Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11987 del 31/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 31/05/2011, (ud. 15/03/2011, dep. 31/05/2011), n.11987

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27112/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

FALL DIMSAU SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 399/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 28/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

15/03/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

udito per il ricorrente l’Avvocato SPINA MARIA LUISA, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’inammissibilità in via

principale, in subordine il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

01. Con sentenza n. 487/06/2001 la commissione tributaria provinciale di Latina accoglieva il ricorso che la curatela del fallimento DIMSAU S.r.l. aveva proposto contro l’avviso di accertamento notificato il 22 settembre 2000, in forza del quale l’amministrazione pretendeva, per l’anno 1994, maggiori somme per IRPEG, ILOR e CCS e irrogava sanzioni per infedeli dichiarazioni IRPEG e ILOR e irregolare tenuta della contabilità.

02. L’amministrazione ha appellato la decisione che è stata invece confermata il 28 giugno 2008 dalla sezione staccata di Latina della commissione tributaria regionale di Roma.

03. La CTR motiva la decisione ritenendo che, sul recupero a tassazione di L. 80.917.000 per quota di ammortamento relativa a prestazioni tecniche specialistiche per la realizzazione di programmi, riferita alla fattura n. 53/94 emessa dalla soc. Tecnoteam per l’importo di L. 242.750.000, l’affermazione dell’ufficio, secondo cui “a dimostrazione del predetto costo, la società non ha esibito alcun documento comprovante l’effettività dello stesso”, contrasta con il contenuto del verbale della Guardia di finanza del 24 marzo 1997, ove si parla di recupero a tassazione “per mancanza del requisito della inerenza”; il che comporta che “il recupero debba essere annullato per difetto di motivazione (sub specie di motivazione apparente)”.

04. Inoltre, il giudice d’appello, evidenzia l’illegittimo recupero a tassazione dell’importo di L. 95.122.000 per costi non deducibili, in quanto fondato solo su dichiarazioni orali rese da terzi e dunque inutilizzabili nel processo tributario ove vige il divieto della prova testimoniale; tali dichiarazioni, infatti, erano state rese dal presidente della cooperativa TRAME che aveva emesso le fatture e dagli esecutori materiali dei lavori fatturati, dalle quali emergeva che questi era stati pagati alle persone che avevano effettuato i lavori.

05. In proposito precisa: “è agevole avvedersi come la Guardia di Finanza prima e l’Ufficio impositore poi riconoscano l’esistenza di prestazioni indicate nelle fatture contestate, come riconoscano il pagamento dei relativi corrispettivi, tanto e vero che – contestualmente all’avviso di accertamento che qui si impugna – l’Ufficio ha notificato alla società ricorrente un avviso di accertamento di somme soggette a ritenute alla fonte, nel quale le contesta l’omessa ritenuta sui corrispettivi medesimi”.

06. Infine, la CTR nega il recupero a tassazione dell’importo di L. 22.828.000 a titolo di ammortamenti indetraibili, siccome “è anch’esso un recupero illegittimo, in quanto relativo a costi di competenza dell’esercizio”.

07. Il 28 settembre 2006 propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, l’avvocatura erariale per l’agenzia delle entrate e il ministero dell’economia e delle finanze; la curatela non svolge attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

08. Preliminarmente, si rileva la carenza di legittimazione processuale dell’altro soggetto rappresentato dall’avvocatura erariale, il ministero dell’economia e delle finanze, che non è stato parte nel giudizio di secondo grado ed è oramai estraneo al contenzioso tributario dopo la creazione delle agenzie fiscali.

L’intervento ministeriale in cassazione è dunque inammissibile e il ricorso dell’avvocatura dello stato va esaminato unicamente riguardo all’agenzia delle entrate, che è la sola a essere legittimamente impugnante.

09. Nel merito, con il primo motivo, l’avvocatura erariale denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, per avere i giudici d’appello erroneamente rilevato, in ordine alla fittizietà dei costi, che “per l’Ufficio il costo non sarebbe effettivo, sarebbe cioè fittizio, per la G.d.F. sarebbe effettivo, ma non inerente”.

