Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11964 del 31/05/2011

Cassazione civile sez. un., 31/05/2011, (ud. 17/05/2011, dep. 31/05/2011), n.11964

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Primo Presidente f.f. –

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente di Sezione –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in Roma, via Marianna

Dionigi 43, presso l’avv. Cristina Mancini, rappresentato e difeso

dall’avv. Camassa Giancarlo per procura in atti;

– ricorrente –

contro

Ministro della Giustizia e Procuratore Generale presso la Corte di

Cassazione;

– intimati –

per la cassazione della sentenza n. 43/2010, depositata il 15/3/2010

dalla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della

Magistratura. OGGETTO: Disciplinare magistrati.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/5/2011 dal Relatore Cons. Francesco Tirelli;

Sentito l’avv. Camassa;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. IANNELLI Domenico, il quale ha concluso per il rigetto

del ricorso.

La Corte osserva quanto segue:

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso in data 16/4/2010, M.F. ha impugnato la sentenza in epigrafe indicata, chiedendone la cassazione con ogni consequenziale statuizione. Il Ministro della Giustizia non ha svolto attività difensiva e la controversia è stata decisa all’esito della pubblica udienza del 17/5/2011.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Dalla lettura della sentenza impugnata emerge in fatto che con nota in data 29/2/2008, il Ministro della Giustizia promuoveva l’azione disciplinare nei confronti del dott. M.F. per gravi anomalie nella nomina e nella liquidazione degli onorari dei consulenti e degli esperti.

Con la medesima nota il Ministro chiedeva, inoltre, anche la sospensione del dott. M. dallo stipendio e dalle funzioni di giudice presso il Tribunale di Roma. La Sezione Disciplinare provvedeva in conformità e l’incolpato impugnava la relativa ordinanza davanti a queste Sezioni Unite che, però, rigettavano il ricorso con sentenza n. 28046/2008.

Il Procuratore Generale concludeva, in seguito, la fase delle indagini ed il Presidente della Sezione Disciplinare fissava per la discussione l’udienza del 18/9/2009. Compariva soltanto un delegato del difensore, eccependo che il decreto di citazione era stato notificato all’incolpato presso un domicilio eletto ai fini di un diverso procedimento disciplinare.

La Sezione dava atto dell’errore e rinviava alla nuova udienza del 24/11/2009 in vista della quale, non risultando agli atti alcun’altra elezione o dichiarazione di domicilio, veniva acquisita certificazione anagrafica da cui emergeva che alla data del (OMISSIS) il dott. M. abitava in (OMISSIS).

L’Ufficiale giudiziario veniva pertanto richiesto di notificargli il decreto di citazione al predetto indirizzo, dove eseguiva un primo accesso in data (OMISSIS).

Non avendo trovato l’incolpato nè altra persona cui consegnare l’atto, vi ritornava il successivo (OMISSIS) e non essendo riuscito ad effettuare la consegna neppure in tale seconda occasione, eseguiva la notificazione ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8 e, cioè, mediante deposito nella casa comunale, affissione di avviso alla porta dell’abitazione e spedizione al destinatario di lettera raccomandata, che veniva poi restituita per compiuta giacenza.

All’udienza del 24/11/2009 compariva soltanto l’avv. Balzani per delega del difensore avv. Camassa, il quale presentava innanzitutto un’istanza di ricusazione dell’intero Collegio giudicante.

L’istanza veniva subito esaminata e respinta da un altro Collegio diversamente composto ed alle ore 14, 37 riprendeva la discussione, nel corso della quale l’avv. Balzani deduceva che il decreto di citazione avrebbe dovuto essere notificato all’incolpato nel domicilio da lui eletto nella fase delle indagini.

La Sezione rigettava, però, l’eccezione in quanto “posta in termini del tutto generici” e riscontrata la regolarità delle notifiche, disponeva procedersi oltre nel dibattimento. Veniva perciò svolta la relazione e terminata in tal modo la fase degli atti preliminari, la Sezione accoglieva la richiesta di termini a difesa, rinviando alla nuova udienza dell’11/12/2009.

Compariva questa volta l’avv. Camassa, chiedendo alla Sezione di volersi pronunciare in ordine al fatto che non essendo stata dichiarata la contumacia del dott. M. nel corso della precedente udienza, l’incolpato avrebbe avuto diritto alla notificazione di un altro decreto di citazione per la nuova udienza dell’11/12/2009.

