Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11984 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 06/05/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 06/05/2021), n.11984

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Rel. Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 27440 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

Contro

Aemme Ufficio s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro

tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine

del controricorso, dall’Avv. Giuseppe Di Dio, elettivamente

domiciliata presso lo studio dell’avv.to Paolo Totarelli, in Roma,

Via Tuscolana n. 220;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, n.

3341/66/14, depositata in data 18 giugno 2014, non notificata;

Lette le conclusioni scritte del P.G., in persona del sostituto

procuratore generale Dott. Giacalone Giovanni, il quale ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio del

19 gennaio 2021 dal Relatore Cons. Putaturo Donati Viscido di Nocera

Maria Giulia.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 3341/66/14, depositata in data 18 giugno 2014, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, accoglieva l’appello principale proposto da Aemme Ufficio s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, e rigettava l’appello incidentale dell’Ufficio avverso la sentenza n. 157/10/13 della Commissione tributaria provinciale di Bergamo che, previa riunione, aveva accolto parzialmente i ricorsi proposti dalla suddetta contribuente avverso gli avvisi di accertamento (OMISSIS) e (OMISSIS) con il quale l’Ufficio, previo p.v.c. della G.d.F., aveva recuperato a tassazione, per il 2007-2008, costi indebitamente dedotti, ai fini Ires e Irap e detratti ai fini Iva, afferenti a fatture emesse dalla società asseritamente “cartiera” Search di S.R. & C. s.a.s. per operazioni ritenute oggettivamente inesistenti;

– in punto di fatto, il giudice di appello ha premesso che: 1) previo p.v.c della G.d.F., con gli avvisi di accertamento (OMISSIS) e (OMISSIS), l’Ufficio aveva recuperato nei confronti della Aemme Ufficio s.r.l., per il 2007-2008, costi, ritenuti indeducibili ai fini delle imposte dirette e indetraibili ai fini Iva, relativi a fatture asseritamente fittizie emesse dalla Search di S.R. & C. s.a.s., ciò, essendo emersi l’assenza di una struttura imprenditoriale della società emittente, la mancanza di beni strumentali idonei per la movimentazione delle ingenti quantità di materiale oggetto di compravendita, l’omessa esibizione dei DDT attestanti il trasporto della merce, il sottodimensionamento del magazzino della contribuente rispetto al volume delle forniture, una modalità anomala di pagamento (attraverso l’emissione di assegni bancari intestati alla stessa società e la corresponsione dell’incasso alla fornitrice), l’eccessiva esposizione debitoria nei confronti della fornitrice cartiera, l’omessa esibizione degli estratti conto bancari e l’omessa tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino e dell’inventario delle rimanenze; 2) avverso gli avvisi aveva proposto ricorsi la contribuente dinanzi alla CTP di Bergamo che, previa riunione, con sentenza n. 157/10/13, li aveva accolti parzialmente; 3) avverso la sentenza di primo grado aveva proposto appello principale la contribuente e appello incidentale l’Agenzia;

– la CTR, nel ritenere legittima la deduzione dei costi ai fini delle imposte dirette e la detraibilità ai fini Iva, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) l’operato della G.d.F. si fondava su un controllo eseguito nel 2010, in riferimento ad operazioni compiute negli anni 2006-2008, nei confronti della fornitrice Search di S.R. & C. s.a.s. la quale non aveva presentato la dichiarazione dei redditi e risultava, pertanto, inesistente, per cui i relativi dati contabili erano stati tratti dagli elenchi, clienti e fornitori, inoltrati regolarmente dalla contribuente, non consapevole della condotta omissiva della fornitrice; 2) la contribuente aveva documentalmente provato che la movimentazione della merce, oggetto delle fatture asseritamente fittizie, era effettivamente avvenuta come si evinceva dai documenti di trasporto per ciascuna fattura contestata prodotti dalla contribuente anche in sede penale (procedimento che si era concluso con una sentenza di non luogo a procedere per insussistenza del fatto); 3) i pagamenti erano stati tutti effettuati tramite assegni bancari anche se nella forma indiretta – anomala ma non irregolare- della intestazione a se stesso e del versamento dei contanti alla fornitrice che preferiva tale modalità a causa di proprie difficoltà con le banche; 4) a fronte della contestata esposizione debitoria della contribuente per avere pagato solo in parte le forniture fatturate, il legale rappresentante di quest’ultima aveva precisato (foglio 4 del p.v.c.) che molte di queste erano state stornate come “resi”; 5) il magazzino della contribuente non era sottodimensionato come contestato dall’Ufficio, essendo stata documentata un’ampiezza congrua (m.q. 360) per il deposito delle merci acquistate; 6) a fronte di fatture ritenute soggettivamente inesistenti, l’Agenzia non aveva, comunque, provato la connivenza nella frode della contribuente;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resiste, con controricorso, la contribuente;