10. Afferma che, dalle verifiche della G.d.F., era emerso che non vi era corrispondenza tra documentazione esibita dalla società contribuente e dalla soc. Tecnotem e che i floppy con i programmi di gestione di magazzino non erano mai stati utilizzati dalla DIMSAU. Sostiene che “è corretta la tesi della fittizietà, poichè trattasi di costi sostenuti per l’acquisizione di prestazioni tecniche relative all’attuazione di programmi che però non sono stati mai realizzati … ed è corretta la tesi dei costi non correlati ad alcun ricavo e, quindi, privi del requisito dell’inerenza all’attività svolta”.

11. Il motivo è inammissibile. L’art. 75 cit. (nel testo vigente ratione temporis), dettando le norme generali sui componenti del reddito d’impresa, stabilisce che le spese e gli altri componenti negativi sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito.

12. Nella specie, da quanto è dato desumere dal ricorso e dalla sentenza impugnata, per la Guardia di Finanza il costo non è inerente, perchè relativo alla gestione di programmi di magazzino di produzione mai concretamente attuati; di contro, per l’Ufficio ciò sarebbe elemento logico e circostanziale della fittizietà del costo.

13. Le due posizioni sono necessariamente antitetiche; i giudici d’appello, facendo applicazione dell’art. 75 cit., negano che l’atto impositivo possa fondarsi sulla coesistenza di due tesi logicamente e giuridicamente divergenti e giammai sovrapponibili, non potendo un costo esse contemporaneamente non inerente (ma reale) e fittizio.

14. Su tale doppio binario l’agenzia continua inammissibilmente a muoversi pure in cassazione, senza considerare che è necessario, anche in caso di denuncia di errore di diritto, che la parte ottemperi al principio di autosufficienza del ricorso (correlato all’estraneità del giudizio di legittimità all’accertamento del fatto), indicando in maniera adeguata la situazione fattuale della quale si chiede un’adeguata valutazione giuridica, diversa da quella compiuta dai giudici d’appello, asseritamente erronea (Cass. 9206/2000, 721/2001, 9777/2001).

15. Nella specie manca proprio quell’esposizione logica ed esauriente (Cass. 7825/2006) che sola consente la chiara e completa cognizione dei fatti (Sez. Un. 11663/2006 e 2602/2003). Nel contesto del ricorso non si rinvengono, invece, quegli elementi indispensabili per una precisa conoscenza (Cass. 3905/1987 e 13550/2004) dei costi contestati e della loro natura (non inerente oppure fittizia), senza la necessità per questa Corte di ricorrere ad altre fonti (art. 366 c.p.c.).

16. Nel motivo si accenna alla fattura n. (OMISSIS) e soprattutto al contenuto del p.v.c. della G.d.F. e dell’avviso di accertamento, asseritamente decisivi ai fini della pronunzia e trascurati o mal valutati dal giudice d’appello. Tali documenti non risultano – però – essere stati offerti all’attenzione di questa Corte, atteso che il ricorso si conclude senza alcun riferimento al loro deposito.

17. In proposito, è da rilevare che l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (nel testo vigente prima della novella del D.Lgs. n. 40 del 2006), dispone il deposito, unitamente al ricorso, degli atti e documenti sui quali esso è fondato. Tale onere non è adempiuto se non si specifica che il documento è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile, senza che rilevi la sola riproduzione nel ricorso di passi del documento stesso (cfr. in generale Cass. sez. trib. 5 febbraio 2011, n. 2803 e giurisprudenza ivi citata). Ciò vale anche nel processo tributario, essendo tali principi compatibili con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 25 (cfr. sent. ult. cit.).

18. Con il secondo motivo, l’avvocatura erariale denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 7 e 37, per avere il giudice d’appello affermato, in relazione al rilievo dei costi indeducibili (L. 95.122.000), l’illegittimità del recupero in quanto fondato esclusivamente su dichiarazioni rese da terzi, inutilizzabili nell’accertamento e nel processo tributario. La medesima questione è sollevata anche sotto il profilo dell’omessa motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

19. Il motivo è inammissibile poichè nella sentenza in esame, come si è esposto in narrativa, si rinvengono sul punto di merito due autonome rationes decidendi: la prima fondata sulle contestate informazioni orali (v. sopra sub 04), la seconda fondata – invece – su dati documentali e contabili e sull’azione stessa del fisco (v.

sopra sub 05), elementi questi ultimi non impugnati dalla ricorrente.

20. Com’è noto, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte e autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto d’interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (cfr.

da ultimo Cass. 3386/2011).

21. Il ricorso è dunque inammissibile; nulla è dovuto per spese in assenza di attività difensiva della parte intimata.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2011

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