Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11964 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. III, 19/06/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 19/06/2020), n.11964

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27788/2019 proposto da:

A.R., elett. domiciliato a Roma, Viale Angelico n. 38, presso

l’avv. Lanzilao Marco, che lo difende in virtù di procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino 17.7.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4

marzo 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.R., cittadino pakistano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, ex D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ex D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286,m art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento dell’istanza dedusse che, avendo denunciato alla polizia due rapinatori, i quali però rimasero a piede libero, fuggì dal proprio paese per timore di ritorsioni da parte di quelli;

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento A.R. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso al Tribunale, che lo rigettò;

la sentenza di primo grado, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Torino con sentenza 17.7.2019;

a fondamento della propria decisione la Corte d’appello ritenne che:

-) il racconto del richiedente asilo era implausibile, lacunoso e quindi non credibile;

-) il diritto di asilo non poteva essere accordato perchè il racconto del richiedente non palesava alcuna ipotesi di persecuzione;

-) la protezione sussidiaria ex D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) o b) non poteva essere concessa perchè le inverosimiglianze dei fatti riferiti dal richiedente asilo impedivano di ritenere che, in caso di rientro in Pakistan, egli potesse essere condannato a morte o sottoposto a trattamenti inumani o degradanti;

-) la protezione sussidiaria ex D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) non poteva essere concessa perchè in Pakistan non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, nè il rischio di attentati terroristici poteva essere considerato equivalente alla esistenza di un “conflitto armato”;

-) la protezione umanitaria, infine, non poteva essere concessa in quanto: a) il richiedente era sano, abile al lavoro, aveva i propri familiari in Pakistan, non aveva legami familiari affettivi in Italia, con la conseguenza che non si trovava in alcuna tipica situazione di “vulnerabilità”; b) le stesse deduzioni in fatto compiute dal richiedente asilo imponeva di escludere che, in caso di rientro in patria, potesse essere sottoposto a trattamenti lesivi dei suoi diritti fondamentali; c) in ogni caso il richiedente asilo nel proporre appello “non aveva motivato” in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, “risultando carente qualsiasi allegazione in fatto che possa essere ricondotta alle previsione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6”;

tale sentenza è stata impugnata per cassazione da A.R. con ricorso fondato su due motivi;

il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,4,5,6 e 14; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; nonchè il vizio di “difetto di motivazione e travisamento del fatto”.

Deduce che erroneamente il Tribunale ha ritenuto insussistente in Pakistan, per i fini di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato. Sostiene che la Corte d’appello avrebbe “valutato superficialmente” il rapporto EASO, da essa pur richiamato, dal quale emergeva che la zona di provenienza del richiedente asilo (il Punjab), aveva fatto registrare un cospicuo numero di disordini e proteste.

1.1. Nella parte in cui lamenta il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha infatti preso in esame la situazione della sicurezza in Pakistan, così come ha preso in esame il rapporto EASO invocato dal ricorrente.

La circostanza, poi, che tale fonte di prova non sia stata interpretata nel senso auspicato dalla parte non integra gli estremi del vizio di omesso esame del fatto decisivo.

1.2. Nella parte in cui lamenta la totale mancanza di motivazione il motivo è del pari infondato. La Corte d’appello, infatti, alle pagine 7-8 ha spiegato che in Pakistan “pur sussistendo un elevato rischio di terrorismo, tuttavia il paese è lungi dall’essere preda di una incontrollata situazione di conflitto, poichè le forze di sicurezza sono da tempo impegnate in una importante opera di contrasto al terrorismo. Pertanto la situazione complessiva del paese non è equiparabile a quella descritta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non esistendo in Pakistan una situazione di conflitto generalizzato”.

La motivazione dunque nel provvedimento impugnato c’è, nè può ritenersi ambigua o contraddittoria.

