Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11980 del 17/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 17/05/2010, (ud. 18/03/2010, dep. 17/05/2010), n.11980

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12018-2009 proposto da:

F.R., titolare della “Farmacia Fantauzzi”,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUDOVISI 16, presso lo studio

dell’avvocato CORAIN MAURIZIO, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati VILLANI GIOVANNI, TORAZZI VITTORIO, TANGO

GABRIELLA, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati MARITATO LELIO,

SGROI ANTONINO, CALIULO LUIGI, giusta mandato in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

S.C.C.I. S.P.A. – SOCIETA” DI CARTOLATRIZZAZIONE DEI CREDITI

I.N.P.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 365/2008 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 15/05/2008 r.g.n. 15/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/03/2010 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito l’Avvocato VILLANI GIOVANNI; udito l’Avvocato MARITATO LELIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Torino l’attuale ricorrente, premettendo di essere dottore farmacista, titolare di farmacia, e di gestire l’impresa nelle forme dell’impresa familiare ex art. 230 bis c.c., contestava i verbali di accertamento e gli atti conseguenti con i quali l’Inps aveva ritenuto che la sua familiare e collaboratrice V.G. (sua moglie) fosse soggetta all’obbligo assicurativo-previdenziale e chiedeva nei confronti l’Istituto, che resisteva alla domanda, che fosse dichiarata l’insussistenza dell’obbligo contributivo. Il Tribunale confermava il verbale di accertamento impugnato relativamente agli importi dovuti a titolo di contributi, mentre, in parziale accoglimento del ricorso, relativamente alle sanzioni, dichiarava che esse dovevano essere determinate ai sensi della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 10, in considerazione della precedente prassi amministrativa dell’Inps. A seguito di appello della parte privata, a cui resisteva l’Inps anche nella qualità di mandatario della società di cartolarizzazione S.C.CI. s.p.a., la Corte d’appello di Torino confermava la sentenza impugnata.

La Corte di merito ricordava preliminarmente che la vicenda per cui era causa traeva origine da un verbale di accertamento degli ispettori dell’Inps, i quali, avendo rilevato che la ditta individuale dell’appellante era iscritta alla Camera di commercio per l’attività di “farmacia e commercio al minuto di generi annessi” e che la medesima era gestita in forma di impresa familiare a cui collaboravano familiari del titolare in via continuativa e prevalente, riteneva che il titolare dovesse essere iscritto alla gestione speciale Inps per i commercianti quale “titolare di impresa commerciale non soggetto personalmente all’imposizione contributiva” (in quanto già soggetto all’obbligazione contributiva nei confronti dell’ente previdenziale dei farmacisti, cioè dell’ENPAF) e che i familiari collaboratori dovessero essere iscritti, con versamento dei relativi contributi, alla stessa gestione commercianti in quanto collaboravano con carattere di abitualità e prevalenza nell’ambito di un’impresa familiare che svolgeva attività commerciale.

La Corte riteneva non meritevoli di accoglimento le doglianze dell’appellante, che aveva rilevato che non esiste norma che imponga l’iscrizione alla gestione commercianti del farmacista e dei familiari coadiuvanti, che l’attività commerciale del farmacista è secondaria rispetto a quella professionale e che comunque non vi era la prova della prevalenza della prima sulla seconda, così come dell’attività di collaborazione svolta dai familiari.

In particolare, rilevava che la peculiarità della fattispecie aveva indotto il Tribunale di Torino, in giudizio avente oggetto analogo, a sollevare questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., della L. n. 613 del 1966, artt. 1 e 3 e della L. n. 1397 del 1960, art. 1 e successive modificazioni, nella parte in cui nulla dispongono circa l’iscrivibilità dei familiari collaboratori del farmacista presso la gestione commercianti dell’Inps, e che la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 448 del 12.12.2007, aveva ritenuto la manifesta inammissibilità della questione, in quanto il remittente non aveva considerato, oltre alle norme censurate, quelle collegate, rappresentate dalla L. n. 613 del 1966, art. 10, comma 2, che pone direttamente a carico del titolare dell’impresa commerciale l’obbligo del pagamento dei contributi anche per i familiari coadiuvanti, salvo il diritto di rivalsa nei loro confronti, e il D.Lgs. n. 114 del 1998, art. 4, comma 2, lett. a) il quale assoggetta alla disciplina del commercio tutte le farmacie nelle quali non siano posti in vendita esclusivamente prodotti farmaceutici, specialità medicinali, dispositivi medici e presidi medico-chirurgici, e quindi non aveva offerto adeguato esame delle norme censurate all’interno del sistema complessivo e per altro verso non aveva verificato la praticabilità di diverse soluzioni interpretative idonee ad attribuire alle disposizioni censurate un significato che le renda conformi a Costituzione. Secondo il giudice di appello, in sostanza la Corte costituzionale, escludendo la sussistenza del vizio di costituzionalità denunciato, ha indicato sul piano interpretativo la piena idoneità della norme dettate in generale in tema di obblighi assicurativi degli esercenti attività commerciali a garantire anche la copertura previdenziale per i coadiuvanti dei titolari di farmacia.

Tanto premesso riteneva che occorresse valutare sul piano concreto la sussistenza dei requisiti normativamente previsti che determinano la qualità di imprenditore commerciale del titolare farmacista e la collaborazione nell’impresa con carattere di abitualità e prevalenza da parte dei familiari coadiuvanti e che la risposta positiva ad entrambi i quesiti fornita dal primo giudice meritava conferma.