Segnalava, inoltre, che il dott. M. si trovava comunque nella impossibilità di comparire per impedimento fisico, depositando al riguardo un certificato medico attestante che il medesimo era stato colpito da una “colica renale con vomito incoercibile al trattamento farmacologico”, nonchè un certificato anagrafico rilasciato il (OMISSIS) da cui appariva che l’incolpato aveva avuto, in (OMISSIS), “le seguenti variazioni domiciliari: dal (OMISSIS)”. La Sezione rigettava, però, tutte le eccezioni della difesa ed il Presidente dichiarava chiusa l’istruttoria dibattimentale ed utilizzabili gli atti.

Il Procuratore Generale ed il difensore rassegnavano le loro conclusioni ed il procedimento veniva definito con sentenza di rimozione dell’incolpato.

Quest’ultimo proponeva ricorso per cassazione, nelle more del quale chiedeva al Consiglio Superiore della Magistratura di volerlo dispensare dal servizio per infermità. In data 17/11/2010, il CSM accoglieva l’istanza ed il dott. M. produceva la relativa delibera in giudizio, domandando anche di essere autorizzato a proporre querela in via incidentale per dimostrare la falsità della sentenza impugnata.

All’udienza dell’8/3/2011, il PG contestava l’ammissibilità della querela, producendo a sua volta la delibera con la quale il CSM aveva revocato la dispensa del dott. M. ed il ricorso straordinario da costui proposto avverso di essa. La difesa dell’incolpato si opponeva all’acquisizione di tali documenti, ma il Collegio decidente ne disponeva lo stesso l’unione agli atti e rinviava ad altra udienza per avere dal Consiglio Superiore notizie ufficiali circa l’esatta situazione della pratica.

L’incolpato richiedeva la revoca della predetta ordinanza ed in prossimità della nuova udienza del 17/5/2011, fissata dal Presidente dopo la ricezione della documentazione del CSM, depositava memoria con la quale insisteva nelle precedenti domande, producendo copia del ricorso straordinario al Capo dello Stato ed aggiungendo, altresì, che ai sensi della L. n. 195 del 1958, art. 17 e della L. n. 241 del 1990, art. 2 la delibera con cui il Consiglio Superiore gli aveva accolto la domanda di dispensa, aveva comportato la sua definitiva uscita dall’Ordine Giudiziario dopo il decorso dei trenta giorni entro i quali il Ministro della Giustizia avrebbe dovuto darvi corso mediante l’emissione dell’apposito decreto. Sottolineava, inoltre, il dott. M. che la norma che prevedeva il ricorso in cassazione contro le decisioni della Sezione Disciplinare doveva considerarsi costituzionalmente illegittima, in quanto privava l’incolpato del diritto di fare affidamento “sulla terzietà del giudice, soggetto esso stesso alla supremazia di quell’organo” sui cui atti doveva pronunciare. Tale ultima eccezione risulta, però, manifestamente infondata, in quanto anche a prescindere da ogni considerazione in ordine alla sicura idoneità del sistema a garantire alle parti un giudizio equo ed imparziale, resta in ogni caso il fatto che il procedimento disciplinare a carico dei magistrati ordinari è tradizionalmente configurato come un processo destinato a svolgersi davanti ad un vero e proprio giudice (v. in tal senso anche Corte cost. 1995/71), di tal che è proprio la Costituzione che lungi dai vietare, tutt’al contrario impone di sottoporre al vaglio della Corte di cassazione anche le sentenze della Sezione Disciplinare, che avendo natura di pronunce giurisdizionali, non potrebbero sfuggire al sindacato previsto dall’art. 111 Cost., penultimo comma.

Sempre con riferimento alla Costituzione ed ai suoi principi, deve poi riaffermarsi che la parte contro cui sono stati esibiti dei documenti può, ovviamente, difendersi producendo, se del caso, altri documenti a confutazione di quelli allegati dall’avversario (v., in tal senso, C. cass. 2007/13535). Ciò posto e premesso, altresì, che il venir meno del rapporto d’impiego determina, nei giudizi disciplinari a carico dei magistrati, la cessazione della materia del contendere e, cioè, un’ipotesi con riferimento alla quale è ammessa la esibizione di nuovi documenti in cassazione ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ., ne consegue che a fronte della produzione, da parte del dott. M., della delibera consiliare di accoglimento della domanda di dispensa, il Procuratore Generale aveva certamente la facoltà di allegare a sua volta la contraria delibera di revoca e le Sezioni Unite potevano richiedere chiarimenti al Consiglio Superiore.