2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta sia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 (lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19); sia quello di omesso esame d’un fatto decisivo, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Deduce il ricorrente che la Corte d’appello ha rigettato tale domanda senza effettuare una effettiva e reale comparazione tra la condizione da lui raggiunta in Italia, e l’avvenuta integrazione sociale e lavorativa ivi conseguita, con quella cui si troverebbe esposto nel caso di rientro in Pakistan; che il conseguimento d’una effettiva integrazione sociale era dimostrato da documenti ritualmente prodotti e che la Corte d’appello aveva illegittimamente ritenuto inammissibili; che il Pakistan è un paese afflitto da miseria, carestia, cambiamenti climatici e instabilità politica, dove il 75% della popolazione ha a disposizione un reddito di soli 165 dollari al mese; che tali circostanze giustificavano pertanto la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2.1. Il motivo è fondato.

La sentenza d’appello ha rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari muovendo dal presupposto che “la richiesta di protezione umanitaria deve fondarsi su un rischio di esposizione a forme di discriminazione (per ragioni di razza, religione, nazionalità, particolare gruppo sociale opinione politica) oppure trattamenti inumani o degradanti”.

Tale affermazione non è corretta in punto di diritto.

2.2. La concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, infatti, non richiede affatto, quale presupposto, che il richiedente possa essere esposto nel proprio paese al rischio di discriminazione o persecuzioni.

Se, infatti, davvero esistesse questo rischio, la persona interessata avrebbe diritto allo status di rifugiato o alla concessione della protezione sussidiaria, con la conseguenza che l’istituto del permesso di soggiorno per motivi umanitari diverrebbe inutile, e il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 verrebbe abrogato per via interpretativa: operazione ovviamente non consentita all’interprete.

Il permesso di soggiorno per motivi umanitari è invece un istituto di natura residuale ed atipica, i cui presupposti non possono essere stabiliti con valutazione sintetica a priori, ma solo all’esito di un giudizio analitico a posteriori, dopo aver preso in esame tutte le circostanze del caso. Il rigetto della domanda di permesso di soggiorno per motivi umanitari, pertanto, non può conseguire automaticamente al rigetto della domanda di concessione delle altre forme tipiche di protezione (ex multis, Sez. 1 -, Ordinanza n. 21123 del 07/08/2019, Rv. 655294 – 01).

Questa Corte, a tal riguardo, ha stabilito i seguenti principi (Sez. 1, Ordinanza n. 1104 del 20.1.2020):

(a) il giudizio sulla “vulnerabilità”, quale circostanza legittimante il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, va compiuto con valutazione “caso per caso”;

(b) tale giudizio va compiuto, in particolare, comparando “il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare (…) la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”;

(c) il giudizio di comparazione suddetto “è concettualmente caratterizzato da una relazione di proporzionalità inversa tra fatti giuridicamente rilevanti, che impone un peculiare bilanciamento tra condizione soggettiva del richiedente asilo e situazione oggettiva del Paese di eventuale rimpatrio”, per cui ” quanto più risulti accertata in giudizio (…) una situazione di particolare o eccezionale vulnerabilità, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il secundum comparationis, costituito dalla situazione oggettiva del paese di rimpatrio, onde la conseguente attenuazione dei criteri predicati (…) con esclusivo riferimento alla comparazione del livello di integrazione raggiunto in Italia – rappresentati “dalla privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”.

2.3. Nel caso di specie l’erronea affermazione secondo cui presupposto della concessione della protezione umanitaria sarebbe il rischio di discriminazioni o trattamenti inumani, ha avuto per conseguenza di indurre la Corte d’appello ha trascurare del tutto il giudizio di comparazione ed i principi di cui si è appena detto al p. precedente.

La Corte d’appello, in particolare, non ha preso in esame (nè per confutarla, nè per condividerla) l’allegazione attorea di avere conseguito un effettivo e cospicuo livello di integrazione sociale e lavorativa nel nostro paese.

La sentenza impugnata va perciò cassata su questo punto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione, la quale nel riesaminare il motivo di appello concernente il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari provvederà ad applicare i principi sopra esposti, ed a prendere in esame le circostanze di fatto sopra evidenziate.

3. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice di rinvio.

PQM

La Corte di cassazione:

(-) rigetta il primo motivo di ricorso;

(-) accoglie il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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