Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11985 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 06/05/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 06/05/2021), n.11985

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Rel. Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 1531 del ruolo generale dell’anno

2016, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

Contro

Aemme Ufficio s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro

tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine

del controricorso, dall’Avv. Giuseppe Di Dio, elettivamente

domiciliata presso lo studio dell’avv.to Paolo Totarelli, in Roma,

Via Tuscolana n. 220;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, n.

2577/64/15, depositata in data 10 giugno 2015, non notificata;

Lette le conclusioni scritte del P.G., in persona del sostituto

procuratore generale Dott. Giacalone Giovanni, il quale ha chiesto

il rigetto del ricorso;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio del

19 gennaio 2021 dal Relatore Cons. Putaturo Donati Viscido di Nocera

Maria Giulia.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

– con sentenza n. 2577/64/15, depositata in data 10 giugno 2015, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, accoglieva l’appello proposto da Aemme Ufficio s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 97/02/13 della Commissione tributaria provinciale di Bergamo che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta contribuente avverso l’avviso di accertamento T9F03B102478/2011 con il quale l’Ufficio, previo p.v.c. della G.d.F., aveva recuperato a tassazione, per l’anno 2006, costi indebitamente dedotti, ai fini Ires e Irap e detratti ai fini Iva, afferenti a fatture emesse dalla società asseritamente “cartiera” Search di S.R. & C. s.a.s. per operazioni ritenute oggettivamente inesistenti;

-in punto di fatto, il giudice di appello ha premesso che: 1) previo p.v.c della G.d.F., con l’avviso di accertamento (OMISSIS), l’Ufficio aveva recuperato nei confronti della Aemme Ufficio s.r.l., per l’anno 2006, costi, ritenuti indeducibili ai fini delle imposte dirette e indetraibili ai fini Iva, per Euro 768.567,10, relativi a fatture asseritamente fittizie emesse dalla Search di S.R. & C. s.a.s.; ciò in quanto era emerso che la fornitrice non aveva una struttura organizzativa, le somme pagate per le forniture (Euro 225.200) erano di molto inferiori al totale dovuto (Euro 992.269), non erano stati esibiti i DDT attestanti i trasporti della merce, poi prodotti in sede di procedimento di accertamento con adesione, il magazzino della contribuente era sottodimensionato rispetto al volume delle forniture e la modalità di pagamento (attraverso l’emissione di assegni bancari intestati alla stessa società e la corresponsione dell’incasso alla fornitrice) era del tutto anomala; 2) avverso l’avviso aveva proposto ricorso la contribuente dinanzi alla CTP di Bergamo che, con sentenza n. 97/2/13, l’aveva rigettato; 3) avverso la sentenza di primo grado aveva proposto appello l’Agenzia e aveva controdedotto la contribuente;

– la CTR, nel ritenere legittima la deduzione dei costi ai fini delle imposte dirette e la detraibilità ai fini Iva, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che:1) ancorchè dal p.v.c. della G.d.F. potesse desumersi che la fornitrice Search di S.R. & C. s.a.s fosse una mera “cartiera” non presentando struttura organizzativa, non poteva non considerarsi che la contribuente aveva venduto il materiale di cui alle fatture di acquisto che risultava pervenuto in forza dei documenti di trasporto (DDT) agli atti; 2)i prodotti DDT erano documenti utilizzabili (in quanto non risultava che non fossero stati esibiti ai verificatori dietro specifica richiesta di questi ultimi) e credibili, in quanto anche le consegne molto ravvicinate si giustificavano proprio in considerazione della circostanza che la fornitrice non avesse mezzi di trasporto adeguati e dovesse provvedere con mezzi di piccola portata alla consegna del materiale con conseguente necessità di effettuare più viaggi; 3) le fatture di vendita della ricorrente non erano state contestate; 4)gli elementi presuntivi posti dall’Ufficio a base dell’accertamento riguardavano, da un lato, esclusivamente la fornitrice (la mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi, circostanza non a conoscenza della società verificata) e, dall’altro, circostanze non univoche al fine di dimostrare il coinvolgimento della contribuente come il pagamento in contanti o l’esposizione debitoria; anche la circostanza relativa al sottodimensionamento del magazzino rispetto al volume delle forniture non era convincente in quanto l’area ritenuta dall’Ufficio insufficiente, in base a quella dichiarata negli studi di settore, non era stata corredata da prove che giustificassero la conclusione dell’Amministrazione;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resiste, con controricorso, la contribuente;

