Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11970 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 06/05/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 06/05/2021), n.11970

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 31245/2019 R.G. proposto da:

Dama Srl in liquidazione, rappresentata e difesa dall’Avv. Diego

Molfese, presso il quale è domiciliata in Roma, Piazza dei Prati

degli Strozzi n. 30, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane e dei monopoli, rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata

in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Cassazione n. 11049 del 19 aprile

2019.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10 dicembre 2020

dal Cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Giacalone Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso e, in subordine, il rigetto.

Udito l’Avv. Lorenzo Minisci su delega dell’Avv. Diego Molfese per la

contribuente, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Udito l’Avv. dello Stato Barbara Tidore che ha concluso per il

rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Dama Srl impugnava la cartella di pagamento con la quale, in relazione all’accisa dovuta sui prodotti petroliferi trasferiti nei paesi dell’Unione Europea per il 1998, si intimava il pagamento delle ulteriori indennità di mora e degli interessi maturati dopo la notifica di precedente cartella di pagamento alla medesima contribuente.

L’impugnazione era respinta dalla CTP di Milano. La sentenza era confermata dalla CTR della Lombardia, per la quale, da un lato, la precedente cartella di pagamento era divenuta definitiva a seguito della decisione della Corte di cassazione che aveva rigettato il ricorso della contribuente, e, dall’altro, erano infondate l’eccepita nullità della notifica dell’atto presupposto e le ulteriori eccezioni.

La sentenza del giudice regionale veniva impugnata innanzi alla Corte di cassazione, che respingeva il ricorso.

Avverso la sentenza della Suprema Corte ha proposto ricorso per revocazione, con un motivo, la contribuente assumendo che la decisione avrebbe preso in considerazione solo il punto “A” del secondo motivo e non anche il punto “B” della medesima doglianza.

Resiste l’Agenzia delle dogane con controricorso. Dama SrI deposita altresì memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’unico motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, richiamato dall’art. 391 bis c.p.c., per aver la Corte, con la sentenza impugnata, omesso di statuire sul punto B) del secondo motivo del ricorso.

In particolare, la ricorrente lamenta che con il “II motivo” del ricorso denunciava “vizio ex art. 360 c.p.c., comma 2, nn. 3-4, per violazione di legge ed abuso del diritto nonchè per violazione del principio del ne bis in idem: A) esistenza di un giudicato esterno favorevole alla Dama sentenza della Commissione tributaria provinciale n. 391/2002 e sua rilevanza almeno ai fini della impugnazione dell’atto (OMISSIS) in relazione alle conclusioni svolte nel ricorso datato 7/2/2002; B) irrilevanza/inapplicabilità del giudicato esterno di cui alla sentenza della cassazione 9278/2013 per violazione del principio del ne bis in idem nonchè per dovere del giudice italiano di disapplicare le norme anche di tipo procedurale e di diritto interno allorquando siano in contrasto con norme comunitarie e siano in contrasto con un’effettiva tutela dei diritti spettanti ai singoli in applicazione della sentenza della cassazione delle sezioni unite n. 26948 del 2006”.

La sentenza impugnata, invece, avrebbe omesso di esaminare ed argomentare l’ultima parte della censura.

2. Il ricorso è inammissibile.

2.1. Occorre premettere che l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore da questa compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, il quale presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa.

Ne deriva che è ammissibile la domanda di revocazione fondata sulla mancata lettura di uno o più motivi di ricorso, escludendosi, però, il vizio suddetto quante volte la pronunzia su di esso vi sia effettivamente stata, sia pure con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perchè in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio (tra le tante, Cass. n. 2425/2006, Cass. n. 16003/2011, Cass. n. 4605/2013, Cass. n. 25560/16, Cass. n. 3760/2018, Cass. n. 10184/2018; Sez. U n. 31032/2019).

2.2. In altri termini, la revocazione delle sentenze di Cassazione anche in siffatta ipotesi è configurabile solo in presenza di un errore percettivo e non, invece, quando si censuri la valutazione di uno dei motivi del ricorso ritenendo che sia stata espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto d’impugnazione, poichè in tal caso è dedotta, in realtà, un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso.

2.3. Alla luce di questo principio, pertanto, sarebbe revocabile la sentenza della Corte di cassazione che, ad esempio, dinanzi ad un ricorso che contenesse quattro motivi, ne esaminasse solo tre.

Non sarebbe, invece, revocabile ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., la sentenza di legittimità la quale, dinanzi ad un motivo che denunciasse una violazione di legge, ritenesse che con esso sia stato denunciato un vizio di motivazione, o viceversa; ovvero che ne interpretasse il contenuto, valutandone l’ambito in misura minore o maggiore di quella assunta dal ricorrente.

Invero, qualificare i motivi di ricorso, stabilire il loro esatto contenuto, sussumerli in una delle cinque categorie previste dall’art. 360 c.p.c., costituiscono altrettante attività di giudizio sui fatti processuali, e non di accertamento dei fatti processuali, con la conseguenza che rispetto a tali attività non è ammessa la revocazione.

2.4. Nel caso di specie, la sentenza di cui si chiede la revoca ha esaminato tutti i motivi di ricorso proposti ed esplicitamente – pure richiamando, specificamente, anche il precedente di questa Corte del 2013 – ha affermato che “Il (secondo) motivo è manifestamente infondato”: errori di fatto o percettivi, pertanto, non vi furono.

Lo stabilire, poi, se quel motivo di ricorso sia stato bene o male qualificato, interpretato e deciso è questione non più prospettabile in questa sede.

3. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna Dama Srl in liquidazione al pagamento delle spese a favore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, che liquida in complessive Euro 7.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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