Innanzitutto, costituiva fatto notorio che nell’ambito delle farmacie, accanto all’attività protetta del farmacista, esercitabile solo da soggetti muniti di apposito titolo ed iscritti all’albo e diretta alla produzione di galenici e alla vendita di terapeutici, si era andata sviluppando, negli ultimi decenni, un’attività commerciale finalizzata alla vendita di articoli “da banco” o non sanitari in senso stretto; e tale evoluzione commerciale aveva trovato riscontro anche nella regolamentazione legislativa, dal momento che il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (riforma della disciplina relativa al settore commercio), all’art. 4, comma 2, prevede la non applicazione delle norme dello stesso decreto “a) ai farmacisti e ai direttori di farmacia delle quali i comuni assumono l’impianto e l’esercizio ai sensi della L. 2 aprile 1968, n. 475, e successive modificazioni, e della L. 8 novembre 1991, n. 362, e successive modificazioni, qualora vendano esclusivamente prodotti farmaceutici, specialità medicinali, dispositivi medici e presidi medico- chirurgici”. Se ne ricavava, a contrario, che il complesso normativo che disciplina il settore del commercio è applicabile nei casi, divenuti ormai non solo maggioritari, ma generalizzati, in cui la vendita di prodotti farmaceutici si accompagni alla commercializzazione di altri prodotti. Ricordava anche che l’attività di farmacia è soggetta, per pacifica giurisprudenza amministrativa, a concessione, mentre la parallela attività commerciale è soggetta alla disciplina del commercio con i relativi titoli autorizzativi, e che anche il farmacista, come qualsiasi imprenditore commerciale, può essere soggetto a fallimento, tanto che il R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 113 prevede la decadenza dall’autorizzazione all’esercizio di una farmacia per il caso di fallimento. Peraltro non può ritenersi escluso che la stessa attività professionale di farmacia sia svolta in forma imprenditoriale, considerato che le farmacie possono essere gestite in forma di società in nome collettivo e di cooperative a r.l. e che, nel caso di specie la gestione avveniva in forma di impresa familiare, anch’essa soggetta a fallimento.

Che nel caso concreto l’esercizio della farmacia avesse la configurazione di un’impresa commerciale era provato in linea di fatto. Infatti vi era l’iscrizione alla camera di commercio e sussisteva l’autorizzazione comunale relativa all’attività di farmacia – commercio al minuto di generi annessi. A fronte del quadro normativo e probatorio delineato, si prospettava un onere dell’appellato di fornire elementi di prova intesi ad escludere in tutto o in parte l’attività commerciale svolta nell’ambito della farmacia. Tale onere non era stato assolto, dal momento che in primo grado e ancora nell’atto d’appello si era unicamente insistito sulla natura professionale dell’attività del farmacista e questo dato era incontestabile ma insufficiente, dal momento che in causa si faceva valere la concorrente qualità di imprenditore commerciale del farmacista.

Quanto al requisito per l’iscrizione assicurativa dei familiari collaboratori, e cioè alla loro partecipazione al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza, le valutazioni del primo giudice meritavano parimenti conferma. Nè era configurabile la lamentata equiparazione tra la disciplina giuridica dell’impresa familiare (forma adottata per la gestione della farmacia) e la disciplina normativa che regola l’iscrizione nella gestione commercianti dei familiari coadiutori, poichè gli ispettori avevano utilizzato la documentazione relativa alla costituzione di impresa familiare al solo fine di sostenere, sul piano probatorio, il requisito del lavoro abituale e prevalente previsto dalle disposizioni previdenziali. In specifico, nell’atto di costituzione di impresa familiare, acquisito in giudizio, le parti contraenti (titolare dell’impresa e coadiuvante) avevano esplicitamente dichiarato che all’attività di impresa “collaborano in forma continuativa e prevalente” i familiari indicati nello stesso atto, ottenendone una determinata percentuale di partecipazione agli utili.

Tale dichiarazione, che non aveva carattere meramente formale, ma indicava le concrete modalità di partecipazione del familiare all’impresa, non aveva trovato alcuna smentita nel corso del giudizio, dal momento che l’appellante non aveva mai fatto riferimento al carattere simulato della pattuizione o comunque all’esclusione, sul piano concreto, dell’apporto collaborativo dei familiari indicati nell’atto. E se doveva ammettersi che il concetto di collaborazione continuativa (prevista per l’impresa familiare) è parzialmente diverso da quello della partecipazione con carattere di abitualità e prevalenza previsto dalla normativa previdenziale, in concreto anche in ordine a tale profilo l’appellante aveva l’onere di fornire precise controdeduzioni, mentre di ciò non vi era traccia nell’atto introduttivo. Per quanto atteneva alle ulteriori deduzioni dell’appellante riferite alla tipologia dell’attività prestata dalla collaboratrice, era irrilevante che la stessa si occupasse direttamente della vendita, ovvero fosse impegnata in attività di carattere accessorio (amministrazione, contabilità, pulizia ecc); è infatti evidente che si ha partecipazione all’attività che si svolge nell’impresa commerciale sulla base di qualsiasi prestazione che contribuisca a realizzare le finalità aziendali, senza distinzioni fra diretta attività di vendita e attività accessorie.

La Corte si soffermava infine sulla tematica inerente al rapporto fra la posizione previdenziale del titolare farmacista e quella dei familiari collaboratori.

Circa l’iscrizione “virtuale” del titolare della farmacia negli elenchi degli esercenti attività commerciale, operata dall’Inps per consentire la copertura previdenziale nella stessa gestione dei familiari collaboratori, la Corte osservava che la normativa esaminata non contempla alcuna iscrizione virtuale e non prevede alcun necessario collegamento fra l’iscrizione del titolare e quella dei coadiuvanti: in particolare la L. n. 1397 del 1960, art. 1, lett. a), pone l’obbligo di iscrizione nei confronti dei titolari ovvero dei familiari coadiutori, utilizzando una disgiuntiva che individua due distinte categorie; d’altra parte la L. n. 613 del 1966, art. 10 pur prevedendo che il titolare dell’impresa commerciale sia tenuto al pagamento dei contributi anche per i familiari coadiutori assicurati, fa salvo il diritto di rivalsa nei loro confronti, individuando sostanzialmente una duplicità di obbligazioni ed una separazione fra la posizione del titolare e quella dei collaboratori. Peraltro la decisione di manifesta infondatezza adottata dalla Corte costituzionale con la già richiamata pronuncia indica esplicitamente, fra le norme trascurate, proprio la L. n. 613 del 1966, art. 10; e il rapporto di autonomia tra la posizione assicurativa del titolare farmacista e quella dei collaboratori si ricava anche dalla giurisprudenza di legittimità.