Dal canto proprio, quest’ultimo ha inviato documentazione dalla quale risulta che la Delib. 17 novembre 2010, con cui era stata accolta la domanda di dispensa, aveva fissato la data della sua decorrenza nel giorno della comunicazione all’interessato del decreto ministeriale di recepimento che, però, non è mai stato emanato dal Ministro della Giustizia che, anzi, ha sollecitato una rivalutazione della questione, all’esito della quale il Consiglio ha deciso, nel corso della seduta del 12/1/2011, di revocare in autotutela la precedente Delib. 17 novembre 2010.

Tenuto conto di ciò e considerato che la normativa citata dal dott. M. non autorizza affatto a concludere per il preteso consolidamento della dispensa alla scadenza del trentesimo giorno successivo all’adozione della relativa delibera consiliare, deve quindi ritenersi che l’incolpato faccia tuttora parte dell’Ordine Giudiziario.

Con l’ultima memoria, il dott. M. ha peraltro sostenuto la necessità di sospendere il presente processo fino alla definizione del ricorso straordinario da lui proposto avverso la delibera di revoca.

Neppure tale eccezione può essere tuttavia accolta perchè la sospensione di cui all’art. 295 cod. proc. civ. presuppone la contemporanea pendenza di un processo pregiudicato e di un processo pregiudicante che, nella specie, manca in quanto la proposizione del ricorso straordinario non determina l’instaurazione di un giudizio, ma soltanto di un procedimento amministrativo, come del resto sostanzialmente ribadito dalla recente C. cass. 2011/2065, che diversamente da quanto sostenuto dall’incolpato, si è limitata ad ammettere la possibilità di farne valere la decisione in via di ottemperanza senza, però, riconoscerle natura giurisdizionale. Non può essere infine accolta neanche la richiesta di autorizzazione alla presentazione della querela incidentale, che nel giudizio di cassazione non può essere proposta con riferimento ai documenti utilizzati dalla decisione impugnata, ma soltanto in relazione a quelli prodotti nel giudizio di legittimità ovvero per far valere la falsità della sentenza stessa per mancanza dei suoi requisiti essenziali di forma e di sostanza (C. cass. 2004/4603 e 2009/986) e, quindi, per casi e finalità diversi dalla fattispecie in esame, dove il ricorrente ha basato la sua richiesta su ipotesi manifestamente pretestuose o, comunque, non concernenti l’atto-sentenza ma, tutt’al più, l’esattezza o meno del suo contenuto e, dunque, l’esistenza di vizi da dedurre coi normali rimedi impugnatori.

Può quindi passarsi all’esame dei motivi del ricorso, con il primo dei quali è stato dedotto che 1) pur essendo il M. all’epoca residente in (OMISSIS), il decreto di citazione a giudizio per l’udienza del 24/11/2009 gli era stato notificato in (OMISSIS), nonchè presso un indirizzo di (OMISSIS) a lui del tutto estraneo; 2) la Sezione Disciplinare aveva escluso la esistenza di un legittimo impedimento dell’incolpato a comparire alla udienza dell’11/12/2009 senza disporre accertamenti sanitari nè spiegare in modo adeguato le ragioni per le quali aveva ritenuto di poter superare l’affermazione dello specialista, il quale non si era limitato a dare atto di una pregressa colica, ma aveva sottolineato anche la presenza del vomito incoercibile al trattamento farmacologico; 3) alla precedente udienza del 24/11/2009 non era stata formalmente dichiarata la contumacia dell’incolpato che, pertanto, avrebbe avuto diritto di ricevere, per la successiva udienza dell’11/12/2009, un nuovo decreto di citazione che, invece, non gli era mai stato notificato; 4) tale notificazione avrebbe dovuto essere effettuata al domicilio eletto nella fase delle indagini e, cioè, in Brindisi, via Mecenate 90, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Negro, nominato difensore in caso d’impedimento dell’avv. Camassa.

