Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11975 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. II, 19/06/2020, (ud. 20/09/2019, dep. 19/06/2020), n.11975

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10846/2015 proposto da:

P.I., rappresentata e difesa dall’avvocato Mirco Giovanni

Rizzoglio;

– ricorrente –

contro

Comune di Milano, elettivamente domiciliato in Roma Lungotevere

Marzio 3 presso lo studio dell’avvocato Izzo Raffaele che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati Barbagiovanni Enrico,

Mandarano Antonello, Marinelli Irma, Meroni Ruggero;

– controricorrente –

contro

P.I., P.M., P.A., P.M.,

P.M., P.O., P.N.,

P.J.W., in qualità di eredi di G.L., L.C.,

L.A., L.L., in qualità di eredi di

P.G., P.N.J., R.P.V., P.M.,

G.A., P.A., P.N.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 742/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 20/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/09/2019 da COSENTINO ANTONELLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale MISTRI

CORRADO che ha concluso per la parziale inammissibilità del

ricorso, in subordine il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La sig.ra P.I. conveniva davanti al Tribunale di Milano il fratello P.M. e la cognata G.A. (anche quali esercenti della potestà genitoriale sui figli minori A. e P.N.) al fine di far accertare il suo diritto di proprietà sulla villetta abitata dai convenuti in (OMISSIS), nel comprensorio denominato (OMISSIS). Tale villetta costituiva adattamento ed ampliamento di una originaria “casetta prefabbricata” di cui ella era diventata proprietaria per averle vinta nell’anno 1946 (quando era minorenne), in occasione di un concorso telefonico indetto dall’Associazione Nazionale delle famiglie dei martiri trucidati dai nazi-fascisti.

La sig.ra P. esponeva che il suddetto prefabbricato era stato collocato su un’ area che suo padre, P.N., aveva ricevuto in affitto dal Comune di Milano nel 1950 ed era stato adibito per anni ad abitazione dell’intera famiglia P., fino a quando ella si era trasferita altrove e nella casa, nel corso del tempo ristrutturata ed ampliata, erano rimasti sua madre e suo fratello, P.M., che vi abitava con la propria famiglia.

P.M., sua moglie e i suoi figli si costituivano resistendo alla domanda di P.I. e svolgendo a propria volta una domanda riconvenzionale di accertamento del loro intervenuto acquisto per usucapione della villetta in questione.

Nel giudizio di primo grado interveniva il Comune di Milano, al fine di far accertare, nei confronti di entrambe le parti, l’esclusiva proprietà comunale sia dell’area sita in (OMISSIS), sia del fabbricato ivi insistente, non censito, acquistato per accessione ai sensi degli artt. 934 e ss. c.c.. Il Comune chiamava altresì in causa la sig.ra G.L., madre di I. e P.M., la quale si costituiva tardivamente, aderendo alla prospettazione della figlia I. e, proponendo, solo in linea di subordine, domanda di usucapione della villetta in questione.

Il Tribunale, per quanto qui ancora interessa, accoglieva le domande del Comune di Milano e rigettava le domande delle parti private, affermando che il Comune era proprietario sia dell’area di sedime, avendola acquistata nel 1927, sia del fabbricato ivi edificato, per intervenuta accessione ex art. 934 c.c..

La Corte di appello di Milano rigettava gli appelli proposti da P.I., in via principale, e da M., A. e P.N. e G.A., in via incidentale, nei confronti del Comune di Milano, in contraddittorio con gli altri eredi di G.L., frattanto deceduta, e confermava la sentenza di primo grado.

La Corte territoriale – premesso in fatto, sulla scorta delle risultanze della consulenza tecnica di ufficio svolta in primo grado, che la originaria “casetta prefabbricata” non esisteva più e che sulla relativa area esisteva, fin dagli anni ‘80, un fabbricato in muratura affermava, in conformità al primo giudice, che, essendo l’area di proprietà del Comune, anche il fabbricato era entrato, per accessione, in proprietà comunale.

La Corte ambrosiana quindi disattendeva le domande di accertamento della proprietà dell’area e del prefabbricato separatamente avanzate, da un lato, da P.I. e, d’altro lato, da P.M., sua moglie G.A. e i suoi figli A. e P.N..

Quanto alla posizione di P.I., l’unica che qui interessa, la Corte di appello rilevava che costei, nell’atto introduttivo del giudizio, aveva domandato solo l’accertamento della sua proprietà sul prefabbricato, per averlo acquistato per titolo (la lotteria); che tale domanda andava rigettata per essere venuto meno il bene che ne formava oggetto; che la domanda di usucapione della villetta in muratura esistente in luogo del prefabbricato originario, e della relativa area di sedime, doveva giudicarsi inammissibile, in quanto proposta, tardivamente, solo con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5; che tale domanda era altresì infondata, dovendosi escludere l’unitarietà del possesso ad usucapionem sull’originario prefabbricato e sull’attuale villetta in muratura e, comunque, risultando l’usucapione di quest’ultima impedita dalla incommerciabilità della stessa, conseguente alla mancanza di titoli abilitativi edilizi.