Quanto alla decorrenza dell’obbligo assicurativo, non poteva darsi rilievo alla data dell’iscrizione “virtuale” del farmacista titolare, perchè è in questione un’obbligazione che deriva dalla legge, in presenza degli elementi e requisiti normativamente previsti.

La parte privata propone ricorso per cassazione affidato a dieci motivi, illustrati da successiva memoria. L’Inps resiste con controricorso. La S.C.CI. s.p.a. non si è costituita.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 1397 del 1960, art. 1 e della L. n. 613 del 1966, artt. 1, 2 e 10; violazione degli artt. 101, 112 e 132 c.p.c., nonchè omessa o contraddittoria motivazione su fatto controverso.

Si lamenta difetto assoluto di motivazione, oltre a violazione delle norme di legge che regolano la materia, riguardo all’avere posto a carico del farmacista titolare della farmacia la contribuzione relativa al soggetto qualificato come coadiutore familiare, pur essendosi escluso che il farmacista titolare fosse soggetto all’iscrizione e alla contribuzione all’assicurazione commercianti e affermata l’autonomia della posizione assicurativa del collaboratore.

1.2. Il secondo motivo denuncia falsa applicazione della L. n. 1397 del 1960, art. 1, lett. a), e per quanto di ragione della L. n. 613 del 1966, art. 1, lett. a) in relazione al D.Lgs. n. 114 del 1998, art. 26 con riferimento al significato da attribuire alla specificazione “preposti al punto di vendita”.

Si lamenta che il giudice di appello abbia trascurato che la citata disposizione della L. n. 1397 del 1960 preveda l’obbligo di iscrizione del familiare coadiutore solo se preposto al punto di vendita e si sostiene che invece tale circostanza costituisce un requisito imprescindibile per l’autonoma iscrizione del coadiutore, il quale altrimenti deve e può essere iscritto alla gestione assicurativa per i commercianti solo subordinatamente alla iscrizione del titolare dell’impresa. Nè può ritenersi che a favore della autonoma iscrivibilità in genere dei coadiutori rilevi l’abolizione, con il D.Lgs. n. 114 del 1998, dell’elenco speciale per i coadiutori preposti, in quanto l’eliminazione di tale adempimento amministrativo non ha inciso minimamente sui requisiti previsti dalla normativa previdenziale.

1.3. Il terzo motivo denuncia falsa applicazione della L. n. 1397 del 1960, art. 1, lett. c), e per quanto di ragione della L. n. 613 del 1966, artt. 1 e 2 relativamente alla specificazione che l’iscrizione dei familiari coadiutori del titolare farmacista all’a.g.o. presso l’Inps sarebbe obbligatoria in quanto parteciperebbero “personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza”.

Si lamenta che la Corte di merito abbia erroneamente riferito anche il requisito della personalità della partecipazione all’attività dell’impresa, di cui alla L. n. 1397 del 1960, art. 1, lett. c) al familiare collaboratore invece che al titolare dell’impresa, quale condizione insieme alla abitualità e alla prevalenza, della sua iscrizione alla gestione commercianti dell’a.g.o., mentre diversa resta la regolamentazione della posizione del collaboratore.

1.4. Il quarto motivo denuncia falsa applicazione della L. n. 613 del 1966, artt. 1 e 2 e per quanto di ragione della L. n. 1397 del 1960, art. 1 relativamente all’obbligo di iscrizione del titolare dell’impresa commerciale alla gestione commercianti quale presupposto per l’iscrivibilità dei suoi familiari coadiutori.

In sintesi, si sostiene che la figura del familiare coadiutore previsto dalla citata L. del 1966 in tanto assume rilievo ai fini assicurativi in quanto sussista preliminarmente l’obbligo di iscrizione e assicurativo del titolare dell’impresa, e si sottolinea come nessun argomento in senso contrario sia desumibile dalla autonoma iscrivibilità del familiare coadiutore prevista dalla L. n. 1397 del 1960, che trova spiegazione nel ruolo sostanziale di imprenditore assunto dal medesimo.

1.5. Il quinto motivo denuncia falsa applicazione della L. n. 613 del 1966, artt. 1 e 2 e della L. n. 1397 del 1960, art. 1 in rapporto all’art. 38 Cost. e all’art. 12 preleggi.

Si lamenta in sostanza che il giudice di merito, affermando l’assicurabilità, non prevista dalla legge, dei collaboratori familiari dei titolari di farmacia, abbia violato il principio di stretta legalità che informa la materia previdenziale (ricavabile anche dalla giurisprudenza costituzionale), ostativo dell’interpretazione analogica o di altri criteri interpretativi di cui all’art. 12 preleggi, nè ha comunque fornito una giustificazione della previsione dei relativi obblighi a carico del titolare della farmacia, pur non iscritto alla gestione commercianti.

1.6. Il sesto motivo denuncia falsa applicazione della L. n. 1397 del 1960, art. 1, lett. c), e della L. n. 613 del 1966, artt. 1 e 2 in relazione a quanto deciso dalla Corte Costituzionale con ordinanza n. 448 del 2007.

Si rileva che la citata ordinanza della Corte costituzionale non ha ritenuto l’infondatezza della questione prospettatale ma la sua inammissibilità perchè non era stato esaminato l’intero quadro normativo, e che quindi la stessa non ha la valenza pretesa dal giudice di appello e semmai implicitamente conferma che la L. n. 613 del 1966 non assicura l’iscrizione assicurativa dei coadiutori dei titolari di farmacia, stante la non iscrizione di questi ultimi.

