Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11974 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. II, 19/06/2020, (ud. 17/09/2019, dep. 19/06/2020), n.11974

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TEDESCO Giuseppe – Presidente –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27530-2015 proposto da:

C.E., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo

studio dell’avvocato VINCENZO SPARANO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.A., titolare dell’impresa individuale ABS INTERNATIONAL,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIAN LUCA PEREGO;

– controricorrente –

nonchè contro

ATHENA TECHNOLOGY SRL IN LIQUIDAZIONE ABS INTERNATIONAL SRL IN

LIQUIDAZIONE, G.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3539/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 11/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/09/2019 dal Consigliere BESSO MARCHEIS CHIARA;

udito il M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

C.L. che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Rossetti Francesca, con delega depositata in udienza

dall’avvocato Vincenzo Sparano,

difensore della ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avvocato Gian Luca Perego, difensore del resistente, che ha

depositato procura speciale notarile 13/09/2019 ed ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione del 7 aprile 2006 Athena Technology s.r.l., ABS International s.r.l. e B.A., in qualità di titolare dell’impresa individuale ABS International, convenivano in giudizio i coniugi C.E. e G.G., chiedendo che venisse dichiarata la nullità del contratto d’opera professionale intercorso tra le parti, con conseguente condanna dei convenuti alla restituzione dei compensi loro corrisposti nonchè al risarcimento del danno causato dalle irregolarità e omissioni connesse all’adempimento dell’incarico loro affidato. A sostegno delle domande gli attori deducevano di avere affidato ai convenuti la tenuta della propria contabilità, la redazione del bilancio e dello stato patrimoniale, nonchè l’adempimento degli obblighi fiscali inerenti le società e l’impresa individuale, di avere regolarmente pagato i compensi richiesti e di avere successivamente scoperto, a seguito di contestazioni dell’Agenzia delle entrate, che i convenuti avevano omesso di presentare la denuncia dei redditi e i bilanci societari per diverse annualità, nonchè i modelli 770 per i dipendenti e che, inoltre, neppure risultava la loro iscrizione all’albo professionale.

Il Tribunale di Monza, con sentenza n. 2507/2009, in accoglimento delle domande attoree dichiarava la nullità del contratto intercorso tra le parti e condannava G.G. ed C.E. a restituire agli attori i compensi ricevuti nonchè, in via solidale, a risarcire il danno.

2. La sentenza era appellata da C.E., che lamentava l’erroneità della decisione del giudice di prime cure nella parte in cui aveva considerato “i coniugi G.- C. un’entità unica e indivisibile, invece di distinguere i rapporti professionali che intercorrevano tra gli stessi e le società appellate”, nonchè l’erronea quantificazione delle spese di lite.

Con sentenza 11 settembre 2015, n. 3539, la Corte d’appello di Milano ha rigettato l’impugnazione.

3. Contro la sentenza ricorre per cassazione C.E.. Resiste con controricorso B.A., quale titolare dell’impresa individuale ABS International.

Gli intimati Athena Technology s.r.l. in liquidazione, ABS International s.r.l. in liquidazione e G.G. non hanno proposto difese.

La ricorrente e il controricorrente hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è articolato in tre motivi.

a) Il primo motivo lamenta violazione degli artt. 2222,2229 e 2223 c.c.: sulla base “di un generico principio dell’apparenza, la corte di merito ha ritenuto sussistere un’associazione professionale di fatto giungendo a ravvisare una comune ed indistinta responsabilità degli associati per la negligenza nell’esecuzione del mandato conferito”, così contrastando con le disposizioni di cui agli artt. 2222,2229 e 2232 c.c., secondo cui la responsabilità nell’esecuzione della prestazione è del singolo professionista incaricato e ciò anche quando si tratta di professionisti associati in studi professionali.

Il motivo non può essere accolto. Il giudice d’appello non ha affermato la responsabilità della ricorrente sulla base della sua partecipazione a uno studio associato; ha invece, sulla base delle risultanze istruttorie acquisite (testimonianze e documenti), affermato che i coniugi svolgevano un ruolo assolutamente identico nell’espletamento degli incarichi loro affidati, con oggettiva simmetria delle attività concretamente operate. Il motivo, pertanto, si sostanzia non in una denuncia di violazione di legge, ma in una censura della valutazione delle prove operata dal giudice di merito, censura inammissibile di fronte a questa Corte di legittimità.

b) Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 2697 c.c.: la Corte d’appello “ha ritenuto ingiustamente essere onere della ricorrente dimostrare di non aver svolto alcuna attività in favore delle società e non già essere onere di queste ultime provare di avere affidato alla ricorrente la tenuta dei propri libri contabili, la redazione dei bilanci e l’invio delle dichiarazioni fiscali in via telematica”.

Il motivo non può essere accolto. Il giudice d’appello non ha erroneamente applicato la regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., invertendo il rischio della mancata prova: ha ritenuto – come si è visto supra – dimostrato dagli elementi probatori (documenti e dichiarazioni testimoniali) il conferimento e l’espletamento dell’attività professionale da parte di entrambi i coniugi, mentre non ha ritenuto che la ricorrente abbia “in alcun modo dimostrato la propria indipendenza e/o autonomia rispetto all’attività svolta dal marito e non ha addotto alcuna prova a suffragio di una qualsiasi separazione dei ruoli”.

c) Il terzo motivo lamenta violazione degli artt. 2222 e 2232 c.c., per avere la Corte d’appello, in mancanza di alcun elemento positivo, “aprioristicamente qualificato come attività professionale quella svolta dalla ricorrente, con riferimento alle contestate negligenze inerenti la mancata trasmissione delle dichiarazioni fiscali e l’omesso deposito dei bilanci societari”, quando in realtà tali incarichi erano assegnati in via esclusiva al coniuge G., “circostanza peraltro acquisita in sede penale, come da sentenza assolutoria del Tribunale di Monza n. 1304/2010”.

Il motivo non può essere accolto. E’ vero che la pronuncia n. 1304/2010, resa dal Tribunale di Monza, ha assolto la ricorrente dal reato di esercizio abusivo della professione di cui agli artt. 81 e 348 c.p., in quanto, “alla luce degli atti acquisiti e delle spiegazioni fornite dal coimputato G.G.”, il giudice ha ritenuto “che non sia stata raggiunta la prova che C.E. svolgesse effettivamente attività libero-professionale autonoma in modo abusivo”. Tale conclusione, raggiunta nel processo penale in cui trova applicazione lo standard probatorio dell’oltre ragionevole dubbio, non equivale alla prova positiva della estraneità dell’attuale ricorrente all’attività svolta dal consorte, limitandosi a registrare la mancanza di una prova certa dell’espletamento di attività di consulenza da parte dell’imputata e della consapevolezza della predetta del carattere abusivo dell’attività professionale svolta dal consorte, sicchè non si pone in contrasto con la pronuncia resa in sede civile, in applicazione del diverso standard della probabilità della prova, sulla scorta di una autonoma valutazione di diverse prove testimoniali e documentali, nonchè logico-inferenziali.

2. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente ai pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in Euro 7.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella pubblica udienza della sezione seconda civile, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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