Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11978 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. II, 19/06/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 19/06/2020), n.11978

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ugo – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25726-2016 proposto da:

M.P., rappresentata e difesa dagli Avvocati

GIOVAMBATTISTA FERRIOLO, FERDINANDO EMILIO ABBATE e RANIERI RODA, ed

elettivamente domiciliata presso il loro studio in ROMA, VIALE G.

MAZZINI 114/B;

– ricorrente –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 569/2016 della CORTE d’APPELLO di FIRENZE,

pubblicato il 30/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/11/2019 dal Consigliere Dott. BELLINI UBALDO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso della L. n. 89 del 2001, ex art. 3, M.P. chiedeva che fosse accertato il mancato rispetto del termine di ragionevole durata, di cui all’art. 6, par. 1 della CEDU, in relazione alla durata di una causa – sempre in materia di equa riparazione – azionata nel giugno 2010 dinanzi alla Corte d’Appello di Perugia, che si era protratta oltre 4 anni, per due gradi di giudizio (uno davanti alla Corte d’Appello e l’altro davanti alla Corte di Cassazione) e per la fase di esecuzione davanti al Tribunale di Roma. Chiedeva la condanna del MINISTERO della GIUSTIZIA al pagamento della somma di Euro 1.187,50 o della diversa somma di giustizia.

Il Giudice designato della Corte d’Appello di Firenze, con decreto n. 279/2015 del 3.8.2015, riteneva che il periodo eccedente la durata ragionevole dovesse essere calcolato in 1 anno, 6 mesi e 14 giorni, liquidando alla ricorrente la somma di Euro 1.000,00.

Il Ministero della Giustizia proponeva opposizione, lamentando che il primo Giudice aveva erroneamente considerato rilevante l’intero arco temporale intercorso tra la pronuncia della Cassazione e l’emissione dell’ordinanza di assegnazione, emessa a conclusione del processo esecutivo; chiedeva dichiararsi l’inammissibilità del ricorso o, in subordine, la sua infondatezza con annullamento del decreto opposto.

Si costituiva M.P. chiedendo il rigetto dell’opposizione.

Con Decreto n. 569 del 2016 del 30.3.2016 la Corte d’Appello di Firenze accoglieva l’opposizione, revocava il decreto opposto e condannava la M. al pagamento delle spese di lite.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione M.P. sulla base di due motivi; l’intimato Ministero della Giustizia non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2”, là dove il decreto impugnato, pur ritenendo il procedimento ex L. n. 89 del 2001 presupposto come unico processo comprensivo della fase di esecuzione (secondo quanto affermato dalla sentenza n. 6312 del 2014 della Suprema Corte) tuttavia, per la fase di cognizione, ha escluso il tempo intercorso tra la decisione della Corte d’Appello e la data della sua impugnazione, mentre, per la fase esecutiva, ha escluso il tempo intercorso tra la decisione della Cassazione e la notifica del precetto. In sostanza, il giudizio ex L. n. 89 del 2001, che si articoli in una fase di cognizione e in una di esecuzione, va considerato come unico processo, che ha inizio con la domanda di equa riparazione e che ha termine con il provvedimento conclusivo della fase esecutiva: la durata ragionevole è di 2 anni, 6 mesi e 5 giorni e nel computo di tale durata deve essere ricompreso anche il periodo dalla data di esecutività del provvedimento che accorda l’equa riparazione fino all’ordinanza conclusiva della fase esecutiva.

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – Con la recente decisione n. 19833 del 2019, questa Corte, a sezioni unite, ha (tra gli altri) affermato i seguenti principi di diritto: “1. Ai fini della decorrenza del termine di decadenza per la proposizione del ricorso ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4, nel testo modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55, conv. nella L. n. 134 del 2012 risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 88/2018, la fase di cognizione del processo che ha accertato il diritto all’indennizzo a carico dello Stato debitore va considerata unitariamente rispetto alla fase esecutiva eventualmente intrapresa nei confronti dello Stato, senza la necessità che essa venga iniziata nel termine di sei mesi dalla definitività del giudizio di cognizione, decorrendo detto termine dalla definitività della fase esecutiva. 2. Ai fini dell’individuazione della ragionevole durata del processo rilevante per la quantificazione dell’indennizzo previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, la fase esecutiva eventualmente intrapresa dal creditore nei confronti dello Stato – debitore inizia con la notifica dell’atto di pignoramento e termina allorchè diventa definitiva la soddisfazione del credito indennitario. 3. Nel computo della durata del processo di cognizione ed esecutivo, da considerare unitariamente ai fini del riconoscimento del diritto all’indennizzo L. n. 89 del 2001, ex art. 2, non va considerato come “tempo del processo” quello intercorso fra la definitività della fase di cognizione e l’inizio della fase esecutiva, quest’ultimo invece potendo eventualmente rilevare ai fini del ritardo nell’esecuzione come autonomo pregiudizio, allo stato indennizzabile in via diretta ed esclusiva, in assenza di rimedio interno, dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo. (…)”.

1.3. – Orbene, nella fattispecie, la Corte di merito (evidentemente a consocenza del dibattito giurisprudenziale a monte della richiamata ultima citata decisione della sezioni unite; cfr. Cass. sez. un. 27348 del 2009; Cass. sez. un. 6312 del 2014; Cass. sez. un. 9142 del 2016) ha correttamente affermato che la fase di cognizione fosse durata 1 anno e 1 mese circa presso la Corte d’Appello di Perugia (ricorso presentato il 28.6.2010 e dichiarato inammissibile con decreto del 22.7.2011) e 10 mesi circa presso la Cassazione (impugnazione del 3.2.2012 e decisione del 7.12.2012), non dovendosi tenere conto, invece, del tempo intercorso tra la decisione della Corte d’Appello e la data della sua impugnazione davanti alla Corte di Cassazione (L. n. 89 del 2001, ex art. 2, comma 2-quater). E che la fase esecutiva, dal canto suo, aveva avuto una durata di 6 mesi e 16 giorni (dall’11.12.2013, data di notifica del precetto, al 27.6.2014, data dell’ordinanza di assegnazione).

La Corte giunge pertanto alla coerente conclusione secondo la quale il procedimento (“da considerare come unico processo comprensivo della fase di esecuzione”) risultava avere avuto una durata di 2 anni, 5 mesi e 16 giorni, per cui il periodo di ragionevole durata (2 anni, 6 mesi e 5 giorni) non era stato superato.

2. – Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione di legge – artt. 91 e 92 c.p.c.”, là dove la Corte di merito ha condannato l’istante al pagamento integrale delle spese di lite, nonostante l’esistenza di un orientamento giurisprudenziale difforme della stessa Corte toscana, a dimostrazione delle difficoltà interpretative alle quali la questione ha dato origine. In base all’attuale testo dell’art. 92 c.p.c., tra i presupposti che possono giustificare la compensazione delle spese, vi è proprio un mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti e l’assoluta novità della questione trattata.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. sez. un. 19833 del 2019; Cass. n. 11329 del 2019).

3. – Il ricorso va dunque rigettato. Nulla per le spese, giacchè l’intimato Ministero non ha svolto alcuna difesa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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