1.7. Il settimo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 613 del 1966, art. 10 relativamente alla specificazione che in esso si individuerebbe “una duplicità di obbligazioni e una separazione tra la posizione del titolare e quella dei collaboratori”.

Si sostiene che il tenore della citata L. del 1966, art. 10 che prevede l’obbligo per il titolare dell’impresa di pagare i contributi anche per il coadiutore familiare salvo rivalsa, conferma che in realtà, diversamente da quanto sostenuto dalla Corte di merito, la legge non configura una autonoma posizione del coadiutore familiare, non investito da obblighi di pagamento di natura pubblicistica, nei confronti dell’Inps, e neanche soggetto ad attività ispettiva da parte di detto istituto.

1.8. L’ottavo motivo denuncia falsa applicazione della L. n. 1397 del 1960, art. 1 e della L. n. 613 del 1966, artt. 1 e 2 in relazione all’art. 230-bis c.c. e al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi.

Si rileva che la partecipazione ad un’impresa familiare ex art. 230- bis c.c. ha presupposti diversi rispetto a quelli enunciati dalla normativa previdenziale in esame relativamente alla posizione del coadiutore familiare, in particolare non coincidendo i tipi di parentela e rilevando ai fini civilistici anche la collaborazione ed.

intra-moenia alle esigenze della famiglia. Si sostiene inoltre che l’atto costitutivo di impresa familiare è previsto dall’ordinamento (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, commi 4 e 5, TUIR) a fini esclusivamente fiscali. Quindi le relative dichiarazioni di parte non possono costituire elemento fondante di una decisione sull’iscrivibilità o meno alla gestione Inps, anche perchè il rapporto giuridico previdenziale è governato dal cd. principio di effettività.

1.9. Il nono motivo denuncia violazione degli artt. 2967 e 2968 c.c., anche in relazione alla L. n. 1397 del 1960, art. 1 e alla L. n. 613 del 1966, art. 1 oltre ad omessa e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi.

Si lamenta che la Corte d’appello abbia deciso sulla base di un’indebita inversione dell’onere della prova, valorizzando la mancata allegazione di prove in contrasto con il menzionato atto di costituzione di impresa familiare, pur avendo ammesso la non coincidenza delle nozioni di impresa familiare e di collaborazione ai sensi della norma previdenziale.

1.10. Il decimo motivo denuncia violazione degli stessi articoli del codice civile anche relativamente alla natura di prova sulla sussistenza dei requisiti per l’instaurazione di un rapporto giuridico previdenziale delle dichiarazioni contenute nell’atto costitutivo di impresa familiare. Denuncia anche violazione degli artt. 2730, 2731 e 2735 c.c. e omessa motivazione su fatti decisivi.

In collegamento alle doglianze di cui al motivo precedente, si deduce in particolare che neL. suddetto atto notarile sono contenute solo enunciazioni di parte, meramente programmatiche, non aventi efficacia probatoria nei confronti dell’Inps. Si osserva anche che nulla è stato accertato circa il ruolo in concreto della collaborazione del familiare nell’impresa e nella famiglia. Si contesta anche l’ammissibilità, in un contesto relativo alla costituzione di posizioni previdenziali indisponibili, che richiede la verifica da parte dell’Inps della concreta sussistenza dei relativi requisiti, del ricorso alla qualificazione come confessorie delle dichiarazioni in questione e alla tesi che vi sarebbe stato l’onere di dedurne y carattere simulato. E ciò anche perchè non può considerarsi sfavorevole al collaboratore il poter fruire di una posizione previdenziale.

2. E’ necessario preliminarmente esaminare in quale maniera le più recenti disposizioni di carattere generale delineanti le attività assoggettate all’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti istituita con la L. 22 luglio 1966, n. 613 per gli esercenti le attività commerciali e loro coadiutori, e in particolare la L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 202 ss., si inseriscano nel quadro normativo preesistente e innovino il medesimo.

2.1. E’ opportuno ricordare che la ed. assicurazione commercianti è stata istituita come gestione speciale nell’ambito dell’assicurazione obbligatoria i.v.s. nel quadro dell’estensione di questa assicurazione a categorie di lavoratori convenzionalmente qualificati come lavoratori autonomi anche se titolari di piccole imprese, come i coltivatori diretti (L. 26 ottobre 1957, n. 1047), gli artigiani (L. 4 luglio 1959, n. 463) e appunto i titolari di piccole imprese commerciali (L. 22 luglio 1966, n. 613), in ragione della loro partecipazione diretta all’attività lavorativa e del ruolo prevalente del lavoro loro ed eventualmente dei loro familiari.

Per i commercianti, così come precedentemente per gli artigiani, in un primo momento l’individuazione delle posizioni soggette all’assicurazione pensionistica è avvenuta mediante rinvio alla preesistente assicurazione contro le malattie. E, infatti, la L. n. 613 del 1966, art. 1, comma 1 il cui testo tuttora non è stato espressamente abrogato, prevede l’estensione dell’assicurazione obbligatoria i.v.s. “agli esercenti le piccole imprese commerciali iscritti negli elenchi degli aventi diritto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie istituita con L. 27 novembre 1960, n. 1367, agli ausiliari del commercio ed agli altri lavoratori autonomi iscritti nei predetti elenchi, nonchè ai loro familiari coadiutori indicati nell’articolo seguente”. La L. n. 1397 del 1960, art. 1, comma 1 oltre a precisare alle lett. a), b) e c) le condizioni di assicurabilità sotto i profili della dimensione dell’azienda, della partecipazione personale e materiale del titolare al lavoro aziendale e della organizzazione basata prevalentemente sul lavoro del titolare e dei suoi familiari, richiedeva, con la lett. d), per gli esercenti le piccole imprese commerciali che gli stessi fossero muniti delle licenze previste, a seconda dell’oggetto dell’attività, dalle norme di legge specificamente indicate, e determinati requisiti di iscrizione (o di adempimenti equivalenti) erano previsti pure, in genere, per le varie categorie degli ausiliari del commercio così come per gli altri soggetti indicati nel secondo comma (come, per esempio, le guide turistiche ed alpine), categorie di soggetti comunque indicate e specificate in maniera analitica. Tale impostazione non risulta mutata allorquando il testo della L. n. 1397 del 1960, art. 1 venne sostituito prima dalla L. 25 novembre 1971, n. 1088, art. 1 e poi dalla L. 3 giugno 1975, n. 160, art. 29 che pur ampliarono via via le categorie di lavoratori assoggettati all’assicurazione contro le malattie istituita per gli operatori del commercio e di conseguenza anche alla assicurazione obbligatoria i.v.s..

