E.E., rappr. e dif. dall’avv. Daniela Gasparini,

daniela.gasparin.milano.pecavvocati.it, elett. dom. presso lo studio

in Milano, via Lamarmora n. 42, come da procura in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

per la cassazione del decreto Trib. Milano 24.4.2019, n. 3946/2019,

in R.G. 40147/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 10.2.2021.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. B.E.E. impugna il decreto Trib. Milano 24.4.2019, n. 3946/2019, in R.G. 40147/2018 di rigetto del ricorso avverso il provvedimento di diniego della tutela invocata dinanzi alla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e da tale organo disattesa;

2. il tribunale, per quanto qui di residuo interesse, ha ritenuto, all’esito dell’udienza e valutata la non necessità di disporre audizione anche giudiziale: a) esclusa la integrale credibilità della richiedente, proveniente dal Ghana, per via della inattendibilità ed inverosimiglianza del narrato, per come riferito al timore di subire ritorsioni al rientro, da parte degli anziani del villaggio, per il rifiuto a divenire fetish priest, ruolo di cui non si sarebbe mai informato, nè quanto a consistenza nè alle ragioni della propria predestinazione da parte di una cerchia parentale in realtà in esposto conflitto con la madre, evidenziata la sua nascita fuori dal matrimonio e la costrizione della genitrice all’allontanamento dal villaggio, nè infine per gli effetti del rifiuto e ciò anche in contrasto con le fonti consultate per comprendere l’istituto; b) insussistenti i rischi di atti persecutori, privato il carattere del supposto agente persecutorio (gli anziani del villaggio), nè dimostrati comportamenti in tal senso compressivi dei diritti umani fondamentali; c) insussistenti i presupposti della protezione sussidiaria, per difetto di danno grave ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), mancando oltretutto la sicura prospettazione di una minaccia a distanza di tempo (9 anni) dai fatti ancorchè in ipotesi veri e anche la distanza dai luoghi d’origine rispetto a quelli di sede dei predetti anziani, nonchè il conflitto armato ai sensi dell’art. 14 cit., lett. c), non risultando segnalazioni di tal fatta per l’area di provenienza, secondo le fonti COI citate; d) infondata la richiesta di protezione umanitaria, mancando altre situazioni di vulnerabilità o radicamenti accertati in Italia ovvero negative condizioni di salute non curabili, avendo il ricorso solo richiamato il vissuto dell’istante e la limitata integrazione, interna al sistema di accoglienza.

3. il ricorrente propone tre motivi di ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè come vizio di motivazione, la mancata considerazione dei parametri normativi sulle persecuzioni e la violazione dell’onere di cooperazione in capo al giudice circa l’approfondimento delle dichiarazioni rese, la valutazione di non credibilità e la situazione del Ghana;

2. con il secondo mezzo si deduce l’erroneità del decreto ancora quanto alla violazione degli obblighi di cooperazione istruttoria circa il narrato e la situazione del paese di provenienza;

3. con il terzo mezzo si deduce l’erroneità del decreto ove ha escluso ai fini della protezione umanitaria – la vulnerabilità nonostante l’abbandono del padre, la perdita della madre e la giovane età;

4. i primi due motivi, da trattare congiuntamente per connessione, sono inammissibili, per plurimi profili; esso enunciano, invero, un’eterogenea deduzione di vizi tra loro incompatibili, permettendo solo a fatica di isolare quale nucleo fondamentale – l’avversione al decreto in una parte ordinatamente individuata; per un verso, si premette, l’invocazione di un preteso dovere violato, da parte del tribunale, circa una seconda audizione, s’infrange con il limite redazionale dello stesso ricorso che non precisa quali fatti nuovi o decisivi chiarimenti in ordine al narrato il richiedente intendeva integrare mediante la qui genericamente censurata omessa rinnovazione

(pag. 8), così incorrendo nel difetto di sufficiente specificità del ricorso; infatti, si ribadisce, “ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero” (Cass. 5973/2019); si tratta di adempimento dunque non strettamente necessario, “a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo nel ricorso non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass. 21584/2020);

