Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11971 del 10/06/2016


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Cassazione civile sez. lav., 10/06/2016, (ud. 13/01/2016, dep. 10/06/2016), n.11971

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17260/2012 proposto da:

Z.G.F.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEL CORSO 160, presso lo studio

dell’avvocato RAFFAELLO ALESSANDRINI, che lo rappresenta e difende

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SANPAOLO INVEST SIM S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II n. 326, presso lo studio degli

avvocati RENATO SCOGNAMIGLIO e CLAUDIO SCOGNAMIGLIO, che la

rappresentano e difendono giusta procura speciale notarile in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4144/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/07/2011 r.g.n. 8230/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito l’Avvocato ALESSANDRINI RAFFAELLO;

udito l’Avvocato SCOGNAMIGLIO CLAUDIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Roma con sentenza n. 4144 in data 11 maggio –

sette luglio 2011 rigettava il gravame proposto da Z.G. F.M. contro SANPAOLO INVEST SIM, avverso la pronuncia del locale giudice del lavoro, emessa il 4 giugno 2007, che aveva respinto la domanda dell’appellante, agente per la promozione ed il collocamento fuori sede dei prodotti finanziari, nonchè responsabile commerciale per il Lazio e la Sardegna, avente ad oggetto la sussistenza della giusta causa in relazione al proprio recesso in data 28 gennaio 2002 – per effetto di revoca dell’incarico di responsabile commerciale per l’area di Roma – e di conseguenza la condanna della mandante al pagamento dell’indennità sostituiva del preavviso, delle provvigioni non corrisposte per dicembre 2001 e gennaio 2002, dell’indennità di cessazione del rapporto, per l’ammontare di complessivi 621.284,34 Euro o in subordine per il pagamento di provvigioni over e bonus non pagate e dell’indennità di clientela per complessivi 199.069,34 Euro. Per contro, il giudice adito aveva accolto la domanda riconvenzionale spiegata dalla convenuta società mandante, volta alla corresponsione dell’indennità di preavviso ed alla restituzione degli anticipi provvisionali nelle rispettive misure di 171.793,16 Euro e di 34.254,18 EUro, compensando peraltro le spese di lite.

Secondo la Corte distrettuale, la lettera di recesso in tronco del G. era pervenuta alla Società il 28 gennaio 2002, cioè ancor prima del sei febbraio, data in cui era giunta al ricorrente la lettera della SPI di recesso dal contratto di agenzia, manifestando tuttavia l’interesse alla prosecuzione del rapporto per tutto il periodo di preavviso sino al mese di luglio 2002. Di conseguenza, non vi era dubbio che il rapporto di agenzia si era sciolto per iniziativa dell’agente sin dal 28 gennaio 2002.

A fondamento del decisum la Corte territoriale osservava che era da ritenersi infondata la tesi accreditata dal ricorrente, secondo cui la revoca, immotivata, dell’incarico di responsabile commerciale per Lazio e Sardegna, potesse incidere sulla vicenda del diverso rapporto di agenzia, nel corso del quale il medesimo aveva svolto attività di promozione finanziaria, avendo le parti concordato che detto incarico rivestisse carattere collaterale ed accessorio al rapporto principale di agenzia e che fosse discrezionalmente revocabile senza effetto alcuno sul rapporto principale.

Ne conseguiva che la revoca dell’incarico manageriale, pur determinando una rilevante riduzione del trattamento economico complessivo spettante al ricorrente, in quanto riferibile ad un diverso contratto dotato di causa autonoma, non era idonea ad esplicare i propri effetti sul distinto rapporto agenziale. Quanto, poi, alla prospettata necessità del preavviso per la revoca dell’incarico accessorio, almeno sotto il profilo dell’obbligo di correttezza e buona fede, la Corte di merito disattendeva la censura, richiamando il principio affermato da questa Corte con la sentenza n. 24274 del 14/11/2006, secondo cui in tema di rapporti contrattuali di durata, l’esercizio di diritti potestativi attribuiti dalla legge o dal contratto ad una delle parti produce immediatamente la modificazione della sfera giuridica dell’altra parte, senza che sia configurabile, neppure in base al principio di correttezza e buona fede, un obbligo di preavviso, in difetto di limitazioni in tal senso previste dalla fonte attributiva del potere.