2.2. Più incisive sono state le innovazioni introdotte della L. n. 662 del 1996, mediante vari commi dell’art. 1. Un ruolo centrale da un punto di vista sistematico è svolto dai commi 202 e 203, i quali, prendendo atto del fatto che l’assicurazione malattie per i commercianti è venuta meno a seguito dell’istituzione del Servizio sanitario nazionale, impostano su diverse basi i criteri di identificazione dei soggetti all’assicurazione commercianti, peraltro immettendo nell’ordinamento disposizioni di legge formalmente frazionate tra vari testi, a loro volte da coordinare con il testo della Legge Base n. 613 del 1966, testualmente non toccata.

Detti commi recitano:

“comma 202. A decorrere dal 1 gennaio 1997 l’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti di cui alla L. 22 luglio 1966, n. 613, e successive modificazioni ed integrazioni, è estesa ai soggetti che esercitino in qualità di lavoratori autonomi le attività di cui alla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 49, comma 1, lett. d), con esclusione dei professionisti ed artisti.

Comma 203. La L. 3 giugno 1975, n. 160, art. 29, comma 1 è sostituito dal seguente:

“L’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla L. 22 luglio 1966, n. 613, e successive modificazioni ed integrazioni, sussiste per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti:

a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita;

b) abbiano la piena responsabilità dell’impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non è richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonchè per i soci di società a responsabilità limitata;

c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza;

d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri o ruoli”.

2.3. E’ opportuno innanzitutto rilevare dal punto di vista formale che il comma 203, diversamente da quanto generalmente si è ritenuto, anche da parte di compilatori di testi di legge nel testo vigente, non ha proceduto, nella scia delle precedentemente richiamate L. n. 1088 del 1971 e L. n. 160 del 1975, ad un’ulteriore sostituzione del testo della L. n. 1397 del 1960, art. 1 in quanto ha sostituito l’intero comma 1 della L. n. 160 del 1975, art. 29 compresa la frase introduttiva con cui si disponeva la sostituzione del testo della L. n. 1397 del 1960, art. 1. Materialmente quindi il testo introdotto dal comma 203 deve essere collocato come L. n. 160 del 1975, art. 29, comma 1 e non come testo vigente della L. n. 1397 del 1960, art. 1, articolo peraltro rimasto abrogato perchè il suo testo è stato soppresso (in astratto potrebbe sorgere il dubbio circa l’esistenza o meno nel testo originario dell’art. 29 di commi ulteriori rispetto a quello sostitutivo della L. n. 1397 del 1960, art. 1 – poichè, almeno nel testo riportato nella Gazzetta ufficiale, mancano le virgolette di chiusura del nuovo testo di detto art. 1 e sulla base di dati contenutistici gli ultimi tre commi appaiono autonomi -, ma si tratta di un problema privo di rilievo pratico). Che non si sia più intervenuti positivamente sul testo della L. del 1960 è logico, poichè essa disciplinava la ormai soppressa (nel quadro dell’istituzione del S.S.N.) assicurazione malattie per i commercianti, anche se non appare altrettanto logico che si sia inserita una disposizione essenziale sull’assicurazione pensionistica per i commercianti in un composito testo di L. del 1975 su miglioramenti dei trattamenti pensionistici invece che nella sede propria della Legge in materia del 1966.

2.4. Da un punto di vista sostanziale e sistematico, i commi 202 e 203 innovano rispetto alla normativa previgente in quanto sono espressione dell’intenzione di introdurre, in luogo del criterio dell’indicazione specifica di tutte le tipologie di attività assoggettate all’assicurazione commercianti, un criterio di tipo più aperto. Continua ad essere richiesto il possesso delle licenze o dell’iscrizione in albi o elenchi, ove previsto dall’ordinamento, ma mancano preventive (e tassative) elencazioni in proposito, e ai fini della identificazione dei possibili oggetti dell’attività – in assenza nel comma 203 di indicazioni in proposito – viene introdotto un criterio di carattere generale mediante il comma 202, di cui è testualmente evidenziata la potenzialità di estensione del campo di operatività dell’assicurazione e che fa riferimento ai soggetti che “esercitino in qualità di lavoratori autonomi le attività” del settore terziario della classificazione dei datori di lavoro ai fini contributivi, settore che riguardale attività “commerciali, ivi comprese quelle turistiche; di produzione, intermediazione e prestazione di servizi anche finanziari”, “le attività professionali ed artistiche” e “le relative attività ausiliarie”. E’ da notare, da un lato, che il comma 202 prevede l’esclusione dall’assicurazione commercianti dei “professionisti ed artisti” e, da un altro lato, che l’indicato criterio di carattere generale per le identificazioni delle attività è accompagnato nuovamente da alcune indicazioni specifiche. Così i commi 196 e 197 estendono l’assicurazione ai promotori finanziari e ai componenti della relativa impresa familiare e il comma 205 prevede espressamente l’applicabilità dei commi da 185 a 216 agli esercenti le molteplici “attività professionali” nel campo del turismo indicate dall’art. il della L. n. 217 del 1983.

