Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11978 del 10/06/2016


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Cassazione civile sez. lav., 10/06/2016, (ud. 17/03/2016, dep. 10/06/2016), n.11978

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 872-2011 proposto da:

INPDAP – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA PER I

DIPENDENTI DELL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente/Commissario Straordinario legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

S. CROCE IN GERUSALEMME 55, presso lo studio dell’avvocato DARIO

MARINUZZI, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA, C.F. (OMISSIS);

CENTRO SERVIZI AMMNISTRATIVI (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 631/2009 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 04/01/2010 R.G.N. 248/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/03/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito l’Avvocato MARINUZZI DARIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con sentenza del 4 gennaio 2010 la Corte di Appello di Campobasso ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto la domanda proposta dall’INPDAP nei confronti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e del suo ufficio periferico Centro Servizi Amministrativi (già Provveditorato agli Studi) di (OMISSIS) volta al risarcimento del danno per il ritardo con cui detto Provveditorato aveva trasmesso all’Istituto previdenziale talune pratiche inerenti ad istanze di dipendenti dell’amministrazione scolastica di riscatti di periodi valutabili a fini previdenziali.

Secondo la Corte territoriale la previsione del termine di sei mesi, di cui al D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 24 entro il quale l’amministrazione di appartenenza avrebbe dovuto trasmettere le pratiche di riscatto all’INPDAP, nulla toglieva alla natura strumentale dell’attività istruttoria stessa, che si inseriva all’interno di un procedimento diretto alla quantificazione dei correlati importi di contribuzione dovuti dal dipendente.

Inoltre per la Corte, conformemente al giudizio del primo giudice, “il credito contributivo dell’INPDAP è solo eventuale al momento della trasmissione dei dati della p.a. deputata alla trasmissione della richiesta, atteso che a quest’ultima attività prodromica deve seguire quella di quantificazione e deliberazione dell’Istituto previdenziale, con individuazione dell’importo della contribuzione da corrispondersi al dipendente e acquisizione dell’adesione di quest’ultimo ad avvalersi del riscatto previdenziale così in concreto formalizzato e pagare, una tantum o semmai in rate, la correlata contribuzione”.

2.- Per la cassazione di tale sentenza I’INPDAP ha proposto ricorso con un unico articolato motivo. Non hanno svolto attività difensiva le amministrazioni intimate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3.- Con il mezzo di impugnazione si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1032 del 29 dicembre 1973, art. 24, nonchè violazione e falsa applicazione della normativa civilistica in tema di risarcimento dei danni patrimoniali per inadempimento di una obbligazione ex lege.

Si rammenta che per la disposizione citata “la domanda di riscatto deve pervenire all’amministrazione del Fondo di previdenza, debitamente istruita, entro sei mesi dalla data di presentazione all’amministrazione statale competente; l’amministrazione del Fondo provvede entro novanta giorni dalla ricezione”.

Si precisa che il contributo di riscatto in unica soluzione dovuto dagli iscritti al Fondo di previdenza varia in base a parametri legati al decorso del tempo, aumentando proporzionalmente alla retribuzione annua contributiva, in quanto pari alla misura dell’80% della retribuzione lorda spettante al dipendente.

Assume dunque parte ricorrente che “il ritardo da parte del Centro Servizi Amministrativi di (OMISSIS) ha certamente causato un danno patrimoniale all’INPDAP il quale, pur dovendo concedere il riscatto dei servizi secondo i parametri sussistenti al momento della domanda, ha incamerato i contributi relativi al medesimo riscatto con notevole ritardo rispetto al termine fissato dal D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 24 e ciò per colpa esclusiva dell’amministrazione di appartenenza dell’iscritto”.

Secondo l’Istituto “il risarcimento va commisurato agli interessi legali computati proprio sul ritardo con cui l’INPDAP ha incamerato i contributi di riscatto, così come allegato e dimostrato dalla difesa dell’INPDAP, in modo analitico con riferimento alle singole posizioni degli ex iscritti, nei precedenti gradi di giudizio”.