Avverso la sentenza della Corte capitolina proponeva ricorso per cassazione Z.G.F.M., come da atto notificato in data 4-5 luglio 2012 e depositato il 23 luglio 2012, affidato a SETTE motivi (non già 8, come ivi per evidente errore materiale indicato, saltando l’ordine di numerazione dal 4^ al 6^).

Ha resistito SANPAOLO INVEST SIM S.p.a., mediante controricorso notificato in data sei-nove agosto 2012, depositato il 24 agosto 2012 unitamente a distinta procura speciale depositata lo stesso 24-08-12.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1322 e segg., nonchè dei principi di diritto in tema di contratto complesso, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, segnatamente con riferimento ai rapporti tra il contratto di agenzia ed il contestuale incarico di manager, con particolare riguardo alla possibilità di revoca del secondo incarico e dei suoi effetti sul primo contratto.

Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2222 e segg. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè carenza di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Egli lamenta il mancato specifico inquadramento negoziale, da parte dei giudici del gravame, del rapporto di collaborazione scaturito dal conferimento dell’incarico di coordinamento della attività di vendita dei promotori finanziari. Lamenta, altresì, che la Corte abbia definito il rapporto quale incarico parallelo che si aggiunge al contratto di agenzia, implicitamente recependo la tesi accreditata da parte societaria, circa la riconducibilità, allo schema del contratto d’opera, dell’incarico manageriale che, invece, causalmente andava ricollegato al rapporto di agenzia inter partes.

Il terzo motivo, formulato sotto il profilo della omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè della violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.pl.c., comma 1, n. 3, delle disposizioni di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., inerisce alla ritenuta libera revocabilità dell’incarico di responsabile commerciale, in quanto prevista dalla lettera di attribuzione dell’incarico, senza considerare se le modalità di esercizio di tale facoltà fossero state rispettose dei principi di correttezza e di buona fede applicabili nella fattispecie, all’uopo richiamando, tra l’altro, un caso analogo deciso dalla Corte di Appello di Brescia con sentenza n. 209/2004 (confermata da questa Corte con decisione 22925 in data 09/07 09/09/2008).

Con il 4^ motivo, il ricorrente si duole della omessa decisione su di un punto determinante della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento alla denunciata violazione dell’art. 2 AEC per gli agenti rappresentanti di commercio (secondo cui le variazioni di zona, esclusi i casi di lieve entità, possono essere realizzate previa comunicazione scritta all’agente o al rappresentante da darsi almeno due mesi prima, salvo accordo scritto tra le parti per una diversa decorrenza del preavviso. Qualora queste variazioni siano di entità tale da modificare sensibilmente il contenuto economico del rapporto, il preavviso scritto non potrà essere inferiore a quello previsto per la risoluzione del rapporto.

Qualora l’agente o rappresentante comunichi, entro trenta giorni, di non accettare le variazioni previste, la comunicazione del preponente costituirà preavviso per la cessazione del rapporto di agenzia o rappresentanza, ad iniziativa della casa mandante).

Con il 4^ motivo (rectius, QUINTO) il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 1750 c.c., n. 2, dell’art. 9 AEC agenti di commercio, nonchè dell’art. 12 del contratto individuale in tema di debenza del preavviso. Contestualmente deduce erronea decisione in punto di riconducibilità dell’iniziativa di risoluzione del rapporto, per cui richiamate le comunicazioni della SPI in data 31-12-2001 e del 28 gennaio, nonchè sette febbraio 2002, assume che tali documenti, interpretati nel loro significato letterale, dimostravano che l’iniziativa della risoluzione dei contratti era stata soltanto della società, laddove in particolare con l’ultima, nel contestare il recesso dichiarato da esso Z. G.F., faceva presente che in epoca anteriore al pervenimento della citata raccomandata la medesima società aveva inviato una comunicazione di recesso dal contratto di agenzia. Di conseguenza, risultava così dimostrato che la convenuta aveva inteso collocare il momento risolutivo dei contratti all’atto di formazione della propria volontà, piuttosto che a quello di ricezione della comunicazione da parte dello Z..

