Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11984 del 10/06/2016


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Cassazione civile sez. lav., 10/06/2016, (ud. 24/03/2016, dep. 10/06/2016), n.11984

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10493-2014 proposto da:

FONDAZIONE ENPAM, C.F. (OMISSIS), in persona del Presidente e

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA GULLI TOMMASO 11 sc. C int. 1, presso lo studio

dell’avvocato ALESSANDRO DIOTALLEVI, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

PAVIA RADIOLOGICA S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona

dell’Amministratore Unico pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA MONTE DELLE GIOIE 13, presso studio dell’avvocato

CAROLINA VALENSISE, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato PAOLO BONI, giusta procura speciale per Notaio;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8109/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/10/2013 R.G.N. 5584/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/03/2016 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito l’Avvocato DIOTALLEVI ALESSANDRO;

udito l’Avvocato VALENSISE CAROLINA;

udito l’Avvocato BONI PAOLO;

udito il P.M. in persona del sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con’sentenza del 21 ottobre 2013, la Corte d’Appello di Roma, in riforma della decisione di accoglimento integrale resa dal Tribunale di Roma, accoglieva solo in limitatissima parte la domanda proposta dalla Fondazione ENPAM nei confronti della Pavia Radiologica S.r.l. avente ad oggetto il recupero dell’omesso versamento da parte della Società del contributo che, ai sensi della L. n. 243 del 2004, art. 1, comma 39, le società professionali mediche e odontoiatriche, in qualunque forma costituite e le società di capitali, operanti in regime di accreditamento con il Servizio sanitario nazionale, sono tenute a versare al Fondo di previdenza a favore degli specialisti esterni dell’Ente nazionale di previdenza ed assistenza medici –

ENPAM, contributo previsto in misura pari al 2% del fatturato annuo attinente a prestazioni specialistiche rese nei confronti del Servizio sanitario nazionale e delle sue strutture operative, con attribuzione individuale della percentuale contributiva ai medici ed agli odontoiatri, da indicarsi nominativamente, che hanno partecipato alle attività di produzione del fatturato, applicando la sanzione relativa alla mera omissione di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. a).

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto essere coperta da giudicato, a seguito della sentenza 21752 resa dal Tribunale di Roma il 5.12.2007/6.2.2008 in analoga controversia pronunciata tra le stesse parti, la questione relativa alla determinazione della base di computo del contributo di cui è causa, in quella pronuncia individuato come corrispondente non al fatturato delle società predette per quanto limitato al regime di accreditamento con il SSN, ossia al controvalore di tutte le prestazioni specialistiche rese, ma al reddito effettivamente percepito dal professionista specialista beneficiario della contribuzione ed applicabile la sanzione relativa alla mera omissione di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. a).

Per la cassazione di tale decisione ricorre la Fondazione ENPAM, affidando l’impugnazione a due motivi cui resiste, con controricorso, la Società.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la Fondazione denuncia la “errata interpretazione, violazione e la falsa applicazione della sentenza del tribunale di Roma, sezione lavoro, n. 21752″, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l'”erronea conoscenza dei fatti e presupposti. Illogicità manifesta”. Il motivo è articolato sotto due diversi profili: sotto il primo, la ricorrente assume l’erronea interpretazione e applicazione del giudicato da parte della Corte territoriale la quale non avrebbe considerato che il giudizio promosso dalla società (definito con la sentenza n. 21752) aveva ad oggetto l’accertamento negativo del diritto di essa Fondazione di pretendere il contributo e tale accertamento, in quanto avente un petitum diverso rispetto a quello posto a base della sua domanda (definita dal Tribunale con la sentenza n. 19438/07 e poi riformata dalla Corte d’appello con la sentenza oggetto di ricorso), non poteva valere come giudicato esterno, vincolante per il giudice del merito. Sotto il secondo aspetto, il motivo si incentra essenzialmente sulla ritenuta violazione della L. 23 agosto 2004, n. 243, art. 1, comma 39 e 40 la quale, nel prevedere che le società operanti in regime di accreditamento col servizio sanitario nazionale sono tenute a versare all’ENPAM un contributo pari al 2% del fatturato annuo, ha inteso disporre che il contributo deve essere calcolato sulla base del fatturato prodotto dalla società attraverso l’attività dei medici e degli odontoiatri, e non invece sulla base dei compensi corrisposti ai medici e odontoiatri operanti presso di loro in regime libero-

professionale.

Il secondo motivo è volto a denunciare a carico della Corte territoriale l’omessa pronunzia in ordine alla domanda, espressamente formulata nel ricorso introduttivo dalla Fondazione e ribadita in sede di gravame, di applicazione delle sanzioni L n. 178 del 2008, ex art. 16, comma 8, omessa pronunzia che è alla base dell’erronea statuizione di cessazione della materia del contendere in ordine alla domanda di pagamento della contribuzione tardivamente versata, rfesa dalla Corte medesima con riferimento ad un importo non comprensivo della quota relativa alle sanzioni applicate dalla Fondazione.

Nel suo controricorso la società sostiene la correttezza della decisione e insiste nell’eccezione di giudicato ribadendo la identità della causa petendi e (parzialmente) del petitum delle due controversie e l’intangibilità della decisione riguardante i criteri di quantificazione del contributo previdenziale.

Il primo motivo di ricorso, nella parte in cui contesta l’applicazione del principio del giudicato da parte della Corte territoriale, è infondato.