La sig.ra P.I. ha proposto ricorso, sulla scorta di sei motivi, per la cassazione della sentenza di appello.

Solo il Comune di Milano ha depositato controricorso, non avendo gli altri intimati svolto attività difensiva in questa sede.

La causa è stata chiamata alla camera di consiglio del 15/02/2018 per la quale sia la ricorrente che il Comune hanno presentato una memoria difensiva. In quella sede la causa è stata rinviata alla pubblica udienza, con onere di integrazione del contraddittorio verso taluni litisconsorti (eredi della sig.ra G.L.) nei cui confronti la notifica del ricorso non risultava perfezionata. Eseguita l’integrazione del contraddittorio, la causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 20.9.19, per la quale tanto la ricorrente quanto il Comune hanno depositato una ulteriore memoria e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come da verbale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I primi due motivi di ricorso, rispettivamente riferiti al vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 (la novità o non novità della villetta rispetto al prefabbricato) ed al vizio di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 (con riguardo all’art. 42 Cost. e art. 832 c.c.) censurano la statuizione con cui la Corte territoriale ha affermato la discontinuità tra il preesistente prefabbricato e la villetta esistente sul luogo ove tale prefabbricato era collocato.

In particolare, con il primo motivo si lamenta che la Corte territoriale si sia acriticamente appiattita sulle conclusioni della consulenza tecnica svolte nel giudizio di primo grado, alla cui stregua “la casa prefabbricata… non esiste più e al suo posto vi è una vera e propria villetta in muratura tradizionale”; con il secondo motivo si assume che l’erronea ricostruzione dei termini di fatto della situazione avrebbe determinato una erronea applicazione delle norme che regolano l’istituto della proprietà.

Entrambi tali motivi vanno disattesi.

Il primo motivo risulta formulato senza l’osservanza del paradigma fissato dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo modificato dal D.L. n. 83 del 2010, perchè non denuncia l’omesso esame di un fatto storico decisivo che abbia formato oggetto di discussione tra le parti, ma attinge, sulla scorta di considerazioni di merito, il giudizio di fatto della Corte territoriale in ordine alla identità dell’edificio esistente con il prefabbricato preesistente. La discontinuità tra l’originario prefabbricato e l’attuale villetta (che, peraltro, costituisce una valutazione e non un fatto storico), del resto, ha formato oggetto di specifico esame in sentenza (pag. 8), anche se gli esiti di tale esame sono risultati difformi alle aspettative della odierna ricorrente. Quest’ultima, in sostanza, pretende di contrapporre la propria valutazione delle risultanze istruttorie, tecniche e testimoniali, a quella operata dalla Corte territoriale. La censura risulta dunque inammissibile, perchè, come questa Corte ha più volte affermato già sotto la vigenza del testo previgente dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. sent. n. 7972/07), nel giudizio di cassazione la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto irrilevante che ella aveva acquistato per titolo (la vincita alla lotteria) il prefabbricato de quo, in tal modo violando i principi della disciplina della proprietà. Il motivo non indica specifici errori in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa nella interpretazione dell’art. 42 Cost. e art. 833 c.c. e, in definitiva, non attinge la ratio decidendi, la quale consiste nel giudizio di fatto (non censurabile con il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 e, peraltro, autonomamente, anche se sterilmente, censurato con il primo mezzo di ricorso) secondo cui la attuale villetta era una cosa diversa dall’originario (e non più esistente) prefabbricato. In sostanza la censura veicolata nel secondo motivo di ricorso non può trovare accoglimento perchè la denunciata violazione di legge presuppone una ricostruzione dei fatti di causa diversa da quella posta a fondamento della decisione della Corte territoriale, come espressamente dichiarato nello stesso ricorso, là dove, a pag. 14, si legge: “L’omesso (o comunque carente) esame, da parte della Corte di merito del “fatto” di cui al punto che precede si è, ovviamente, riverberato sulla erronea applicazione, alla fattispecie, delle norme che regolano, nel nostro ordinamento, l’istituto della proprietà”.

Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. e dell’art. 934 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 in cui la corte territoriale sarebbe incorsa trascurando la circostanza che il Comune, con la Delib. n. 93 del 27 settembre 1999, aveva offerto in vendita i lotti facente parte del menzionato (OMISSIS) ai proprietari degli immobili ivi insistenti, così formalmente riconoscendo di essere proprietario del suolo ma non degli immobili.