Il settimo (o più precisamente il SESTO) motivo di censura concerne la dedotta contraddittorietà manifesta in punto di condanna e determinazione dell’indennità sostitutiva del preavviso nella misura di oltre 170mila Euro, però anche in base alle provvigioni corrisposte in relazione all’incarico di responsabile commerciale, laddove tuttavia la Corte di Appello aveva pure ritenuto che l’incarico accessorio era liberamente revocabile ed era stato perciò legittimamente revocato da SPI. Quindi, ad avviso del ricorrente, se il conferimento dell’incarico di responsabile non trovava la sua disciplina nelle norme applicabili al contratti di agenzia, l’unica conseguenza possibile e giuridicamente corretta non poteva che essere quella di calcolare l’indennità di preavviso soltanto sulle provvigioni derivanti da tale contratto. Dunque con tale mezzo, si denuncia contraddittorietà della motivazione in punto di condanna e determinazione dell’indennità sostitutiva del preavviso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, avendo il giudice di merito determinato l’importo della dedotta indennità, recependo i conteggi della preponente fondati sulle provvigioni percepite nell’anno 2001 in esecuzione dell’incarico di responsabile commerciale, laddove il preavviso andava calcolato esclusivamente sulla base delle provvigioni derivanti dal contratto di agenzia, in coerenza con la tesi del collegamento negoziale fra contratto di agenzia ed incarico di responsabile commerciale, accreditata dalla Corte distrettuale.

Infine, come ottavo (rectius: SETTIMO) e ultimo motivo di ricorso, è stata denunziata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., in relazione al contratto di agenzia.

Avendo, infatti, ritenuto legittima la revoca immediata dell’incarico di responsabile commerciale, la Corte distrettuale non poteva che negare la sussistenza di comportamenti imputabili a SPI idonei ad integrare l’ipotesi della giusta causa, dedotta da esso ricorrente a sostegno del suo rifiuto di prestare il richiesto periodo di preavviso e di risolvere in tronco il rapporto di agenzia, anch’esso come quello di rapporto subordinato risolvibile per giusta causa, nell’accezione fatta propria dell’art. 2119 c.c., giusta causa prevista dalla legge come disposizione di carattere generale, a tal uopo richiamando le sue precedenti difese, nonchè precedenti giurisprudenziali vari, tra i quali la sentenza di questa Corte (2^ civ.) n. 23455 del 16/12/2004, secondo cui in assenza di un’espressa previsione relativa alla possibilità di recedere senza preavviso dal rapporto di agenzia, per lo stesso trova applicazione in via analogica l’istituto del recesso per giusta causa di cui all’art. 2119 c.c., che comporta anche il riconoscimento del diritto dell’agente recedente all’indennità sostitutiva del preavviso, nonchè dell’indennità sostitutiva di clientela prevista dagli accordi economici collettivi per la fattispecie di estinzione del rapporto su iniziativa del preponente, data l’assimilabilità di tale caso a quello del recesso dell’agente per giusta causa, sostanzialmente dovuto al comportamento del preponente stesso (ma in senso conforme v. anche Cass., sez. lav., n. 3221 del 18/03/1993, nonchè n. 368 del 14/01/1999). Non poteva, infatti, negarsi che il ricorrente, con la revoca immotivata e ad effetto immediato dell’incarico manageriale ricoperto fin dall’anno 1993, aveva subito tra l’altro una inaccettabile modifica peggiorativa del proprio regime provigionale, da cui era derivata una importante alterazione dell’equilibrio contrattuale, sicchè il rapporto era divenuto intollerabile, nei sensi della citata giurisprudenza. Ne conseguiva che la risoluzione dichiarata con la comunicazione del 28 gennaio 2002 era legittima, poichè sorretta da giusta causa, donde il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso e delle altre indennità previste dalla legge e dal contratto collettivo in caso di recesso di parte preponente, nei sensi ampiamente trattati nei ricorsi di primo e secondo grado.

