Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11965 del 17/05/2010

Cassazione civile sez. III, 17/05/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 17/05/2010), n.11965

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10518-2006 proposto da:

PROVINCIA DI FIRENZE (OMISSIS), in persona del Presidente pro

tempore Dott. R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

RICCARDO GRAZIOLI LANTE 16, presso lo studio dell’avvocato BONAIUTI

DOMENICO, rappresentata e difesa dall’avvocato GUALTIERI STEFANIA

giusta procura speciale del Dott. EMILIA TRISCIUOGLIO in FIRENZE

1/4/2010;

– ricorrente –

contro

EREDI B.- S. nelle persone dei Signori F.M.

C., F.G., C.M.T., G.D.

M.V., M.P., M.V. e, in qualità

di eredi dei defunti R.G. e G.D.M.

G., i signori, R.P., RO.GI.,

R.G.B., R.L., R.

M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI

11, presso lo studio dell’avvocato MANNUCCI FEDERICO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHETTI VALERIO giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 444/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

emessa il 20/10/2004, depositata il 02/03/2005, R.G.N. 2058/A/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2010 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito l’Avvocato STEFANIA GUALTIERI;

udito l’Avvocato STEFANO DURANTI per delega dell’Avvocato FEDERICO

MANNUCCI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 2 marzo 2005 la Corte di appello di Firenze accoglieva parzialmente il gravame proposto dagli eredi B.- S. e dagli eredi di R.G. contro la sentenza 24 agosto 2000 del locale Tribunale.

Il Giudice di prime cure, riuniti giudizi proposti con separati atti di citazione dagli eredi B.- S. contro la Provincia di Firenze, conduttrice di un immobile del quattrocento, condannata al rilascio dell’immobile con sentenza del 1988 dal Pretore di Firenze per la data del 1 gennaio 1989, eseguito poi in concreto il 15 marzo 1991, aveva condannato la Provincia a pagare ai locatori la maggiorazione del 20% sul canone mensile corrisposto al momento della sentenza dichiarativa di risoluzione fino all’effettivo rilascio;

aveva, invece, respinto la richiesta risarcitoria di danni, reclamati ex art. 1590 c.c., che viene accolta dalla sentenza di secondo grado.

Avverso siffatta decisione ricorre per cassazione la Provincia di Firenze, affidandosi a tre motivi.

Resistono con controricorso gli eredi B.- S. e gli eredi di R.G. e di G.d.M.G., nelle more deceduta.

La Provincia di Firenze ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.-Con il primo motivo (violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1590 e 1587 c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, insufficienza e contraddittorietà della motivazione e contrasto con le risultanze istruttorie con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5), in estrema sintesi, la Provincia lamenta che il giudice dell’appello sia incorso in un errore di diritto ed in una insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla ritenuta operatività, nel caso in esame, dell’art. 1590 c.c..

Al riguardo, il Collegio osserva quanto segue.

1.1.-Sotto il profilo del vizio di motivazione, così come prospettato, il motivo è infondato, per quanto argomentato dal giudice dell’appello.

Infatti, il giudice del gravame non ha condiviso la decisione del primo giudice secondo cui il deterioramento dell’immobile era da considerarsi fisiologico “in ragione dell’usura intrinseca alla sua destinazione ad essere utilizzato da una numerosa, giovane popolazione scolastica” (p. 5 sentenza impugnata).

E’ sufficiente leggere la sentenza impugnata (p. 5-7), la cui motivazione viene censurata, opponendovi da parte della ricorrente, sotto questo aspetto, solo una diversa lettura della CTU (v. p. 12- 13), per rendersi conto che nessun vizio motivazione si manifesta.

1.2.-In riferimento, invece, alla asserita violazione di norme di diritto sostanziale, va posto in rilievo che il giudice dell’appello, pur ammettendo una usura dell’antico edificio, ha rilevato, con apprezzamento in fatto, rimesso alla sua esclusiva discrezionalità, che al momento della riconsegna vi erano dei danni, che non si potevano collegare alla naturale usura dello stesso al punto che, richiamando la CTU, ha potuto distinguere i danni per così dire fisiologici (v. p. 5 sentenza impugnata) da quelli evidenzianti il degrado, in quanto eccedenti il normale uso del palazzo, nonchè la loro consistenza (par. 1.3.1 e 1.3.2. sentenza impugnata).

Essi sono stati addebitati alla conduttrice, perchè “trattasi di modifiche e addizioni che necessariamente debbono essere asportati a spese del conduttore, non avendo il locatore dato il proprio assenso preventivo e neppure espresso il gradimento a trattenerle”.