2.5. Quanto al coordinamento delle nuove disposizioni con la L. n. 613 del 1966, devono ritenersi tacitamente abrogati i primi due commi dell’art. 1 per quanto riguarda l’indicazione, mediante rinvio all’assicurazione malattia, del campo di applicazione dell’assicurazione commercianti, ma non relativamente all’estensione dell’assicurazione ai familiari coadiutori, così come definiti dal successivo art. 2.

Tale parte della disciplina non è superata dalla nuova normativa, come è confermato dal fatto che la L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 206 (del seguente tenore: “L’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti di cui alla L. 22 luglio 1966, n. 613, è estesa ai parenti ed affini entro il terzo grado che non siano compresi nell’ambito di applicazione dell’art. 3 della predetta Legge e che siano in (possesso dei requisiti ivi previsti”) esprime chiaramente l’intenzione di estendere l’assicurazione in qualità di coadiutori familiari ai parenti ed affini entro il terzo grado che già non risultavano compresi in base alla definizione dei rapporti familiari fornita dall’art. 2 (che non prevedeva gli affini e tra i parenti collaterali considerava solo i fratelli e le sorelle, mentre la Corte costituzionale, con la sentenza n. 170 del 1994, aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 2, comma 1, nella parte in cui non considerava gli affini entro il secondo grado).

2.6. Può osservarsi infine – anche se la tematica non è concretamente rilevante nella specie – che la menzione dei “familiari coadiutori preposti al punto di vendita” da parte del comma 203 (lett. b)) e del comma 204 appare espressione della intenzione di confermare sul punto la disciplina previgente, che attribuiva ai fini assicurativi a tali particolari familiari un ruolo equiparato a quello del titolare dell’impresa (sul punto può anche ricordarsi che il requisito dell’iscrizione di tali coadiutori nell’elenco speciale di cui alla L. n. 426 del 1971, art. 9 appare superato dall’intervenuta abrogazione dell’intera L. n. 426 del 1971 da parte del D.Lgs. n. 114 del 1998).

3. Dopo questa premessa, possono esaminarsi congiuntamente, stante la loro connessione, i primi sette motivi di ricorso.

3.1. Prima questione riguarda l’ascrivibilità delle farmacie al novero delle imprese commerciali. La relativa risposta positiva può ritenersi esente da dubbi. Quella di farmacista è una professione sanitaria ma la stessa presenta la particolarità che l’oggetto principale della relativa attività si risolve, nonostante le specificità che ne richiedono lo svolgimento da parte di un soggetto specializzato e altamente qualificato, nella cessione (vendita) di un prodotto al cliente. In dottrina è stata rilevata la valenza imprenditoriale (commerciale) dell’attività del farmacista anche con riferimento ai tempi in cui il medesimo svolgeva prevalentemente la “spedizione” mediante preparazioni galeniche di ricette mediche, in quanto la preparazione dei medicinali presuppone l’approvigionamento e la conservazione delle molteplici sostanze (elencate dalla farmacopea) che possono essere necessarie per la loro più o meno complessa preparazione da parte del farmacista, sicchè quest’ultimo effettua un’attività di intermediazione tra i grossisti e i clienti, deve essere provvisto di un adeguato magazzino, di locali idonei, ecc. Tutto ciò naturalmente è più evidente da quando le farmacie prevalentemente forniscono al pubblico le specialità medicinali già preparate dall’industria farmaceutica, sia pure continuando il farmacista a esercitare la sua perizia professionale in vari aspetti dell’attività, da quelli relativi alla selezione dei prodotti e alla loro conservazione e custodia, a quelli inerenti alla verifica delle eventuali prescrizioni mediche e agli aspetti di consulenza di sua competenza. E’ evidente poi il carattere commerciale dell’attività di vendita di tutti quei prodotti di vario genere liberamente commerciabili che, in misura maggiore o minore, sono in genere parimenti a disposizione della clientela nelle farmacie.

Da un punto di vista normativo può ricordarsi che il D.P.R. 27 luglio 1934, n. 1265, T.U. delle leggi sanitarie prevede espressamente l’ipotesi della dichiarazione di fallimento del farmacista.

E’ sintomatico anche il fatto che il D.Lgs. n. 114 del 1998, art. 4, comma 2, lett. a), di riforma della disciplina del commercio presuppone l’applicabilità del decreto anche alle farmacie, nel momento in cui prevede la non applicabilità del medesimo alle farmacie comunali, e solo alla condizione (difficilmente configurabile) che vendano esclusivamente prodotti farmaceutici, specialità medicinali, dispositivi medici e presidi medico- chirurgici.

3.2. Stante la qualificabilità dell’attività di una farmacia quale attività di impresa commerciale, da questo punto di vista sussistono i requisiti per l’operatività dell’assicurazione commercianti previsti dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 202 e 203 nel concorso in concreto di quei requisiti, specificati dal comma 203, di organizzazione dell’attività con il prevalente lavoro del titolare e dei componenti della famiglia, di partecipazione del titolare al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza, e di possesso delle licenze o autorizzazioni previste dalla legge, requisiti nella specie fuori contestazione.

3.3. Resta da esaminare l’incidenza della qualificabilità dell’attività del farmacista anche come attività professionale, con particolare riferimento della dizione del comma 202 relativo alla “esclusione dei professionisti ed artisti”.

Nel ricercare la rado e, correlativamente, la portata di questa disposizione, può notarsi, quanto all’attività artistica, che la sua esclusione si può giustificare con il rilievo che, da un lato, per il settore più rilevante dal punto di vista numerico ed economico, e cioè quello dello spettacolo (attività musicali comprese), sussiste una speciale assicurazione, gestita dall’ENPALS, che tutela anche le prestazioni di lavoro autonomo, e dall’altro, che le altre attività artistiche sono un campo così multiforme sia per oggetto che per modalità di svolgimento da parte del singolo soggetto, che non si prestano a identificazione di figure e attività professionali per le quali sia idonea un’assicurazione come quella per i commercianti.