Ritiene il collegio, in via preliminare, la fondatezza di quanto lamentato con il suddetto 8 (o meglio, più precisamente, SETTIMO) motivo, con conseguente assorbimento degli altri, visto che con il ricorso introduttivo l’attore aveva convenuto in giudizio la società, deducendo, tra l’altro, l’imputabilità a quest’ultima della risoluzione del rapporto, pure con riferimento al contestuale recesso dal contratto di agenzia, nel senso cioè che a seguito del recesso in data 28 gennaio 2002, a far luogo dal 30 luglio 2002, relativamente all’attività di promozione finanziaria, previa revoca datata 31-12-01 dell’incarico di responsabile commerciale, da parte della società, lo Z. con missiva spedita il 28 gennaio 2002, ricevuta il successivo 30, aveva comunicato la sua decisione di risolvere immediatamente il rapporto per giusta causa, costituita soprattutto dalla non motivata revoca dell’incarico manageriale.

Orbene, indipendentemente dal momento in cui il recesso, con preavviso, dal contratto di agenzia, da parte di SPI sia pervenuto al destinatario, resta il fatto che l’anticipata risoluzione di quest’ultimo, ossia con effetto immediato, senza quindi attendere l’intimato termine del 30 luglio 2002, ad opera dell’agente, è stato comunicato per l’anzidetta giusta causa, ascritta segnatamente alla precedente revoca dell’incarico direttivo, peraltro alquanto rilevante nell’ambito del connesso contratto di agenzia.

In tale contesto opera, tra l’altro, l’art. 1751 c.c., per l’indennità in caso di cessazione del rapporto, che non è dovuta, in particolare, quando l’agente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato da circostanze attribuibili al preponente o da circostanze attribuibili all’agente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell’attività.

La doglianza, inoltre, va esaminata non trascurando comunque le circostanze di fatto dedotte con l’intero ricorso, segnatamente sub 4^ (pg. 22 e ss.), ancorchè in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, laddove in particolare lo Z. aveva illustrato il terzo motivo di appello, facendo presente che nel corso dell’intero rapporto aveva ricevuto corrispettivi per diverse centinaia di milioni di lire all’anno e per il 2001 di oltre seicento milioni; che dai calcoli di della società invece nel gennaio 2002, primo mese successivo alla revoca dell’incarico accessorio, il corrispettivo provigionale per l’attività di promozione finanziaria ammontava a poche decine di euro. Di conseguenza, se esso Z. avesse accettato di proseguire nel rapporto di agenzia per il periodo semestrale di preavviso, nel corso di questo arco temporale avrebbe percepito non più di 25 euro al mese, e ciò perchè in adesione alla prassi di SPI non aveva più clienti diretti, che rappresentavano soltanto il 9% dell’ammontare complessivo dei corrispettivi percepiti. Dunque, nei sei mesi di preavviso non avrebbe percepito altri corrispettivi se non quelli scaturenti dalla ridottissima clientela, oppure quelli, del tutto eventuali, derivanti da nuovi affari con nuovi clienti; tutto ciò in contrasto non solo con le regole a difesa del sinallagma contrattuale, ma soprattutto di quanto stabilito dall’art. 2 AEC 1981, non modificato dai successivi accordi ancora in vigore alla data della risoluzione, accordo peraltro applicabile al rapporto in esame per espresso richiamo dell’art. 15 del contratto primo agosto 2000, ultimo stipulato dalle parti, la cui applicazione era stata invocata in ricorso.