La Corte d’appello ha dato conto che tra i due giudizi – quello promosso dalla Fondazione ENPAM con ricorso dell’8/9/2006 (deciso dalla Corte territoriale con la sentenza qui impugnata) e quello promosso dallo Studio Fisiokinesiterapico Accademia S.r.l., unitamente ad altre società, con ricorso del 21/7/2006, definito con la sentenza n. 21752/07 passata in giudicato – vi è una parziale identità di parti, di petitum (accertamento del metodo di calcolo del contributo) e di causa petendi (applicazione della L. 23 agosto 2004, n. 243, art. 1, comma 39) e tale dato deve ritenersi pacifico oltre che incontestato.

Deve aggiungersi, al riguardo, che il ricorso rispetta il principio di specificità dei motivi e di autosufficienza, come delineato dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, dal momento che la parte ha trascritto le parti salienti del suo atto introduttivo del presente giudizio nonchè il ricorso proposto nel diverso procedimento dall’odierna controricorrente, al fine di sottolineare la diversità di petitum, costituito, nel primo, dall’accertamento positivo del suo diritto al contributo previdenziale con la condanna della controparte all’adempimento e, nel secondo, dall’accertamento negativo della sussistenza dell’obbligazione.

Ma tale incontestata diversità di petitum non conduce alle conseguenze indicate dalla Fondazione e ciò in forza di una corretta interpretazione dell’art. 2909 c.c.. Il giudicato sostanziale – che, in quanto riflesso di quello formale (art. 324 c.p.c.), fa stato ad ogni effetto fra le parti relativamente all’accertamento di merito, positivo o negativo, del diritto controverso – si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, compresi gli accertamenti di fatto che costituiscono le premesse necessarie ed il fondamento logico giuridico della pronuncia. L’autorità del giudicato, dunque, si esplica non solo nell’ambito della controversia e delle ragioni fatte valere dalle parti (cosiddetto giudicato esplicito), ma necessariamente anche agli accertamenti che si ricollegano in modo inscindibile con la decisione, formandone il presupposto, così da coprire tutto quanto rappresenta il fondamento logico giuridico della pronuncia. Si è così affermato che ” l’accertamento su un punto di fatto o di diritto costituente la premessa necessaria della decisione divenuta definitiva, quando sia comune ad una causa introdotta posteriormente, preclude il riesame della questione, anche se il giudizio successivo abbia finalità diverse da quelle del primo ed a condizione che i due giudizi abbiano identici elementi costitutivi dell’azione (soggetti, “causa petendi” e “petitum”), secondo l’interpretazione della decisione affidata al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove immune da vizi logici e giuridici” (Cass., Sez. Un., 14 giugno 1995, n. 6689; Cass., 24 marzo 2006, n. 6628; Cass., 12 dicembre 2003, n. 19046; Cass., 11 maggio 2000, n. 6041; Cass., 6 settembre 1999, n. 9401; Cass., 18 ottobre 1997, n. 10196; Cass. 27 ottobre 1994, n. 8865). Questa Corte ha pure affermato che, con la formula che il giudicato copre il dedotto e il deducibile, si afferma il principio -rispondente ad esigenze, non solo di natura teorico sistematica, ma altresì di certezza giuridica, di economia processuale e di ordine pratico – secondo cui la decisione giudiziale si forma con riferimento al bene della vita preteso e non già alle questioni trattate; e che, nell’applicare i principi sulla identificazione delle azioni, deve valutarsi se il risultato giuridico-pratico sostanziale già ottenuto dalla parte, ovvero ad essa negato con decisione non più impugnabile, sia già stato oggetto di tale decisione (e quindi di un accertamento definitivo ad ogni effetto ex art. 2909), nel qual caso l’interessato non può reclamare nuovamente lo stesso risultato, sia pure in base a differenti deduzioni giuridiche o di fatto, posto che l’affermazione della volontà della legge in relazione al caso concreto ha già avuto luogo e non può essere effettuata una seconda volta. (Cass., 28 aprile 1995, n. 4751, che richiama Cass. Sez. Un., 19 ottobre 1990 n. 10178).

Nel caso in esame, la questione relativa alle modalità di calcolo del contributo previdenziale previsto dalla L. cit., art. 1, comma 39, è stata già decisa con sentenza passata in giudicato e non è dubbio che essa costituisce un punto fondamentale tanto della prima quanto della seconda lite, il necessario antecedente logico giuridico sul quale entrambe le parti hanno chiesto la decisione con efficacia di giudicato. Non è dunque consentito alla parte, che sul punto è rimasta soccombente e che non ha ritenuto di proporre impugnazione, rimetterla in discussione nel diverso giudizio volto ad ottenere la quantificazione del contributo e la condanna della società al relativo pagamento.

La sentenza della Corte d’appello si è attenuta a questo principio con la conseguenza che il motivo di ricorso deve essere rigettato.

Il secondo motivo risulta parimenti infondato non riscontrandosi la denunciata omessa pronunzia per aver la Corte territoriale puntualmente motivato la statuita cessazione della materia del contendere relativamente alla pretesa inerente al pagamento del dovuto in relazione alla mancata contestazione in ordine al quantum dell’intervenuto pagamento.

In applicazione del criterio della soccombenza, la Fondazione deve essere condannata al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo. Poichè il ricorso è stato notificato in data successiva al 31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.100,00, di cui Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre al 15% per spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2016

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