Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11973 del 12/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 12/05/2017, (ud. 10/01/2017, dep.12/05/2017),  n. 11973

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4087-2016 proposto da:

L.G.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARIA

ADELAIDE, 8, presso lo studio dell’avvocato ANDREA CAU, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA BRUCCOLERI,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

nonchè contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE BOLOGNA;

– intimata –

nonchè contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1491/5/2015, emessa il 15/06/2015 della

COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di BOLOGNA, depositata il

06/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/01/2017 dal Consigliere Dott. MANZON ENRICO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

Con sentenza in data 15 giugno 2015 la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna respingeva l’appello proposto da L.G.F. avverso la sentenza n. 1358/5/14 della Commissione tributaria provinciale di Bologna che ne aveva respinto parzialmente il ricorso contro l’avviso di accertamento IRPEF ed altro 2008. La CTR osservava in particolare che trattandosi di accertamento sintetico basato sul “redditometro” secondo la presunzione legale relativa prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, l’Ente impositore aveva fornito prova adeguata degli “indici presuntivi” di maggior reddito, mentre la contribuente non aveva fatto altrettanto in assolvimento del proprio onere di prova contraria.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la contribuente deducendo tre motivi.

L’ Agenzia delle entrate si è costituita tardivamente al solo fine di partecipare al contradditorio orale.

La ricorrente ha ritualmente depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, asserendo che la CTR ha errato nella applicazione concreta della presunzione sancita da tale disposizione legislativa, con particolare e specifico riguardo ai redditi del nucleo famigliare di appartenenza.

La censura è infondata.

Anzitutto va ribadita la natura “legale” ancorchè relativa della presunzione de qua (cfr. da ultimo Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17487 del 01/09/2016).

In secondo luogo si deve poi anche dare seguito al principio che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalità, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, (applicabile “ratione temporis”), la relativa prova deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi (nella specie, da parte della madre, titolare di maggiore capacità economica), ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente (nella specie, il figlio) interessato dall’accertamento” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 1332 del 26/01/2016, Rv. 638740).

La CTR si è dimostrata ben consapevole di tali indirizzi nomofilattici, tanto da citarne precedenti conformi e non risulta in alcun modo discostarsene.

In realtà a ben vedere lo sviluppo argomentativo della censura mira piuttosto a criticare la valutazione di merito che il giudice di appello ha effettuato sulla scorta di tali principi, che tuttavia non può formare oggetto di sindacato in questa sede.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – la ricorrente denunzia la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sulle proprie eccezioni, reiterate quali motivi di appello, di vizio motivazionale dell’atto impositivo impugnato.

La censura è infondata.

Vi è da ribadire che “Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia” (Sez. 2, Sentenza n. 20311 del 04/10/2011, Rv. 619134).

La sentenza impugnata, con le sue statuizioni di merito ed in particolare affermando per un verso la correttezza dell’applicazione del metodo accertativo de quo da parte dell’Agenzia fiscale, per altro verso il mancato assolvimento dell’onere controprobatorio gravante sulla contribuente, ha infatti assunto una decisione che all’evidenza presuppone un giudizio di validità formale dell’avviso di accertamento impugnato.

In ogni caso va anche ribadito che “Il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio. Ne consegue che il giudice tributario, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formali), è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva annullato l’avviso di accertamento per l’errata determinazione del “valore normale” dei beni ceduti dalla contribuente, senza provvedere alla nuova determinazione dei ricavi della contribuente secondo il criterio ritenuto legittimo)” (tra le molte, v. Sez. 5, Sentenza n. 19750 del 19/09/2014, Rv. 632465); inoltre che “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata esclusivamente per i tributi “armonizzati” di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, mentre, per quelli “non armonizzati”, non essendo rinvenibile, nella legislazione nazionale, una prescrizione generale, analoga a quella comunitaria, solo ove risulti specificamente sancito, come avviene per l’accertamento sintetico in virtù del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, conv. in L. n. 122 del 2010, applicabile, però, solo dal periodo d’imposta 2009, per cui gli accertamenti relativi alle precedenti annualità sono legittimi anche senza l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11283 del 31/05/2016, Rv. 639865).

Ancorchè – come detto – per implicito, la pronuncia impugnata è conforme a tali principi sicchè certamente non merita cassazione per effetto del mezzo de quo.

Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrente denunzia vizio motivazionale.

La censura è inammissibile.

La CTP si è espressamente e puntualmente pronunciata sulla efficacia controprobatoria delle allegazioni documentali della contribuente, giudicandole non idonee a vincere la presunzione legale relativa di che si tratta.

Sulla stessa “questione di fatto” la CTR ha, con altrettanta puntualità, statuito nel medesimo senso.

Il caso di specie concretizza quindi una c.d. “doppia conforme” di merito, sicchè il vizio de quo non può essere dedotto ai sensi dell’art. 348 ter, commi 5 e 4, sicuramente applicabile nel processo tributario in sede di legittimità (cfr. in questo senso Sez. U 8053/2014).

Il ricorso va dunque rigettato.

Nulla per le spese stante la mancata difesa dell’Agenzia fiscale.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2017

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