La questione, quindi, risulta in effetti ripresa con l’ultimo motivo di ricorso, relativamente alla dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., in reazione al contratto di agenzia, all’uopo rinviando alle argomentazioni in precedenza svolte, nonchè, tra l’altro, riportando buona parte della citata pronuncia di questa Corte (2^ civ.) n. 23455/14 ottobre – 16 dicembre 2004, laddove si riteneva soprattutto incensurabile quanto correttamente accertato circa una vera e propria progressione di comportamenti ostruzionistici ed inadempienti, diretti ad alterare in misura considerevole (segnatamente con il tentativo di unilaterale riduzione della misura delle provvigioni) l’equilibrio contrattuale tra le parti (v. Cass. lav. n. 845/99), che hanno reso alla fine intollerabile per il contraente economicamente più debole la prosecuzione del rapporto collaborativo con la preponente. In siffatti casi il pregiudizio patrimoniale è in re ipsa e l’indennità, finalizzata al ristoro delle conseguenze negative derivanti dalla necessità di immediata risoluzione del rapporto, è dovuta per presunzione di legge, indipendentemente dalla prova di specifici danni economici. Tale regola, tenuto conto della riconosciuta assimilabilità del rapporto di agenzia a quello di lavoro subordinato, comportante l’applicazione analogica al primo dell’art. 2119 cit., non subisce deroghe nei casi di recesso, per giusta causa da parte dell’agente – v., altre, Cass. lav. n. 3221/93 e 5467/00 – (cfr. infatti Cass. lav. n. 5467 del 02/05/2000, secondo cui l’agente ha la facoltà di recedere “per giusta causa”, con effetto immediato e diritto all’indennità sostitutiva del preavviso, in caso di comportamenti del preponente che non consentano la prosecuzione neanche temporanea del rapporto – secondo una disciplina corrispondente a quella dettata dall’art. 2119 c.c., per il lavoro subordinato – in applicazione di principi generali in materia di recesso nei rapporti continuativi.

V. ancora Cass. lav. Sez. n. 15661 del 12/12/2001, secondo cui la giusta causa di recesso dal rapporto di agenzia costituisce un’ipotesi normativa, che è desumibile per analogia dalla norma sul licenziamento per giusta causa nel lavoro subordinato – come confermato dall’art. 1751 c.c., che, nel testo di cui al D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303, art. 3, parla – ai fini dell’esclusione del diritto all’indennità di cessazione del rapporto – di “inadempienza imputabile all’agente, la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto” – salva la necessità di tenere conto della specificità delle varie situazioni. Detta ipotesi normativa, non diversamente da quella relativa al lavoro subordinato, è caratterizzata da una certa genericità e richiede di essere adeguatamente interpretata in sede applicativa in correlazione allo specifico tipo di situazione oggetto di esame, senza peraltro che in genere, il livello di specificazione interpretativa possa consentire univocamente e, per così dire meccanicamente, la qualificazione giuridica della vicenda oggetto di giudizio che sia stata accertata in termini puramente fattuali; ne consegue che il giudizio di fatto, ai fini della sussunzione della fattispecie concreta nell’ipotesi normativa, si deve in genere – colorare di più o meno consistenti aspetti valutativi, funzionali alla sua qualificazione in termini legali. Tali valutazioni spettano al giudice di merito, ma, ai fini del loro controllo in sede di legittimità, devono essere sorrette da un’adeguata motivazione, così che ne sia desumibile la congruità logica e la correttezza giuridica, sulla base di un accertamento sufficientemente specifico degli elementi strettamente fattuali della fattispecie, e della individuabilità dei criteri di carattere generale ispiratori del giudizio di tipo valutativo. Conforme Cass. lav. n. 11770 del 24/06/2004.

5. peraltro, più recentemente, la sentenza n. 19300 del 29/09/2015 di questa Corte, secondo cui la violazione, da parte del preponente, degli obblighi di correttezza e buona fede è idonea a giustificare, in base alla gravità delle circostanze, lo scioglimento del rapporto di agenzia per giusta causa, sicchè, in caso di recesso, l’agente ha diritto all’indennità prevista dall’art. 1751 c.c., ove abbia specificamente allegato e dedotto la concreta violazione degli obblighi a carico del preponente. Analogamente, Cass. lav. n. 21445 del 12/10/2007 ha opinato, nel senso che in forza dell’art. 1749 c.c., il preponente è tenuto ad agire con correttezza e buona fede nei confronti dell’agente, di modo che la violazione di detti obblighi contrattuali può configurare, in base alla gravità delle circostanze, una giusta causa di scioglimento dello stesso rapporto di agenzia, rispetto al quale trova analogica applicazione l’art. 2119 c.c., con il consequenziale diritto dell’agente recedente all’indennità prevista dall’art. 1751 c.c., in caso di cessazione del rapporto.