– il ricorso è stato fissato in camera di Consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, per avere la CTR accolto l’appello principale della società contribuente, ancorchè nessuno degli argomenti posti dalla CTP a fondamento della decisione di primo grado fosse stato investito da specifici motivi di gravame, essendosi la contribuente limitata a richiamare la sentenza di proscioglimento ex art. 425 c.p.p. emessa nel procedimento penale a carico del suo rappresentante legale;

– il motivo è inammissibile;

– in disparte il richiamo in rubrica del n. 4 in luogo del n. 3 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, l’Agenzia, in difetto di autosufficienza, ha trascritto in ricorso un mero stralcio dell’atto di appello della contribuente (pag. 13-14) per cui non è dato a questa Corte verificare gli esatti termini della questione e averne la completa cognizione al fine di valutare la fondatezza della censura; peraltro, dallo stralcio dell’atto di appello incidentale trascritto in ricorso (pag. 14-15) non è dato evincere una specifica doglianza dell’Ufficio quanto alla assunta genericità dell’atto di appello principale, essendosi quest’ultimo difeso nel merito, prendendo posizione sulle singole doglianze della contribuente;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., sotto il profilo dell’ultrapetizione, per avere la CTR, nel ritenere, nella specie, effettivamente avvenute le operazioni fatturate (sebbene da un fornitore diverso dalla Search), fatto riferimento soltanto ad una nozione di operazioni soggettivamente inesistenti ancorchè l’Ufficio avesse contestato la oggettiva inesistenza delle medesime; con ciò eccedendo il thema decidendum, tanto più che nell’appello si era fatto riferimento esclusivamente alla sentenza penale di proscioglimento del legale rappresentante della contribuente;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2697 c.c., e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per avere la CTR, in violazione delle massime di esperienza e dei principi in tema di formazione della prova presuntiva, a fronte di elementi precisi, gravi e concordanti offerti dall’Ufficio circa la inesistenza delle operazioni fatturate, desunto la prova della effettività delle forniture (ipotizzando la soggettiva inesistenza delle operazioni di acquisto) dalla movimentazione della merce come comprovata dai prodotti documenti di trasporto della merce fatturata, dai pagamenti delle forniture in contanti con una modalità (attraverso l’emissione di assegni bancari intestati alla stessa società e la corresponsione dell’incasso alla fornitrice) anomala ma giustificabile avuto riguardo alla difficoltà con le banche della Search, dalla presenza di “resi” ancorchè non documentati, dal volume di ricavi dichiarati dalla contribuente (che, diversamente, non si sarebbe potuto giustificare se non supponendo l’applicazione di ricarichi abnormi), tutti elementi, ad avviso dell’Agenzia, inidonei a comprovare la effettività delle dette operazioni;

– i motivi secondo e terzo – da trattare congiuntamente per connessione – sono fondati nei termini di seguito indicati;

– premesso che “ove la fattura costituisce in tutto o in parte mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, l’Amministrazione ha l’onere di fornire elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva (Cass. n. 21953/07, 9784/10, 9108/12, 15741/12, 23560/12; 27718/13, 20059/2014, 26486/14, 9363/15; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C-439/04; 21 febbraio 2006, C-255/02; 21 giugno 2012, C-80/11; 6 dicembre 2012, C-285/11; 31 novembre 2013, C-642/11), del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata, dopo di che spetta al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate; tale prova, tuttavia, non può consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poichè questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. nn. 11624 del 2020; 28572 del 2017; 5406 del 2016, 28683 del 2015, 428 del 2015, 12802 del 2011, 15228 del 2001); e comunque, una volta accertata l’assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente (rilevante invece nella diversa ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti), il quale ovviamente sa bene se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il prezzo o corrispettivo” (Cass. n. 18118 del 2016, in motivazione; Cass. n. 16473 del 2018);