Il motivo propone due distinte doglianze.

Con la prima doglianza, riferita alla dedotta violazione dell’art. 100 c.p.c., si sostiene che la domanda del Comune di accertamento del suo diritto di proprietà sul bene in questione sarebbe stata inammissibile per carenza di interesse ad agire, in quanto contrastante con le finalità della suddetta delibera municipale, identificabili, secondo la ricorrente, in “quelle di individuare un possibile proprietario della casetta a cui cedere l’area su cui la stessa insiste” (pag. 22, fine del primo capoverso, del ricorso). La doglianza è inammissibile e, comunque, infondata. L’inammissibilità discende dal rilievo che la questione della carenza di interesse ad agire del comune di Milano non è trattata nella sentenza, nè la ricorrente riferisce di averla dedotta in sede di merito, nè essa può essere delibata per la prima volta in sede di legittimità, giacchè si fonda su circostanze di fatto (relative all’adozione di un piano municipale di vendita dei lotti costituenti l’area del (OMISSIS)) che non emergono dalla sentenza gravata e che non possono formare oggetto di accertamento in questa sede. L’infondatezza discende dalla considerazione che, quale che fosse la destinazione che il Comune intendesse dare a detta area, l’azione amministrativa non poteva prescindere da una chiara identificazione della proprietà tanto dei lotti che componevano la stessa, quanto delle costruzioni ivi insistenti.

Con la seconda censura, riferita alla dedotta violazione dell’art. 934 c.c., la ricorrente deduce che, pur dopo la scadenza (nel 1975) dell’originaria concessione venticinquennale del suolo al di lei padre, quest’ultimo era rimasto nella detenzione del terreno e il Comune aveva continuato a richiedere ed incassare il canone di concessione, cosicchè non vi sarebbe ragione per cui la ricorrente dovesse essere discriminata rispetto agli altri residenti nel comprensorio, a cui favore il Comune aveva costituito il diritto di superficie. Anche questa censura va disattesa.

In primo luogo, si osserva che la circostanza che la concessione del suolo su cui poggia la costruzione sarebbe stata rinnovata dopo la scadenza venticinquennale non emerge dalla sentenza gravata e non può essere accertata in questa sede; peraltro, può aggiungersi, la circostanza che il Comune abbia continuato a percepire i canoni dopo la scadenza della concessione non sarebbe di per sè dimostrativa dell’avvenuto rinnovo della concessione, ben potendo tale percezione assolvere alla funzione di risarcimento del danno da occupazione senza titolo, arg. ex art. 1591 c.c..

In secondo luogo va comunque considerato che l’eventuale rinnovo tacito della concessione, ove anche dimostrato, risulterebbe irrilevante, giacchè la ricorrente non deduce – nè precisa di aver dedotto in sede di merito – che detta concessione avesse ad oggetto la costituzione temporanea di un diritto di superficie (vale a dire l’attribuzione al privato del diritto ad edificare sul suolo e mantenere la proprietà del fabbricato distinta da quella del suolo), ma fa riferimento ad un atto (che nelle pagg. 2 e 23 del ricorso viene qualificato come “contratto di affitto”, senza peraltro alcuna specifica illustrazione del relativo contenuto), attributivo del diritto personale di tenere sul suolo un prefabbricato; atto evidentemente diverso dall’attribuzione di un diritto temporaneo di superficie, con la conseguenza che il rapporto da esso derivante non avrebbe impedito l’operatività dell’art. 934 c.c. nell’ipotesi, che il giudice di merito ha accertato essersi verificata nella specie, di realizzazione di una costruzione in luogo del preesistente prefabbricato.

Con il quarto motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione dell’art. 183 c.p.c.. In particolare la ricorrente censura la pronuncia impugnata nella parte in cui ha ritenuto inammissibile, perchè tardiva, la domanda di usucapione da lei formulata per la prima volta nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5. Nel motivo d’impugnazione si deduce che la domanda di usucapione della sig.ra P. non poteva considerarsi nuova rispetto alla originaria domanda di accertamento del suo diritto di proprietà per titolo (vincita alla lotteria). Secondo l’odierna ricorrente la Corte avrebbe erroneamente trascurato il principio giurisprudenziale che l’allegazione, nel corso del giudizio o in appello, di un titolo di acquisto diverso, quale l’usucapione, rispetto a quello inizialmente dedotto, non importa mutamento della domanda.

Il motivo è fondato.