5. nel motivo, invece, non è dato superare il principio per cui, proprio nel solco di quanto affermato da Cass. 21584/2020, “il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; in particolare il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza” (Cass. 25312/2020); va pertanto ribadito che il principio “equivale a costruire l’audizione pur sempre come oggetto di una facoltà, non di un obbligo; sebbene di una facoltà che, laddove esercitata in un senso o nell’altro, presupponga (come ovvio) l’esplicitazione dei motivi della afferente decisione”;

6. quanto alla credibilità, il motivo è inammissibile anche per tale profilo, alla luce del principio, pienamente osservato nella motivazione, per cui “del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, enuncia alcuni parametri, meramente indicativi e non tassativi, che possono costituire una guida per la valutazione nel merito della veridicità delle dichiarazioni del richiedente, i quali, tuttavia, fondandosi sull'”id quod plerumque accidit”, non sono esaustivi, non precludendo la norma la possibilità di fare riferimento ad altri criteri generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese, non essendo, in particolare, il racconto del richiedente credibile per il solo fatto che sia circostanziato, ai sensi del comma 5, lett. a), della medesima norma, ove i fatti narrati siano di per sè inverosimili secondo comuni canoni di ragionevolezza” (Cass. 20580/2019); va invero ribadito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 3340/20149);

7. nella specie, l’intera doppia censura, appare enunciata in via del

tutto generica ove indica un decreto privo di motivazione o con motivazione contraddittoria od omessa, mentre la doglianza si atteggia, nella sostanza, in una lunga e reiterata non condivisione dell’apprezzamento di fatto cui è giunto il tribunale; nè il ricorso dà migliore resoconto della rilevanza del contesto sociale in cui opera l’istituto del fetish priest, in relazione al vissuto esposto e ai fatti selezionati, per come solo alternativamente esaminati dal tribunale, anche per le conseguenze in concreto assumibili dal rifiuto per come dichiarato e nonostante la inverosimiglianza delle circostanze della vicenda di allontanamento dalle pratiche temute; in ogni caso, il nucleo essenziale della motivazione resa dai giudici milanesi, in punto di ravvisata non credibilità del narrato per radicale genericità dell’esposizione su tale punto decisivo, è oggetto di critica che s’infrange nei limiti cui è sottoposto il giudizio di legittimità sulla motivazione (Cass. s.u. 8083/2014);

8. quanto alla situazione del Ghana, il decreto vi ha correttamente attribuito rilevanza, stante il pronunciato giudizio sulla credibilità (negata dal giudice di merito), orientando negativamente la valutazione sulla protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) e comunque negando si trattasse di profili di danno grave in ogni caso pertinenti, al pari di quelli persecutori;

9. parimenti, non appare idoneamente censurata l’altra ratio decidendi su cui s’impernia il rigetto, e cioè l’assenza in Ghana,secondo le fonti indicate, di un conflitto armato ai sensi e per gli effetti di protezione invocati D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c), tenuto conto che il conflitto armato interno, va ripetuto, rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, nel senso che “il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 18306/2019); tanto più che il ricorrente ha l’onere di indicare le COI che secondo la sua prospettazione avrebbero potuto condurre ad un diverso esito del giudizio, con la conseguenza che, in mancanza di tale allegazione, non potendo la Corte di cassazione valutare la teorica rilevanza e decisività della censura, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile (Cass. 22769/2020);

10. quanto al terzo motivo, le ragioni non credute dell’allontanamento e del timore per il rientro mostrano di reagire negativamente anche sul giudizio proprio della protezione umanitaria, non permettendo di attuare una comparazione effettiva sulla situazione di vulnerabilità che graverebbe sul richiedente al rientro; non basta invero, e in ogni caso, la segnalazione di alcuni indici di inserimento in Italia, rispetto ai quali la motivazione della pronuncia impugnata comunque ha preso posizione, indicando in modo specifico la loro insufficienza, perchè labili e provvisori, non avendo oltre tutto il ricorrente allegato altre circostanze, oltre ai “traumi” patiti e il timore per il rimpatrio, motivatamente svalutati dal tribunale; nè il ricorrente anche in questa sede – ha indicato altro fattore oltre alla sua presenza nel territorio italiano e il timore di danni gravi o persecuzioni al rientro, ma per ragioni non credute, così rispettando il principio per cui già Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), ha statuito che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″ (indirizzo ribadito da Cass. s.u. 29460/2019);

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

 

 

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