Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11979 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. II, 19/06/2020, (ud. 21/11/2019, dep. 19/06/2020), n.11979

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7886-2015 proposto da:

C.D., F.C., elettivamente domiciliati in

ROMA, P.ZA CRIVELLI 50, presso lo studio dell’avvocato SELENE

SABELLICO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

F.G., F.E., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DELLA GIULIANA 44, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO

ARRIGO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato BARBARA

COMPARETTI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 522/2014 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 13/08/2014;

– udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/11/2019 dal Consigliere GRASSO GIUSEPPE.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– la Corte d’appello di Trieste, con sentenza resa pubblica il 13 agosto 2014, rigettò l’impugnazione avanzata dai coniugi F.C. e C.D. nei confronti di G. ed F.E., avverso la decisione di primo grado che ne aveva disatteso la domanda di declaratoria d’acquisto per usucapione dell’appartamento posto al primo piano del fabbricato che si era appartenuto in vita al defunto padre F.Q.;

ritenuto che F.C. e C.D. propongono ricorso sulla base di quattro motivi avverso la statuizione d’appello e gli intimati resistono con controricorso;

ritenuto che con il primo motivo i ricorrenti denunziano l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in elazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, che secondo il loro assunto si era concretizzato nello “iter argomentativo e logico seguito dalla Corte d’Appello (…) viziato ed incoerente”; ciò in quanto essa aveva svalutato la testimonianza di F.S. (cugino qualificato equidistante), non correlando le risposte dal medesimo fornite alle domande che gli erano state poste; inoltre, “parimenti viziato – dal punto di vista logico – è il richiamo operato dalla Corte d’Appello alla corrispondenza intercorsa con l’avv. Maurigh, all’epoca legale del de cuius, ed il sig. F.C., posto che l’opzione ermeneutica sottostante (pur se solo intuibile) rimane comunque di assai dubbia ragionevolezza”; infine, non erano state esaminate plurime risultanze processuali (il de cuius non aveva disposto nel testamento dell’appartamento, pur avendo preso in rassegna analitica tutte le porzioni del fabbricato; i ricorrenti si erano comportati come gli effettivi titolari);

considerato che il motivo si dimostra palesemente inammissibile:

– l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); conseguendone che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (S.U. n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629831);

– non solo manca qualsiasi specifico riferimento al come e al dove dei pretesi documenti, ma qui, ancor prima, i ricorrenti si pongono al di fuori del vizio contemplato dalla legge, stante che i medesimi invocano espressamente il riesame logico della motivazione, all’evidenza non consentito dalla legge;

ritenuto che con il secondo motivo viene dedotta violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 4, lett. d), art. 26, lett. c), nonchè violazione dell’art. 15 Cost., comma 2, assumendo che:

– la lettera che F.C. aveva inviato al padre, e con la quale affermava di non volere contestare la titolarità di quest’ultimo sull’intero edificio, aveva natura confidenziale, siccome si traeva dall’incipit “Caro papà” e, pertanto la sua produzione in giudizio era da reputarsi illegittima, non essendo stata previamente chiesta l’autorizzazione del Garante della privacy;

considerato che il motivo prima che manifestamente infondato è da reputarsi inammissibile per le ragioni che seguono:

a) difetta in grado assoluto di specificità, sotto il profilo dell’autosufficienza, in quanto la lettera, che si assume confidenziale, sol perchè inviata dal figlio al padre, nonostante parrebbe trattare solo questioni economiche, non è trascritto;

b) è comunque manifestamente infondato, trattandosi di legittimo uso processuale di un documento, non esuberante lo stretto scopo difensivo, del quale non è stata dimostrata in alcun modo la natura di atto sensibile, la cui tutela avrebbe potuto essere invocata da parte dei titolari del documento stesso (i figli del de cuius, al quale la lettera era stata indirizzata); sul punto è bastevole condividere quanto già questa Corte ha avuto modo di reiteratamente chiarire, affermando che il diritto di difesa in giudizio prevale sul diritto alla inviolabilità della corrispondenza in virtù del generale principio di cui all’art. 51 c.p. (riguardante l’esimente dell’esercizio di un diritto) nonchè delle più specifiche norme del codice dei dati personali (D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 24) e della L. 22 aprile 1941, n. 633, artt. 93 e 94, in tema di diritto d’autore, norme queste ultime secondo cui la corrispondenza, allorchè abbia carattere confidenziale o si riferisca alla intimità della vita privata, può essere divulgata senza autorizzazione quando la conoscenza dello scritto sia richiesta ai fini di un giudizio civile o penale (Sez. 1, n. 21612, 20/09/2013, Rv. 628032; conf., ex multis, Sez. 1, n. 17204/013; Sez. 1, 18443/2013; ma già S. U., n. 3033 del 08/02/2011);

