Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11965 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. III, 19/06/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 19/06/2020), n.11965

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27897-2019 proposto da:

A.M., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIUSEPPE LUFRANO;

– ricorrente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE ANCONA;

– intimata –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO 80185690585 in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1270/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 15/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/03/2020 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI;

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che A.M., cittadino pakistano, ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, ex D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ex D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento A.M. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di L’Aquila, che ne ha disposto il rigetto con ordinanza in data 13/6/2016;

tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di L’Aquila con ordinanza in data 15/7/2019;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da A.M. con ricorso fondato su tre motivi;

il Ministero dell’Interno, non costituito nei termini di legge con controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa;

considerato che,

col primo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato nella parte in cui ha ritenuto inattendibile il suo racconto, vieppiù sulla base di una motivazione meramente apparente;

il motivo è, da un lato, inammissibile, dall’altro, manifestamente infondato;

osserva preliminarmente il Collegio come l’affermazione circa l’attendibilità o meno di una persona costituisca un semplice apprezzamento di fatto, non una valutazione in diritto: e in quanto tale sfugge al sindacato di questa Corte; nè a tale principio deroga la legislazione speciale in materia di protezione internazionale;

al riguardo, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5,, consente al giudice della protezione internazionale di considerare veri anche fatti non provati, in deroga al generale principio di cui all’art. 2697 c.c., quando ritenga che il richiedente abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; non abbia potuto fornire ulteriori prove senza colpa; abbia reso dichiarazioni plausibili, non contraddittorie e non contraddette ab externo; ha presentato la domanda di protezione il prima possibile; si presenti come attendibile;

tale norma contiene un periodo ipotetico, la cui pròtasi (“se l’autorità competente ritiene che”) rende palese che il legislatore, con essa, non ha affatto stabilito cosa il giudicante debba decidere (nè, del resto, avrebbe potuto farlo, alla luce dell’art. 101 Cost., comma 2), ma ha stabilito invece come debba essere adottata la decisione di cui si discorre: cioè con quale iter logico e sulla base di quali accertamenti;

ne consegue che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non potrà dirsi violato sol perchè il giudice di merito abbia ritenuto inattendibile un racconto o inveritiero un fatto; quella norma potrà dirsi violata solo se il giudice, nel decidere sulla domanda di protezione, non compia gli accertamenti ivi previsti: ad esempio, accogliendo la domanda di protezione senza avere previamente accertato la sussistenza di tutti e cinque i requisiti previsti dalla norma suddetta;

per contro, lo stabilire se la narrazione, fatta dall’interessato, delle circostanze che giustificano la concessione della protezione internazionale o il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, sia stata verosimile e credibile oppur no, non costituisce una valutazione di diritto, ma è un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27503 del 30/10/2018, Rv. 651361 – 01);

quanto alla pretesa mera apparenza della motivazione dettata dal giudice a quo, osserva il Collegio come, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4, il difetto del requisito della motivazione si configuri, alternativamente, nel caso in cui la stessa manchi integralmente come parte del documento/sentenza (nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, siccome risultante dallo svolgimento processuale, segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione), ovvero nei casi in cui la motivazione, pur formalmente comparendo come parte del documento, risulti articolata in termini talmente contraddittori o incongrui da non consentire in nessun modo di individuarla, ossia di riconoscerla alla stregua della corrispondente giustificazione del decisum;

infatti, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poichè intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili;

in ogni caso, si richiede che tali vizi emergano dal testo del provvedimento, restando esclusa la rilevanza di un’eventuale verifica condotta sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 20112 del 18/09/2009, Rv. 609353 – 01);

ciò posto, nel caso di specie, è appena il caso di rilevare come la motivazione dettata dal giudice a quo a fondamento della decisione impugnata sia, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo giudice a quo dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti, dei contenuti ascrivibili al racconto dell’odierno ricorrente e del grado della relativa attendibilità in conformità ai parametri di valutazione legalmente stabiliti e sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di piena ragionevolezza e congruità logica;

l’iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;

col secondo motivo, il ricorrente lamenta, oltre all’errata valutazione di inattendibilità del proprio racconto, la violazione, da parte del Tribunale, del c.d. dovere di cooperazione istruttoria in relazione alla proposta domanda di protezione sussidiaria;

il motivo è infondato;

al riguardo – ferme le considerazioni più sopra riportate, in ordine all’inammissibilità della censura riferita alla valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente – varrà considerare come, nel caso di specie, i giudici del merito abbiano correttamente provveduto ad attivare i propri doveri di cooperazione istruttoria attraverso l’estensione della propria cognizione alle informazioni sul paese di origine dell’odierno ricorrente, dando ampiamente conto delle fonti dalle quali sono state tratte le conclusioni circa l’insussistenza, nel Paese di provenienza del ricorrente, delle condizioni legittimanti la sua richiesta di protezione, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, riferendosi a fonti di informazioni specifiche e adeguatamente aggiornate, dalle quali è stata tratta la conclusione dell’impossibilità di riconoscere, nella regione di provenienza del ricorrente, situazioni di violenza generalizzata nel quadro di conflitti armati interni;

col terzo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato nella parte in cui ha rigettato la sua domanda di protezione umanitaria, senza tener conto delle condizioni di criticità sociale ed economica del paese di provenienza, nonchè del percorso di integrazione da lui intrapreso nel nostro Paese;

il motivo è fondato;

al riguardo, osserva il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02);

peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1 -, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver dato atto dell’avvenuto inserimento lavorativo del ricorrente nel nostro paese, si è inammissibilmente limitato ad affermare, in termini apodittici, come la precarietà delle condizioni economiche non appaia, in sè, motivo idoneo a fondare il riconoscimento della protezione umanitaria (cfr. pag. 20 della sentenza impugnata), trascurando di tener conto che – proprio in considerazione degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano – le premesse che giustificano il diniego della protezione umanitaria necessariamente chiedono d’essere rinvenute nell’accertata insussistenza di condizioni obiettive che, riflesse sulla storia di vita del richiedente (anche in rapporto al livello di effettiva integrazione socioeconomica realizzato nel paese di arrivo), valgano a esporlo al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 2558 del 04/02/2020, Rv. 656623 – 01);

ciò posto, deve ritenersi che il giudice a quo abbia ingiustificatamente trascurato di approfondire e di circostanziare l’indagine sulle effettive condizioni socio-economiche del paese di provenienza, al fine di attestare (anche attraverso l’individuazione delle specifiche fonti informative suscettibili di asseverare le conclusioni assunte) che il ritorno del richiedente nel proprio paese non valga ad esporlo al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale rischio possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, culturale, etc.;

sulla base delle considerazioni che precedono, rilevata la fondatezza del terzo motivo – disattesi i restanti – dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo; rigetta il primo e il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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