La doglianza è infondata in tutti i suoi profili, a proposito dei quali giova innanzitutto ricordare che per dimostrare di avere effettivamente eletto domicilio presso l’avv. Vecchio in Briondisi, via Mecenate 90, l’incolpato ha unito al ricorso l’apposita dichiarazione nonchè la copia dell’avviso di spedizione e di ricevimento della relativa raccomandata, ritirata nel febbraio 2009 da un addetto della Procura Generale. La produzione è però inammissibile, in quanto la possibilità di esibire nuovi documenti in cassaziome costituisce un’ipotesi eccezionale limitata ai soli atti che per il fatto di riferirsi alla nullità della sentenza impugnata od alla ammissibilità del ricorso o per altra causa quale, per esempio, quella di non essere stati messi in grado di partecipare al giudizio a quo per nullità della citazione, non avrebbero potuto essere prodotti prima dail’imteressato cui, negando tale facoltà, si finirebbe con l’impedire il pieno esercizio del diritto di difesa.

Si tratta, dunque, di casi ben diversi dal presente, in cui la difesa dell’incolpato avrebbe potuto (e dovuto) produrre l’elezione di domicilio fin dalla udienza del 24/11/2009, nel corso della quale si è invece limitata a lamentare genericamente la nullità del decreto di citazione senza non solo esibire la elezione di domicilio, ma nemmeno indicare il luogo e la persona presso cui era stata fatta.

Aggiungasi che all’udienza dell’8/3/2011, il PG ha chiarito, sulla scorta dei documenti agli atti del suo Ufficio, che nel febbraio 2009 era effettivamente pervenuta in Procura Generale una raccomandata dell’avv. Vecchio che, tuttavia, non conteneva nessuna dichiarazione di domicilio nè alcun altro documento e, per questo, era stata rimessa al mittente.

Dovendosi perciò partire dal presupposto dell’inesistenza della dedotta elezione di domicilio, in mancanza della quale la notificazione all’incolpato può essere validamente fatta presso la casa di abitazione risultante dalle certificazioni d’anagrafe, rimane unicamente da aggiungere che avendo ritenuto di poter proseguire oltre, l’Ufficiale giudiziario, il quale aveva l’obbligo di effettuare le dovute verifiche al riguardo, ha implicitamente ma inequivocabilmente dimostrato di non aver riscontrato, nel corso dei due accessi in (OMISSIS), nessun elemento capace di far sospettare che l’incolpato non vi avesse più la propria abitazione perchè trasferitosi, nel frattempo, altrove. Tenuto conto di ciò ed avuto riguardo al valore semplicemente presuntivo della diversa indicazione contenuta nel certificato prodotto dalla difesa all’udienza dell’11/12/2009, deve pertanto concludersi per la validità della notificazione del decreto di citazione fatta al dott. M. in (OMISSIS). Come si è visto, però, la difesa dell’incolpato ha sostenuto che il dott. M. avrebbe avuto comunque diritto di ricevere un nuovo decreto di citazione per l’udienza dell’11/12/2009, ma l’assunto non può essere condiviso perchè anche a prescindere da ogni ulteriore considerazione sull’effettiva trasferibilità, nel procedimento disciplinare, dei principi desumibili dal codice di procedura penale in materia di contumacia, è comunque da ritenere che la dichiarazione di quest’ultima non abbisogna di formule sacramentali, per cui può ritenenersi implicitamente ricompresa nell’espressione “regolarmente citato e non comparso” (C. cass. Sez. 6, 1982/10837) od in altre equivalenti quali, per l’appunto, quelle utilizzate nel corso della udienza del 24/11/2011, in cui si è dato atto dell’assenza del dott. M. e della regolarità della notificazione del decreto di citazione a lui diretto.

Il fatto, infine, che nella sentenza impugnata si parli soltanto della colica renale senza menzione del suo effetto secondario costituito dal “vomito incoercibile”, non autorizza affatto a ritenere che la Sezione non ne abbia tenuto conto o abbia, comunque, motivato in maniera inadeguata, perchè gli argomenti addotti dai giudici a quo evidenziano la piena conoscenza dell’intero certificato ed offrono una spiegazione sufficiente delle ragioni per le quali, risalendo l’attestazione a due giorni prima ed esaurendosi la prescrizione in una generica raccomandazione di soli otto giorni di riposo, poteva escludersi, anche sulla scia di C. cass. Sez. 5, 2004/3392, che il dott. M. si trovasse realmente in condizioni tali da impedirgli di comparire.

Con il secondo motivo il dott. M. ha dedotto che all’udienza del 24/11/2009 era stata presentata, nei confronti del collegio giudicante, un’istanza di ricusazione che la Sezione aveva ritenuto tardiva senza nessun accenno ai tempi in cui l’incolpato, mai raggiunto da nessuna notificazione, aveva avuto conoscenza dei nominativi dei componenti che, in ogni caso, avrebbero dovuto comunque astenersi per essere stati penalmente denunciati ed avere già conosciuto della regiudicanda in occasione della richiesta di sospensione cautelare.