Di qui, la cortezza interpretativa circa la operatività dell’art. 1590 c.c..

Infatti, non si può assolutamente ritenere che i danni, così come descritti nella relazione del CTUI, hanno a che fare con l’uso scolastico di un edificio; al contrario, essi sono espressioni di quella mancata diligenza del buon padre di famiglia, che comunque il conduttore deve osservare nella conduzione di un immobile locato, ovvero nell’uso del bene locato, così come previsto dal contratto (art. 1587 c.c., n. 1), anche in riferimento all’interesse del locatore di conservare la cosa locata – nella specie, un palazzo di pregio, quattrocentesco, con le sue strutture originarie e il suo status estetico ed urbanistico.

Di vero, sfregamenti, graffiti, pedate, scritte con pennarelli, asportazione di due “nappe” terminali in ferro battuto, impronte di gesso, provocate da lanci della cimosa nei soffitti a volte o a cassettoni di molte aule; interventi di adattamento strutturali e sovrastrutturali, eseguiti dalla Provincia e consistenti in realizzazione di compartimentazioni interne e di disimpegno con strutture in muratura con pannelli divisori, con telai in profilati metallici e superfici in materiale plastico e vetro; installazione di vari punti luce sulle pareti affrescate; inserimento sul muro di una lavagna; realizzazione di una tettoia metallica (p. 5-5 sentenza impugnata) non possono obbiettivamente e ragionevolmente addebitarsi ad un deterioramento risultante dall’uso della cosa in conformità alla contrattuale previsione, ovvero ad un uso corretto del bene o alla sua vetustà (art. 1609 c.c., comma 1).

Nè la Provincia ha superato la presunzione di colpa ex art. 1588 c.c., da cui l’art. 1590 c.c. riporta la propria formulazione, limitandosi anche in questa sede a condividere l’assunto del Tribunale, correttamente, per quanto sopra riportato, ritenuto erroneo e non condivisibile dal giudice dell’appello.

2.-Con il secondo motivo (violazione dell’art. 112 c.p.c. – vizio di ultrapetizione) (p. 14 – 16 ricorso) la ricorrente lamenta il vizio di ultrapetizione perchè, a suo avviso, il giudice dell’appello avrebbe ricondotto nella disciplina giuridica delle addizioni (art. 1593 c.c.) gli interventi in questioni, che, invece, esulavano dal thema decidendum, in quanto l’oggetto della controversia era solo una generica domanda risarcitoria sia per il deterioramento dell’immobile sia per l’adeguamento dello stesso all’uso di sede scolastica, contrattualmente previsto.

Si tratta di motivo che va disatteso.

Il termine “addizioni” adoperato dal giudice dell’appello certamente non è quello tecnico-giuridico, di cui tratta il codice civile.

Infatti, atteso quanto argomenta il giudice a quo a p. 5-7 della decisione, le modifiche arrecate dalla Provincia non rientrano nell’ambito di operatività dell’art. 1593 c.c. il quale riguarda solo quelle innovazioni o quegli interventi qualitativi o quantitativi, che ineriscono alla cosa locata, se eseguiti in modo da lasciare integra la struttura fondamentale, la sua funzionalità e la destinazione propria.

Ad essa norma non può farsi riferimento quando si tratti, come nella specie, di alterazioni che hanno come conseguenza la trasformazione anche solo parziale della cosa locata (Cass. n. 5747/88, puntualmente citata dai resistenti), come è avvenuto ed accertato nel caso in esame.

Quindi, nessun vizio, così come denunciato, si rinviene nella sentenza impugnata che ha riconosciuti come addebitabili alla Provincia solo quegli interventi di adattamento eseguiti da essa unilateralmente sull’immobile e che lo hanno, sia pure parzialmente, ma in modo rilevante, alterato.

Resta assorbito il terzo motivo (ulteriore violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1593 c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3), in quanto, respinto il secondo, il suo esame non è più rilevante, essendo certo – lo suggerisce la interpretazione complessiva delle argomentazioni addotte dal giudice a quo, e giova ribadirlo, che il termine addizioni è stato usato impropriamente, o se si vuole nella sua genericità, non già nella sua accezione tecnico-giuridica, come si può ricavare dall’intero testo della motivazione della impugnata sentenza, perchè non sono emerse addizioni dalla relazione del CTU, condivisa dal giudice dell’appello, bensì di significative alterazioni della cosa locata (v. in particolare par. 1.3.3 sentenza impugnata).

Conclusivamente il ricorso va respinto e le spese, che seguono la soccombenza, vanno liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.200/00, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2010

 

 

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