Riguardo all’esclusione dei professionisti, deve osservarsi che il termine di per se non ha un significato univoco. Da un lato, infatti, l’art. 2229 e segg. c.c. fanno riferimento ad una nozione ampia di professione intellettuale, che ricomprende le professioni per il cui esercizio è richiesta l’iscrizione in appositi albi o elenchi ma non si esaurisce nelle stesse. Dall’altro, non solo il numero delle professioni per cui è dettata una compiuta disciplina pubblicistica, con istituzione di un ordine o un collegio munito di poteri disciplinari sugli iscritti, si è molto ampliata, ma è accompagnata dalla regolamentazione con legge di numerose altre attività professionali per cui sono previsti requisiti di abilitazione e di iscrizione in albi o elenchi, di cui in particolare talune connesse con lo svolgimento di attività economiche di vario tipo (mediatori, agenti, consulenti finanziari, ecc.) ed altre appartenenti all’area dell’assistenza alle attività turistiche e sportive (guide turistiche, guide alpine, maestri di sci e di altre attività sportive, ecc.), attività in molti casi probabilmente non riconducibili all’ipotesi della prestazione d’opera intellettuale. Ai fini in esame rileva soprattutto che riguardo a molte di queste attività professionali era già precedentemente prevista l’applicabilità dell’assicurazione commercianti e che le stesse devono tuttora ritenersi soggette alla medesima anche nell’ambito della disciplina posta dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 202 e 203, che ha intesto ampliare e non restringere l’area dei soggetti assicurabili.

Si ritiene quindi che nel comma 202 il termine professionisti debba essere inteso in senso restrittivo. E’ riferibile innanzitutto alle professioni compiutamente disciplinate dal punto di vista pubblicistico, con l’istituzione di un ordine o di un collegio, e la ratio dell’esclusione di tali professionisti dall’assicurazione commercianti risiede quanto meno nella compiutezza della disciplina delle relative professioni, che, almeno di norma, ha comportato anche l’istituzione di appositi sistemi assicurativi. L’esclusione dei professionisti appare riferibile anche alle attività professionali non compiutamente regolate, nel solo caso però che non si tratti di attività riconducibili al settore terziario della classificazione dei datori di lavoro sotto uno diverso specifico profilo. La ratio di tale esclusione è evidentemente di nuovo quella di non sottoporre all’assicurazione commercianti, per la quale è previsto un minimale contributivo, attività non adeguatamente tipizzate ed economicamente rilevanti e delle quali quindi non possa presumersi un’adeguata capacità contributiva.

3.4. Tornando ad esaminare la posizione dei farmacisti titolari di farmacia, in linea di principio dovrebbe valutarsi se anche per loro, in virtù della indubbia compiuta regolamentazione della professione di farmacista come professione liberale, con istituzione anche di un’apposita assicurazione in forza del D.Lgs.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233, art. 21 operi l’esclusione dall’assicurazione commercianti, nonostante la contemporanea qualificabilità dell’esercizio di una farmacia come attività commerciale. In caso di risposta positiva, deve ulteriormente stabilirsi se la esclusione personale dall’assicurazione commercianti del farmacista titolare, non contestata dall’Inps, implichi o meno la non applicabilità della medesima assicurazione anche nei confronti dei familiari coadiutori non farmacisti provvisti dei requisiti di legge per l’iscrizione all’assicurazione appunto come familiari coadiutori del titolare dell’impresa.

Sul primo punto, visto che lo stesso non risulta concretamente decisivo, alla luce delle considerazioni che si svolgeranno riguardo al punto successivo, appare sufficiente rilevare che l’estensione della esclusione dall’assicurazione commercianti anche ai farmacisti appare coerente con la finalità della esclusione dei professionisti dall’assicurazione commercianti di evitare duplicazioni di assicurazione.

Passando al secondo punto, deve immediatamente rilevarsi che tale finalità certamente non riguarda eventuali coadiutori familiari non farmacisti, rispetto ai quali, al contrario, l’esclusione dell’assicurazione nonostante la loro partecipazione all’attività di un’impresa commerciale aventi le caratteristiche previste ai fini assicurativi rappresenterebbe una disarmonia rilevante sul piano dei principi costituzionali di uguaglianza (art. 3 Cost., comma 1) e di garanzia di un’adeguata tutela di tipo previdenziale dei lavoratori (art. 38 Cost., comma 2). E non sembra che possa negarsi che almeno a livello di ipotesi questo tipo di valutazione sia stata avanzata anche della Corte costituzionale in occasione della emanazione della ordinanza n. 448/2007.

Deve anche osservarsi che un’interpretazione delle disposizioni sull’assicurazione commercianti coerente con i richiamati principi costituzionali non incontra effettivi ostacoli testuali o sistematici. La L. n. 613 del 1966, art. 1, comma 1, prevede che l’assicurazione obbligatoria i.v.s. “è estesa agli esercenti piccole imprese commerciali (…)” – e ora al riguardo bisogna fare riferimento ai ripetutamente richiamati commi 202 e 203, L. n. 662 del 1996, art. 1 – “nonchè ai loro familiari coadiutori, indicati nell’articolo seguente”. Ebbene, il fatto che il farmacista titolare di farmacia sia personalmente esentato dall’assicurazione per ragioni, per così dire, soggettive, inerenti alla sua qualificazione professionale, non impedisce che la legge possa operare per i suoi coadiutori familiari, per i quali le medesime ragioni d’ordine soggettivo non hanno ragione di operare.