La doglianza è infondata, in quanto la Sezione Disciplinare non si è limitata a rilevare la tardività dell’istanza di ricusazione, ma ne ha sottolineato anche la manifesta infondatezza, a fronte della quale risulta irrilevante la mancata indicazione del momento in cui l’incolpato aveva preso conoscenza dei nominativi dei componenti di cui, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, non può predicarsi alcun obbligo di astensione, atteso da un lato che la semplice presentazione di una denuncia penale (di cui il dott. M. non ha spiegato il contenuto) non costituisce di per sè motivo sufficiente a mettere il giudice in condizione d’incompatibilità e, dall’altro, che la partecipazione alla discussione ed alla decisione de procedimento relativo alla sospensione cautelare non impedisce di concorrere alla definizione di quello relativo al merito della incolpazione (v., in tal senso, C. cass. 2009/18374 e, con riferimento alla previgente disciplina, C. cass. 2008/28871, che hanno altresì negato qualsiasi contrasto con l’art. 3 Cost, richiamato dalla difesa del dott. M. assieme all’art. 24 Cost. per sostenere genericamente Illegittimità costituzionale del sistema che, invece, non appare assolutamente lesivo del diritto di difesa nè dei principi di terzietà ed imparzialità del giudice). Con il terzo motivo l’incolpato ha lamentato l’erroneo rigetto dell’eccezione di estinzione del procedimento, basata sul fatto che pur avendo interpretato la nota ministeriale del 29/2/2008 come una semplice richiesta di avvio del procedimento e pur non essendosi avvalso della facoltà di separare il giudizio sui fatti commessi prima da quello sui fatti commessi dopo il (OMISSIS), il Procuratore Generale aveva omesso di promuovere l’azione disciplinare nel termine perentorio di un anno dal momento in cui era stato informato dei fatti ascritti all’incolpato.

La doglianza, non ben comprensibile nei suoi passaggi argomentativi, è comunque infondata nelle sue conclusioni, perchè con la nota del 29/2/2008, il Ministro della Giustizia si è espressamente avvalso della facoltà riconosciutagli dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 14, comma 2 (e, prima ancora, dal D.P.R. n. 916 del 1958, art. 59), specificando chiaramente di voler promuovere l’azione disciplinare che, pertanto, non aveva più nessuna necessità di essere nuovamente proposta dal Procuratore Generale, sul quale incombeva solamente l’obbligo di procedere alle indagini eventualmente necessarie e di presentare, entro due anni, le sue conclusioni alla Sezione Disciplinare.

Con il quarto motivo il dott. M. ha sostenuto che la Sezione Disciplinare avrebbe dovuto dichiarare la nullità di tutti gli atti istruttori nonchè del decreto di fissazione dell’udienza dibattimentale perchè, da parte sua, non aveva mai ricevuto nè l’avviso di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15 nè la convocazione per l’interrogatorio davanti al Sostituto Procuratore incaricato delle indagini.

La doglianza è infondata in quanto anche a prescindere dall’ ampia e convincente spiegazione fornita dalla Sezione Disciplinare in ordine alle ragioni per le quali doveva ritenersi che la consegna degli avvisi fosse stata impedita proprio dalla condotta del dott. M., che non poteva pertanto dolersene anche perchè aveva comunque avuto piena conoscenza dell’esistenza del procedimento e dei suoi vari sviluppi, nonchè delle incolpazioni e delle ispezioni a monte, va in ogni caso considerato che in base all’espressa previsione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15 la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento non comporta affatto la nullità di tutti gli atti istruttori in genere, ma soltanto di quelli d’indagine che, nel caso di specie, non vi sono stati, come affermato a pag. 9 della sentenza impugnata e non contestato dal dott. M. nel ricorso.

Nemmeno il previo interrogatorio dell’incolpato, poi, costituisce presupposto di validità della richiesta di fissazione dell’udienza di discussione orale, in quanto la necessità di simile adempimento non è prevista dal D.Lgs. n. 109 del 2006, che disciplina la chiusura delle indagini in maniera autonoma e tale da precludere, per la sua completezza e specificità, l’applicazione dell’art. 415 bis c.p.p. (già esclusa, sia pure con riferimento all’avviso di conclusione delle indagini, da C. cass. 2008/17935).

