Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11987 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 19/06/2020, (ud. 18/09/2019, dep. 19/06/2020), n.11987

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2446/2012 R.G. proposto da:

L.V.J., rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe

Cacciato ed elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio

Tivoli & Associati, in via Marocco n. 18, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 236/28/2010, depositata il 13 dicembre 2010.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 settembre

2019 dal Consigliere Marco Dinapoli.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.1- L.V.J., titolare della ditta Autoboutique, impugna l’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2003 con cui vengono accertate maggiori imposte (Irpef, Irap, Iva e sanzioni) in relazione alle operazioni di acquisto di numerose autovetture dalla ditta Car Trading Corvetti, fittiziamente interposta al solo fine di conseguire risparmi fiscali.

1.2- La Commissione Tributaria di primo grado accoglie il ricorso motivando con riferimento alla assoluzione della L.V. da parte del Tribunale penale di Monza dal reato di cui all’art. 81 c.p. e al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2.

1.3- La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in parziale accoglimento dell’appello dell’Agenzia delle entrate, dichiara dovuta l’Iva ma non anche le imposte sui redditi, ritenendo errata la motivazione della sentenza di primo grado, perchè fondata unicamente sul dispositivo della sentenza penale di assoluzione, che invece non è vincolante per il giudice tributario, per il quale ha valore di semplice indizio. La responsabilità della contribuente per l’indebita detrazione dell’Iva sarebbe invece dimostrata dalle caratteristiche vistosamente fittizie del venditore apparente (privo di struttura commerciale, che ha esercitato la vendita all’ingrosso di autoveicoli di provenienza comunitaria per soli 20 mesi con un fatturato di oltre 100 milioni di Euro senza presentare alcuna dichiarazione fiscale e senza versare l’Iva) e dalla intensità dei rapporti commerciali intercorsi fra le parti (il 90% del fatturato di acquisto della Autoboutique è intercorso con la Car Trading.

1.4- Ricorre per cassazione solo la contribuente (è passata in giudicato quindi la decisione relativa alle imposte sui redditi) con due motivi e chiede la cassazione della sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione.

1.5- L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso e chiede respingersi il ricorso avverso, vinte le spese processuali.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

2.1- Il primo motivo di ricorso denunzia la nullità della sentenza impugnata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa motivazione in quanto la sentenza impugnata non avrebbe indicato da quali elementi emergerebbe la partecipazione psicologica della L.V. alla frode.

2.2- Il secondo motivo denunzia il vizio di omessa motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) perchè la sentenza impugnata avrebbe omesso di esaminare i fatti oggetto di valutazione da parte del giudice penale, in particolare la tracciabilità dei pagamenti e la conformità ai listini del prezzo di acquisto delle auto.

3.- Le c.d. “frodi carosello” sono caratterizzate da un rapporto trilatero, in cui un soggetto economico fittiziamente interposto importa merce (in genere veicoli usati) da un venditore residente in un Paese comunitario in esenzione dalli Iva, e la rivende ad un terzo, apparentemente con aggravio dell’Iva, che però non versa, mentre il terzo la contabilizza in detrazione, in violazione del principio della neutralità dell’imposta.

4.- Questa Corte si è occupata ripetutamente degli aspetti tributari del fenomeno e dei criteri di ripartizione dell’onere della prova fra l’Amministrazione Finanziaria ed il contribuente formulando i principi di diritto che seguono, cui occorre dare continuità anche in questa sede: 1) “in tema di Iva, l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta”; 2) “la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente” 3) “incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Cass. Sez. V 20 aprile 2018 n. 9851).

5.- La sentenza impugnata in questa sede appare rispettosa di tali principi, mentre non colgono nel segno i motivi di ricorso proposti. Non sussiste, in particolare, il vizio di motivazione lamentato, in quanto il giudice a quo ha fatto una valutazione complessiva degli elementi di fatto acquisiti al processo, ritenendo prevalenti quelli posti a base della decisione presa; l’omessa specifica valutazione di tutte le questioni prospettate dalle parti non integra invece il vizio lamentato dalla ricorrente (Cass. Sez. U. n. 8053/2014 e n. 19881/2014; Cass. Sez. V n. 23140/2017).

6.- Il ricorso pertanto deve essere rigettato, con le pronunzie che ne conseguono anche in tema di regolamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente L.V.J. al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 7.800

(settemilaottocento) oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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