Quanto all’esecuzione di una forma di registrazione del titolare dell’impresa presso l’Inps ai fini dell’attuazione dell’assicurazione nei confronti dei coadiutori familiari, e alla circostanza che lo stesso sia tenuto al versamento dei contributi a favore dei medesimi coadiutori, salvo rivalsa, si tratta nient’altro che dell’applicazione del sistema di legge nella misura concretamente rilevante e la stessa particolarità non da luogo ad alcuna distorsione o anomalia. Del resto, che il ruolo svolto dal lavoratore autonomo titolare di una piccola impresa rispetto all’assicurazione dei familiari coadiutori sia per taluni aspetti assimilabile a quello di un datore di lavoro nei confronti dei lavoratori subordinati emerge dalla giurisprudenza ordinaria e costituzionale riguardo al problema della responsabilità per omissioni contributive (cfr. Corte cost. n. 18 del 1995; Cass. n. 12149/2003, 16147/2004 e altre).

3.5. Le precedenti considerazioni sono assorbenti rispetto a tutte le censure e argomentazioni sviluppate con i primi sette motivi. In particolare con riferimento al terzo morivo, deve rilevarsi che lo stesso in concreto si risolve in una censura a passaggi motivazionali della sentenza allo scopo di ribadire la centralità della posizione del titolare dell’impresa e l’essenzialità del possesso da parte sua dei requisiti per l’iscrizione all’assicurazione commercianti, senza che possa assumere autonomia la figura del coadiutore familiare (se privo della particolare qualifica di preposto ad un punto di vendita). Deve ribadirsi che tuttavia non risulta posta in contestazione nel giudizio la sussistenza di questi requisiti (salva la deduzione della rilevanza ostativa della qualifica di professionista del farmacista), nè il ricorso per cassazione introduce, almeno in maniera idonea, la relativa questione.

E’ opportuno anche chiarire che, anche se il coadiutore familiare non può svolgere l’attività di competenza del farmacista in base alla normativa in materia, non è giustificato ipotizzare che lo stesso collabori solamente alla attività inerente alla vendita dei prodotti non farmaceutici e liberamente commerciabili. Infatti è indubbio che sussistono aspetti della gestione della impresa farmacia nel suo complesso a cui possono collaborare legittimamente non farmacisti. Si pensi per esempio sia alle mansioni di mero ordine (pulizia dei locali, movimentazione della merce, ecc.), sia alle mansioni di tipo impiegatizio e contabile, connesse anche ai complessi rapporti economici con il S.S.N..

4. Deve ora passarsi all’esame dei successivi motivi ottavo, nono e decimo, che sono esaminati congiuntamente, attenendo tutti alla sussistenza dei requisiti assicurativi propri del coadiutore familiare.

Anche questi motivi non meritano accoglimento.

Preliminarmente deve rilevarsi, quanto alla valorizzazione da parte del giudice di merito del contenuto delle dichiarazioni rese dalle parti ai fini dell’applicazione del t.u.i.r. (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, comma 4), e all’obiezione al riguardo secondo cui, mentre tale disposizione fa riferimento all’impresa familiare disciplinata dall’art. 230 bis c.c., i requisiti di partecipazione previsti dall’assicurazione commercianti per i coadiutori familiari sono più stringenti, in particolare non potendo venire in considerazione la collaborazione resa non nell’ambito aziendale ma nell’ambito familiare in senso stretto, deve osservarsi che in realtà la richiamata norma tributaria, pur ricollegandosi alla nozione codicistica di impresa familiare, detta in via autonoma e/o stringente i criteri di partecipazione del familiare all’impresa che possano giustificare l’attribuzione al medesimo di una parte del reddito di impresa. Il tenore delle disposizioni rende evidente che è richiesta una partecipazione proprio al lavoro nell’impresa e le modalità di tale partecipazione sono delineate in maniera sostanzialmente sovrapponibile con i requisiti dettati dalla norma previdenziale. Infatti il citato comma 4, sia nella norma base introduttiva che nel dettare il tenore delle attestazioni che devono essere rese sia dall’imprenditore che dal coadiutore, parla di lavoro prestato nell’impresa in modo continuativo e prevalente. La L. n. 613 del 1966, art. 2 d’altra parte, analogamente fa riferimento ai familiari “che partecipano al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza”.

Deve anche sottolinearsi che il coordinamento tra la disciplina assicurativa e quella tributaria è previsto dalla L. n. 233 del 1990, art. 1 contenente una nuova regolamentazione della contribuzione e delle prestazioni nelle assicurazioni dei lavoratori autonomi.

Tanto premesso, riguardo all’accertamento della sussistenza nella specie da parte del familiare di una partecipazione al lavoro aziendale che giustifichi la qualificazione dello stesso come coadiutore ai fini assicurativi, siamo in presenza di un giudizio di fatto che non risulta affetto da vizi logici o giuridici. In particolare la Corte di merito non ha inteso in senso proprio e tecnico affermare che si fosse verificata un’inversione dell’onere della prova per effetto della dichiarazione formale circa la partecipazione del familiare all’impresa e le modalità di tale partecipazione. In sostanza, più semplicemente, nell’ambito della valutazione del quadro probatorio, la Corte ha logicamente riconosciuto la pregnante rilevanza di tale fonte di prova in difetto di allegazione e prova di specifiche circostanze dissonanti.

Neanche è sostenibile che la natura dei diritti coinvolti incidesse sul tipo di prove ammissibili, richiedendo solo il prudente apprezzamento delle prove in relazione alle singole concrete situazioni.

5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Può essere formulato il seguente principio di diritto: “Nel quadro della disciplina, dettata dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 202, 203 e 206, del campo di applicazione dell’assicurazione per gli esercenti attività commerciali istituita con la L. n. 613 del 1966, l’assicurazione stessa è operativa anche nei confronti dei coadiutori familiari non farmacisti del titolare di una farmacia – in relazione alle attività di vario tipo demandabili a non farmacisti nella gestione della relativa impresa, nel concorso dei requisiti di legge relativi sia all’impresa e in particolare alle modalità di organizzazione e conduzione della stessa, sia alle modalità di partecipazione dei coadiutori all’attività dell’impresa”.

La novità e difficoltà delle questioni di diritto giustificano la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 18 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2010

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