Con il quinto motivo il dott. M. ha lamentato che la Sezione Disciplinare aveva “deciso la controversia in difetto di giurisdizione” perchè dopo aver dichiarato la tardività dell’istanza di ricusazione, la cui presentazione aveva comportato la sospensione di diritto del processo, l’aveva proseguito ex officio senza rendersi conto che in base all’art. 54 c.p.c. sarebbe stata a tal fine necessaria la sua riassunzione ad istanza di parte.

La doglianza è infondata non soltanto in virtù della specifica disposizione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 18 che richiama, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura penale sul dibattimento, ma anche perchè in mancanza di significative modificazioni, deve ritenersi che anche dopo la entrata in vigore del D.Lgs. n. 109 del 2006 l’azione disciplinare contro i magistrati ordinari abbia continuato a conservare (come per il passato: C. cass. 2004/22491 e 2005/27689), il carattere della irretrattabilità e della indisponibilità da cui deriva non soltanto l’irrilevanza di eventuali rinunce ad essa, ma anche l’impossibilità di fare riferimento ad istituti che, come la riassunzione su istanza di parte, sono destinati ad operare nell’ambito di procedimenti rimessi alla iniziativa ed alla volontà dei contendenti ai quali, diversamente opinando, sarebbe offerto un fin troppo facile strumento per conseguire indirettamente quel risultato di bloccare e far chiudere il processo che non potrebbero pretendere nemmeno sulla base di una richiesta o di un accordo espresso in tal senso (v., al riguardo, la succitata C. cass. 2005/27689, che sia pure ne vigore della precedente normativa, ha escluso la necessità di un atto d’impulso delle parti per la riattivazione del giudizio sospeso).

Con il sesto motivo il dott. M. ha sostenuto che la Sezione Disciplinare avrebbe dovuto procedere in contraddittorio alla formazione del fascicolo del dibattimento e, non avendolo fatto, aveva perduto la possibilità di avvalersi dei documenti e, più in particolare, della relazione amministrativa di cui, comunque, non aveva dato nemmeno lettura nè avrebbe potuto, del resto, servirsi come base per la decisione neppure nel caso in cui fosse stata legittimamente acquisita. La doglianza è infondata in quanto i D.Lgs. n. 109 del 2006 non prevede affatto la necessità di formare il fascicolo del dibattimento in contraddicono, ma si limita a stabilire all’art. 17 che una volta compiute le indagini, il Procuratore Generale formula le richieste conclusive ed invia il fascicolo di ufficio alla Sezione Disciplinare affinchè resti depositato in segreteria a disposizione dell’incolpato, che può prenderne visione ed estrarne copie.

Ciò posto e ribadito che la peculiarità e completezza della disciplina dettata per la chiusura delle indagini preclude non soltanto l’applicabilità dell’art. 415 bis, ma anche dell’art. 431 c.p.p., resta solamente da aggiungere che una volta dichiaratane l’utilizzabilità all’udienza dell’11/12/2009, la Sezione Disciplinare poteva senz’altro servirsi dei documenti inviati dal PG e, segnatamente, della relazione ispettiva, che oltre ad essere astrattamente ammissibile ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 18, comma 3, lett. b rivestiva in concreto un’importanza fondamentale ed era stata, oltretutto, già posta a base della richiesta di sospensione cautelare e della relativa ordinanza di accoglimento, poi impugnata dal dott. M. con nove motivi di ricorso.

Con il settimo motivo l’incolpato ha infine sostenuto che la Sezione Disciplinare aveva motivato in maniera soltanto apparente, in quanto non si era preoccupata di verificare se gli atti esaminati fossero completi, nè aveva dato atto della loro provenienza o genuinità, ma si era limitata ad una valutazione assolutamente parziale perchè “disancorata dai fatti e, soprattutto, dalle carte processuali, mai acquisite nella loro integrità”.

La doglianza è sostanzialmente generica e, dunque, inammissibile in quanto articolata su pochi periodi che non si confrontano con la sentenza impugnata se non su grandi linee che non ne mettono in luce specifiche insufficienze o contraddittorietà, la cui sussistenza appare comunque da escludere, dato che la Sezione Disciplinare ha esaurientemente analizzato i vari capi d’incolpazione, giustificando l’affermazione della responsabilità dell’incolpato con argomenti ampi e coerenti.

Il ricorso è, quindi, rigettato.

Nulla per le spese, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministro della Giustizia.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione, a sezioni unite, rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2011

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