L’impugnata sentenza ha rilevato che la sig.ra P. aveva “proposto la sua domanda di accertamento dell’avvenuta acquisto per usucapione della proprietà dell’area e del prefabbricato su di essa insistente solo con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5 e, quindi, tardivamente” e conseguentemente – sottolineato come tale domanda si fondasse “su elementi di fatto (il potere di fatto esercitato per il tempo previsto dalla legge, l’asserita partecipazione alle spese di ristrutturazione) diversi da quelli prospettati la domanda originaria (vincita di una lotteria)” – ha concluso statuendo che “le considerazioni che precedono comportano l’inammissibilità della detta domanda di usucapione dell’area, nonchè dell’edificio su di essa insistente” (i virgolettati sono tratti da pag. 7 della sentenza).

Tale statuizione è viziata dall’error in procedendo denunciato con il mezzo di impugnazione in esame.

Dal diretto esame della citazione introduttiva, consentito a questa Corte in ragione della natura processuale della censura, si rileva infatti che il punto 1) delle relative conclusioni recita: “accertarsi e dichiararsi che l’immobile sito in (OMISSIS)… è di esclusiva proprietà della sig.ra P.I.”. L’inequivocabile tenore testuale di tale domanda, che ha ad oggetto l’accertamento del diritto di proprietà, e non del diritto di superficie, sull’immobile sito in via dei (OMISSIS), dimostra che, fin dall’atto introduttivo, l’odierna ricorrente aveva chiesto dichiararsi la sua proprietà sia dell’attuale fabbricato (che nella sua prospettazione rappresentava un mero ampliamento dell’originario prefabbricato acquistato per titolo) sia dell’area su cui esso insiste. Il fatto che solo nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5, l’attrice abbia dedotto l’usucapione come modo di acquisto del proprio diritto di proprietà sull’immobile de quo, non determina, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, alcuna mutatio libelli; è, infatti, fermo insegnamento di questa Corte, da ultimo ribadito ancora nella sentenza n. 23565/19, che la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei cd. diritti “autodeterminati”, individuati, cioè, sulla base della sola indicazione del relativo contenuto sì come rappresentato dal bene che ne forma l’oggetto, con la conseguenza che la “causa petendi” delle relative azioni giudiziarie si identifica con i diritti stessi e non con il relativo titolo – contratto, successione ereditaria, usucapione, ecc. – che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non ha, per l’effetto, alcuna funzione di specificazione della domanda, essendo, viceversa, necessario ai soli fini della prova.

Non osta all’accoglimento del motivo di ricorso la circostanza, sottolineata nel controricorso dell’Amministrazione comunale, che la Corte territoriale, pur affermando l’inammissibilità della domanda di usucapione della sig.ra P., ha anche enunciato le ragioni della relativa infondatezza, indicandole, per un verso, nella diversità strutturale tra il prefabbricato da lei vinto alla lotteria negli anni ‘40 (ormai venuto meno) e la costruzione oggi esistente in loco (con conseguente esclusione “dell’unitarietà del possesso ad usucapionem”, pag. 10 della sentenza) e, per altro verso, nella inusucapibilità di quest’ultimo fabbricato, per essere stato il medesimo realizzato in assenza di titoli abilitativi edilizi. Tali ragioni attengono, infatti, al merito della domanda (vale a dire, appunto, alla sua fondatezza) e, concernendo una domanda dichiarata inammissibile, risultano prive di portata decisoria. E’ fermo insegnamento di questa Corte, infatti, che, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità, con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, tali argomentazioni sono prive di giuridica rilevanza e la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnarle (SSUU n. 2840/07, SSUU n. 15122/13).

Il quarto motivo di ricorso va quindi accolto.

Con il quinto motivo, riferito all’art. 160 c.p.c., n. 5, la ricorrente lamenta, anche sotto il profilo della violazione dell’art. 6 CEDU, che la Corte territoriale abbia omesso di esaminare le prove da lei articolate; in particolare si censura l’affermazione dell’impugnata sentenza (pag. 9, ultimo capoverso) secondo cui la ritenuta inammissibilità della domanda della signora P. “a maggior ragione esime questa Corte dall’ammettere le istanze istruttorie finalizzate alla dimostrazione del possesso ad usucapionem”.

Il sesto motivo reitera, sotto il profilo della violazione dell’art. 115 c.p.c., la medesima doglianza di mancata ammissione delle prove già proposta nel quinto motivo con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il quinto ed il sesto motivo devono giudicarsi assorbiti dall’accoglimento del quarto.

In definitiva l’impugnata sentenza va cassata in relazione al quarto mezzo di impugnazione con rinvio aha Corte d’appello di Milano, in altra composizione, perchè questa esami la domanda di

usucapione della sig.ra P., regolando altresì le spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta i primi tre e dichiara assorbiti il quinto e il sesto.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.

Si dà atto che il presente provvedimento è firmato dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, Ei i sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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