Cfr. altresì Cass. lav. n. 11728 del 26/05/2014, laddove si è confermato che l’istituto del recesso per giusta causa, previsto dall’art. 2119 c.c., comma 1, in relazione al contratto di lavoro subordinato, è applicabile anche al contratto di agenzia, dovendosi tuttavia tener conto, per la valutazione della gravità della condotta, che in quest’ultimo ambito il rapporto di fiducia – in corrispondenza della maggiore autonomia di gestione dell’attività per luoghi, tempi, modalità e mezzi, in funzione del conseguimento delle finalità aziendali – assume maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato. Conforme n. 14771/08.

Cfr., peraltro, Cass. 2^ civ. n. 6008 del 17/04/2012, secondo cui, ove il preponente risolva in tronco il contratto per un’inadempienza imputabile all’agente, che non consenta la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto, ai sensi dell’art. 1751 c.c., comma 2, adducendo il calo delle vendite nella zona affidata all’agente, senza che sia convenzionalmente stabilito un volume minimo di affari, e sorga contestazione sulla significatività di detto calo in rapporto al dato nazionale, anch’esso negativo, riguardante lo specifico settore di attività, è onere del preponente dimostrare l’anomalia della contestata diminuzione di affari e, quindi, fornire al giudice i dati per comparare il risultato ottenuto dall’agente in questione rispetto al volume di vendite conseguito da altri agenti dello stesso preponente in altre zone. Ciò in quanto la ripartizione dell’onere della prova deve tenere conto, oltre che della distinzione tra fatti costitutivi e fatti estintivi od impeditivi del diritto, anche del principio – riconducibile all’art. 24 Cost., ed al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’agire in giudizio – della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova).

Nel caso di cui si discute in questa sede, inoltre, assume rilievo il principio affermato da questa Corte (sezione lavoro) con sentenza n. 17992 del 16/12/2002, secondo cui nella disciplina dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia, di cui all’art. 1751 c.c., fatto costitutivo del diritto è la cessazione del rapporto, prevista nel primo comma, unitamente alle condizioni previste dalle successive due articolazioni dello stesso comma (in via alternativa, originariamente, e in via cumulativa, a seguito della modifica attuata dal D.Lgs. 15 febbraio 1999, n. 65, art. 5), mentre le circostanze previste nel comma 2 e in particolare il recesso ad iniziativa dell’agente (ove non ricorrano le situazioni particolari specificate dalla norma), costituiscono fatti impeditivi; pertanto, se risulti in causa la cessazione del rapporto, l’agente non ha l’onere di provare l’effettuazione del recesso da parte del preponente oppure l’esistenza di una giusta causa di dimissioni (in senso conforme Cass. 1^ civ. n. 4708 del 25/02/2011).

Pertanto, l’impugnata sentenza appare comunque manchevole, laddove risulta aver del tutto omesso di considerare – con conseguente loro inosservanza – i richiamati principi di diritto vigenti in materia di recesso per giusta causa dal contratto di agenzia, rispetto a quanto dedotto dall’attore con la sua missiva di recesso immediato, appunto per giusta causa, da tale contratto, confermando per giunta la condanna in suo danno al pagamento dell’indennità sostituiva del preavviso, così presupponendo, ma del tutto apoditticamente, l’infondatezza delle giustificazioni fornite al riguardo dall’agente (v. tra l’altro anche il testo della missiva 28 gennaio 2002, integralmente riportato alle pagg. 17 – 19 del controricorso).

Nei sensi anzidetti, pertanto, l’impugnata sentenza va cassata, con conseguente rinvio al giudice di merito, designato nel seguente dispositivo, perchè si pronunci, se del caso all’esito di utili ulteriori accertamenti istruttori, sull’interposto gravame, tenendo conto degli enunciati principi di diritto, oltre che per il regolamento delle spese di questo giudizio di legittimità.

PQM

la Corte accoglie l’ultimo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2016

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