Si sostiene anche che “tutte le domande di riscatto, se svolte nei termini di legge, siccome poi accolte senza eccezioni, avrebbero consentito all’INPDAP di incamerare i contributi con rilevante anticipo”.

4.- Il Collegio giudica il ricorso inammissibile.

La richiesta di risarcimento dell’Istituto si fonda sull’assunto che avrebbe patito un danno per l’indugio nella trasmissione delle pratiche da parte delle amministrazioni convenute che andrebbe “commisurato agli interessi legali computati proprio sul ritardo con cui I’INPDAP ha incamerato i contributi di riscatto, così come allegato e dimostrato dalla difesa dell’INPDAP, in modo analitico con riferimento alle singole posizioni degli ex iscritti, nei precedenti gradi di giudizio”.

Orbene il motivo, così come formulato, è inammissibile per violazione del disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in base al quale l’impugnazione per cassazione deve contenere “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

Il requisito di natura contenutistica (v. Cass. SS. UU. n. 28547 del 2008) per essere assolto postula sia che il documento venga specificamente indicato nel ricorso, sia che si dettagli in quale sede processuale risulti prodotto, “poichè indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, dire dove nel processo è rintracciabile” (cfr. Cass. SS. UU. n. 7161 del 2010).

Il doppio onere della localizzazione e della trascrizione ha avuto seguito nella giurisprudenza successiva (tra le altre v. Cass. n. 6937 del 2010; Cass. sez. 6 n. 4220 del 2012).

In particolare, circa l’indicazione della sede processuale ove i documenti risultino prodotti, è stato sovente ribadito che è al riguardo necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (Cass. n. 8569 del 2013) con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass. n. 12239 del 2007; Cass. n. 26888 del 2008; Cass. n. 22607 del 2014).

Quanto poi alla trascrizione dei contenuti si è detto in generale che “l’onere di specificazione non concerne solo il cd. contenente, cioè il documento o l’atto processuale come entità materiale, ma anche il cd. contenuto, cioè quanto il documento o l’atto processuale racchiudono in sè e fornisce fondamento al motivo di ricorso. Sotto questo profilo l’onere di indicazione si può adempiere trascrivendo la parte del documento su cui si fonda il motivo o almeno riproducendola indirettamente in modo da consentire alla Corte di cassazione di esaminare il documento o l’atto processuale proprio in quella parte su cui il ricorrente ha fondato il motivo, sì da scongiurare un inammissibile soggettivismo della Corte nella individuazione di quella parte del documento o dell’atto su cui il ricorrente ha inteso fondare il motivo” (in termini: Cass. n. 22303 del 2008; conformi: Cass. n. 2966 del 2011; Cass. n. 15847 del 2014; Cass. n. 18024 del 2014).

Anche ove non si vogliano pretendere pedisseque riproduzioni integrali, chi fonda il ricorso per cassazione su uno o più documenti ha quanto meno l’onere di indicare nell’atto “il contenuto rilevante del documento stesso” (Cass. n. 17168 del 2012).

Mancando nel motivo la “specifica indicazione” dei documenti e degli atti processuali su cui si fonda, nei sensi espressi dagli orientamenti di legittimità innanzi richiamati, il medesimo risulta inammissibile in quanto si limita a fare riferimento a non meglio precisate “allegazioni” e “dimostrazioni” effettuate dalla difesa dell’Istituto, “con riferimento alle singole posizioni degli ex iscritti”, “nei precedenti gradi di giudizio”, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificarne il fondamento sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso diretto agli atti del giudizio di merito (tra le tante: Cass. n. 8569 del 2013; Cass. n. 3158 del 2003; Cass. n. 12444 del 2003; Cass. n. 1161 del 1995).

5.- Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese non avendo svolto attività difensiva le parti intimate.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2016

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