– il ricorso è stato fissato in camera di Consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2697 c.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per avere la CTR, in violazione delle massime di esperienza e dei principi in tema di formazione della prova presuntiva, pur a fronte del riconosciuto carattere di “cartiera” della fornitrice Search s.a.s., desunto la prova della effettività delle forniture da una assunta corrispondenza tra le fatture di acquisto e quelle di vendita della contribuente e dalla movimentazione della merce come comprovata dai prodotti documenti di trasporto della merce fatturata (ammettendo, in tal modo, quantomeno, la soggettiva inesistenza delle operazioni di acquisto), senza valutare, con criterio complessivo, i molteplici elementi presuntivi della inesistenza (oggettiva) delle operazioni fatturate offerti dall’Ufficio quali il tipico modo di agire delle cartiere (mancata presentazione delle dichiarazioni reddiduali), la anomala modalità di pagamento (attraverso l’emissione di assegni a se stesso del legale rappresentante della contribuente, asseritamente incassati da quest’ultimo con versamento contestuale in contanti alla fornitrice), la rilevante esposizione debitoria della contribuente, essendo l’ammontare dei pagamenti largamente inferiore al fatturato e la dimensione del magazzino, come dichiarata dalla stessa contribuente negli studi di settore, insufficiente rispetto al volume delle forniture;

– il primo motivo è fondato per le ragioni di seguito indicate;

– premesso che “ove la fattura costituisce in tutto o in parte mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, l’Amministrazione ha l’onere di fornire elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva (Cass. n. 21953/07, 9784/10, 9108/12, 15741/12, 23560/12; 27718/13, 20059/2014, 26486/14, 9363/15; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C-439/04; 21 febbraio 2006, C-255/02; 21 giugno 2012, C-80/11; 6 dicembre 2012, C-285/11; 31 novembre 2013, C-642/11), del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata, dopo di che spetta al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate; tale prova, tuttavia, non può consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poichè questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. nn. 11624 del 2020; 28572 del 2017; 5406 del 2016, 28683 del 2015, 428 del 2015, 12802 del 2011, 15228 del 2001); e comunque, una volta accertata l’assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente (rilevante invece nella diversa ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti), il quale ovviamente sa bene se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il prezzo o corrispettivo” (Cass. n. 18118 del 2016, in motivazione; Cass. n. 16473 del 2018);

– “In tema di IVA, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia”.(ex muitis, Cass. Sez. 5, n. 17619 del 2018; Sez. 5, n. 27554 del 2018; n. 430 del 2020);

– “In materia di deducibilità dei costi d’impresa, la derivazione dei costi da una attività che è espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’attività dell’impresa, come in caso di operazioni oggettivamente inesistenti per mancanza del rapporto sottostante, comporta il venir meno dell’indefettibile requisito dell’inerenza tra i costi medesimi e l’attività imprenditoriale, inerenza che è onere del contribuente provare, al pari dell’effettiva sussistenza e del preciso ammontare dei costi medesimi; tale ultima prova non può, peraltro, consistere nella esibizione della fattura, in quanto espressione cartolare di operazioni commerciali mai realizzate, nè nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, l’quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 33915 del 19/12/2019);

– quanto al censurato malgoverno del materiale probatorio da parte del giudice di merito, è pacifico che competa alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729 c.c. alla fattispecie concreta, poichè se è devoluta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c., per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (cfr. Cass., sent. n. 19352/2018; ord. n. 10973/2017, Cass., sent. n. 1715/2007); ebbene, in ordine all’utilizzo degli indizi, mentre la gravità, precisione e concordanza degli stessi permette di acquisire una prova presuntiva che, anche sola, è sufficiente nel processo tributario a sostenere i fatti fiscalmente rilevanti, accertarti dalla amministrazione (Cass., sent. n. 1575/2007), quando manca tale convergenza qualificante è necessario disporre di ulteriori elementi per la costituzione della prova;