– “In tema di IVA, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia”.(ex muitis, Cass. Sez. 5, n. 17619 del 2018; Sez. 5, n. 27554 del 2018; n. 430 del 2020);

– “In materia di deducibilità dei costi d’impresa, la derivazione dei costi da una attività che è espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’attività dell’impresa, come in caso di operazioni oggettivamente inesistenti per mancanza del rapporto sottostante, comporta il venir meno dell’indefettibile requisito dell’inerenza tra i costi medesimi e l’attività imprenditoriale, inerenza che è onere del contribuente provare, al pari dell’effettiva sussistenza e del preciso ammontare dei costi medesimi; tale ultima prova non può, peraltro, consistere nella esibizione della fattura, in quanto espressione cartolare di operazioni commerciali mai realizzate, nè nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 33915 del 19/12/2019);

– quanto al censurato malgoverno del materiale probatorio da parte del giudice di merito, è pacifico che competa alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729 c.c. alla fattispecie concreta, poichè se è devoluta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c., per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (cfr. Cass., sent. n. 19352/2018; ord. n. 10973/2017, Cass., sent. n. 1715/2007); ebbene, in ordine all’utilizzo degli indizi, mentre la gravità, precisione e concordanza degli stessi permette di acquisire una prova presuntiva che, anche sola, è sufficiente nel processo tributario a sostenere i fatti fiscalmente rilevanti, accertarti dalla amministrazione (Cass., sent. n. 1575/2007), quando manca tale convergenza qualificante è necessario disporre di ulteriori elementi per la costituzione della prova;

– la giurisprudenza di legittimità ha tracciato il corretto procedimento logico del giudice di merito nella valutazione degli indizi, affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorchè preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perchè è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (tra le più recenti cfr. Cass., sent. n. 12002/2017; Cass., ord. n. 5374/2017). Ciò che dunque rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi, o anche di un solo significativo indizio, a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente a fornire la prova contraria (Cass. n. 19352 del 2018); premesso che, nella specie, viene in rilievo un’ipotesi di contestata inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate essendo quella di un’inesistenza soggettiva adombrata solo in via ipotetica (“le dette imprese probabilmente hanno agito nell’ambito di una frode carosello, come società filtro, dove gli altri attori al momento risultano sconosciuti”, v. il contenuto del p.v.c. riportato a pag.6 del ricorso), la CTR non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi, in quanto, pur dando atto della emersa inesistenza della società fornitrice (essendo risultata di fatto irreperibile e non avendo presentato la dichiarazione dei redditi), da un lato, ha ritenuto assolto l’onere della prova contraria a carico della contribuente circa l’effettività delle forniture in forza di elementi meramente formali nella disponibilità della stessa quali i pagamenti in contanti (stimati soltanto anomali, ma non irregolari, asseritamente inferiori al fatturato in considerazione delle forniture stornate dalla contribuente come “resi”) e i DDT prodotti in relazione alle singole fatture – tutte circostanze di per sè non esaustive sotto il profilo della prova a carico della contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, circa l’effettiva esecuzione delle forniture da parte della società fatturante; dall’altro, nell’escludere, in ogni caso, l’assolvimento da parte dell’Agenzia dell’onere probatorio in ordine alla consapevolezza della contribuente circa la condotta fraudolenta della fornitrice, facendo riferimento alla nozione di “fattura soggettivamente inesistente” ha ecceduto il thema decidendum essendo la contestazione dell’Ufficio – come sopra evidenziato – limitata alla oggettiva inesistenza delle operazioni fatturate; infatti, come chiarito da questa Corte “Il potere-dovere del giudice di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra il limite del rispetto del “petitum” e della “causa petendi”, sostanziandosi nel divieto d’introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicchè il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (“petitum” o “causa petendi”), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori. (Cass. Sentenza n. 9002 del 11/04/2018);

– in conclusione, vanno accolti il secondo e il terzo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il primo, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.

PQM

La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il primo; cassa la impugnata sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per il governo delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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