c) la denunzia di violazione di norme costituzionali, prima che manifestamente infondata, per quel che si è detto, è inammissibile, stante che la violazione di esse norme non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (di recente, Sez. 5, n. 15879, 15/6/2018, Rv. 649017; conf. n. 3709/2014; assai di recente, n. 22352/2019);

ritenuto che con il terzo motivo il ricorso prospetta violazione o falsa applicazione degli artt. 1158,1165 e 2914 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto:

– con la lettera inviata al padre, F.C. non effettuò un rituale riconoscimento del diritto altrui, come tale incompatibile con la sua volontà di volere godere del bene come se ne fosse il proprietario, in quanto al fine non poteva reputarsi sufficiente una mera dichiarazione di scienza, occorrendo, invece, “la manifestazione di volontà di attribuire il diritto al suo titolare”, manifestazione che qui non si era avuta con l’espressione “nessuno vuole contestare la tua proprietà”; nè per l’acquisto a titolo originario per usucapione occorre che l’interessato conservi l’intimo convincimento di essere effettivamente il proprietario del bene, essendo bastevole che si comporti come tale;

considerato che il motivo è inammissibile, prima ancora che manifestamente destituito di giuridico fondamento:

a) l’asserto è insondabile, presupponendo la possibilità di compulsare l’intero documento, onde verificare se dal suo complessivo contenuto possa reputarsi che non si fosse in presenza di un riconoscimento del diritto altrui, esame non praticabile a cagione della mancata allegazione dello stesso;

b) in disparte occorre soggiungere che i ricorrenti invocano un inammissibile riesame dell’interpretazione insindacabilmente svolta dalla Corte di merito;

ritenuto che con il quarto motivo si denunzia ulteriore omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per non avere la sentenza considerato che il preteso riconoscimento del diritto non riguardava la C., che non aveva condiviso la missiva al padre del marito;

ritenuto che la doglianza non supera il vaglio d’ammissibilità:

– qui i ricorrenti, nella sostanza, sotto l’usbergo apparente dell’omesso esame, invocano, ancora una volta, il riesame della valutazione di un documento esaminato dal Giudice del merito nel vivo contrasto delle parti;

– deve ribadirsi che il documento, non allegato al ricorso, non è conoscibile da questa Corte;

– peraltro, si è già chiarito che l’omissione deve consistere in elementi fattuali, giammai può essere succedaneamente individuata nell’esercizio del potere motivazionale (cfr., Sez. 3, n. 5795, 8/3/2017), come nella specie; di conseguenza, l’omesso esame che integra la violazione di legge individuata dal vigente art. 360 c.p.c., n. 5, deve concernere fatti sensibili direttamente refluenti sul tema della decisione e non già, come nel caso in esame, le argomentazioni del giudice, che altro non fanno che rimandare a una inammissibile sindacato del vaglio di merito;

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore dei controricorrenti siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

considerato che i ricorrenti risultano essere incorsi in colpa grave, avendo proposto un ricorso palesemente inammissibile in tutti i suoi motivi, oltre che in evidente contrasto con plurimi consolidati orientamenti di legittimità;

che trova applicazione l’art. 385 c.p.c., comma 4, vigente ratione temporis, dovendosi rilevare che nonostante l’art. 385 c.p.c., comma 4, introdotto con il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, sia stato abrogato dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 20, per espressa previsione dell’art. 58 della stessa legge, “le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile (..) si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”, vale a dire dopo 4 luglio 2009 (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 17814/2019);

che il presente giudizio risulta essere stato instaurato con citazione del 14/6/2008 e la sentenza fatta oggetto del ricorso per cassazione è evidentemente successiva alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40;

che, ad ogni buon conto, il contenuto della disposizione in parola, tosto che essere stato eliminato, risulta trasferito nell’art. 96 c.p.c., comma 3, come novellato dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 12;

che, avuto presente l’ammontare del rimborso a titolo di spese, appare equo condannare i ricorrenti al pagamento dell’ulteriore somma di cui in dispositivo, ai sensi dell’art. 385, comma 4, ratione temporis vigente;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge; nonchè al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 2.000,00, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 4.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2 Sezione Civile, il 21 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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