– la giurisprudenza di legittimità ha tracciato il corretto procedimento logico del giudice di merito nella valutazione degli indizi, affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorchè preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perchè è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (tra le più recenti cfr. Cass., sent. n. 12002/2017; Cass., ord. n. 5374/2017). Ciò che dunque rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi, o anche di un solo significativo indizio, a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente a fornire la prova contraria (Cass. n. 19352 del 2018); nella specie, premesso che viene in rilievo un’ipotesi di contestata inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate, la CTR non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi, in quanto, pur avendo rilevato come dal p.v.c. della G.d.F. fosse emerso, sebbene “con una certa approssimazione”, il carattere di “cartiera” della fornitrice Search s.a.s. in quanto priva di struttura organizzativa – il che, in base all’orientamento di questa Corte sopra richiamato, sarebbe stato sufficiente a ritenere assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova presuntiva dell’oggettiva inesistenza delle operazioni fatturate – non ha effettuato una valutazione complessiva dei molteplici elementi presuntivi della fittizietà delle fatturazioni offerti dall’Ufficio, quali la mancata presentazione delle dichiarazioni da parte della fornitrice, la anomala modalità di pagamento utilizzata (attraverso un non dimostrato incasso degli assegni a se stesso emessi dal legale rappresentante della società contribuente, con assunta consegna del contante alla fornitrice), l’esposizione debitoria della contribuente, stante la grande inferiorità dei pagamenti rispetto al fatturato e la insufficiente dimensione del magazzino, quale dichiarata dalla contribuente nello studio di settore; al riguardo, il giudice di appello ha erroneamente considerato ognuno di questi elementi presuntivi atomisticamente affermando che la mancata presentazione delle dichiarazioni costituiva una circostanza afferente esclusivamente la fornitrice, della quale la contribuente non avrebbe potuto esserne a conoscenza, che il pagamento in contanti e l’esposizione debitoria concretavano “circostanze non univoche” della fittizietà della fatturazione, e che, a fronte della non specifica contestazione delle dimensioni del magazzino prospettate dalla contribuente, l’insufficienza della detta area sostenuta dall’Ufficio, in base a quella dichiarata dalla stessa verificata nello studio di settore, non era stata “corredata da prove”; a fronte del ritenuto – in violazione dei criteri in tema di formazione della prova presuntiva – mancato assolvimento da parte dell’Ufficio dell’onere probatorio circa l’oggettiva inesistenza delle operazioni fatturate, la CTR – facendo comunque ricadere sulla contribuente l’onere della prova contraria – ha sostanzialmente considerato assolta da quest’ultima la prova circa l’effettiva esecuzione da parte della Search s.a.s. delle forniture fatturate sulla base di una assunta corrispondenza tra le fatture di acquisto e quelle di vendita della contribuente nonchè sulla base della movimentazione della merce come comprovata dai prodotti documenti di trasporto (DDT), giustificando, peraltro illogicamente – avendo, comunque, rilevato l’emersione dal p.v.c. del carattere di “cartiera” della fornitrice con assenza di struttura e mezzi – i tempi ravvicinati di consegna da essi risultanti, in considerazione della circostanza che la fornitrice “non avesse mezzi di trasporto adeguati e dovesse provvedere con mezzi di piccola portata alla consegna del materiale con necessità di effettuare più viaggi” – tutte circostanze di per sè non esaustive sotto il profilo della prova a carico della contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, circa l’effettiva esecuzione delle forniture da parte della società fatturante;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi e controversi per il giudizio, avendo la CTR ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento in questione, senza considerare una serie di elementi presuntivi della inesistenza delle operazioni commerciali fatturate quali il carattere di “cartiera” della fornitrice, del tutto priva di mezzi e di organizzazione, la modalità anomala degli assunti pagamenti della merce, l’esposizione debitoria della contribuente e il sottodimensionamento del magazzino rispetto al volume delle forniture;

– l’accoglimento del primo motivo di ricorso rende inutile la trattazione del secondo con assorbimento dello stesso;

-in conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; assorbito il secondo; cassa la impugnata sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per il governo delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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