Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11964 del 17/05/2010

Cassazione civile sez. III, 17/05/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 17/05/2010), n.11964

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2052-2006 proposto da:

SO.G.E.M.- SOCIETA’ GENERALE ESTRATTIVA MERIDIONALE S.U.R.L.,

(OMISSIS), in persona dell’Amministratore unico e legale rapp.te

p.t. sig. I.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SALARIA 227, presso lo studio dell’avvocato IASONNA STEFANIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato PROCACCINI ERNESTO giusta delega

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.V.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA DELLE ALPI 30, presso lo studio dell’avvocato CAIANJELLO

SALVATORE, rappresentato e difeso dall’avvocato CORVINO UMBERTO

giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3072/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, 3^

Sezione Civile, emessa il 5/10/2005, depositata il 08/11/2005; R.G.N.

4718/2001.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2010 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito l’Avvocato Raffaele D’ANIELLO per delega Ernesto PROCACCINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza dell’8 novembre 2005 la Corte di appello di Napoli ha rigettato il gravame proposto dalla SOGEM s.r.l. avverso la decisione del Tribunale di S. Maria Capua Vetere del 31 luglio 2001, con la quale il giudice di prime cure, tra l’altro, aveva dichiarato cessato con decorrenza dall’8 luglio 1995 il contratto di locazione di un immobile ad uso non abitativo – una cava -, stipulato tra la SOGEM e D.V.G. il (OMISSIS), condannando la SOGEM al rilascio dell’immobile per il (OMISSIS).

Avverso la sentenza di appello, sopra indicata, propone ricorso per cassazione la SOGEM, affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso il D.V..

La società ricorrente con nota del 10 marzo 2010 fa presente al collegio che altro ricorso tra le stesse parti sarà discusso nella P.U. del 20 aprile 2010 ed ha ad oggetto la determinazione del canone di locazione relativo al predetto fondo di proprietà del D. V. e che un altro ricorso incardinato nel 2007 ha ad oggetto un”assunto risarcimento danni relativi al rapporto di locazione” de quo, ritenendo, in sostanza, di giudizi sostanzialmente connessi.

La SOGEM ha depositato memoria.

Con ordinanza resa all’udienza questa Corte ha respinto la istanza di trattazione unitaria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.-Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1321 c.c. degli artt. 1352 e ss., 1571 e ss. c.c.; L. n. 392 del 1987, art. 27 e ss., artt. 27 e 38 ss., L. citata; artt. 99, 112 e 115 c.p.c. e art. 12 preleggi nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, omesso esame di un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5) in estrema sintesi la ricorrente lamenta che il giudice dell’appello avrebbe affermato che nella fattispecie concreta sarebbe risulta prevista una durata del rapporto locativo inferire a quella minima di nove anni (p. 6 ricorso).

Il motivo sotto questo profilo va disatteso.

Infatti, il giudice dell’appello ha premesso che nella fattispecie – affitto di una cava di proprietà del D.V. alla Sogem – il rapporto sorto in data (OMISSIS) era a tempo indeterminato, come risulta dalle clausole contrattuali trascritte nel ricorso a p. 7 del ricorso, con una durata minima iniziale di nove anni, per cui ad esso andava applicata la disciplina di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 27 e ss. (p. 5 sentenza impugnata).

Quindi, egli ha correttamente ritenuto operativo l’art. 27, comma 4, L. citata.

Una volta affermato quanto sopra, altresì correttamente il giudice dell’appello a) da una parte, ha dichiarato rinnovato tacitamente quel contratto di altri sei anni, in quanto la disdetta operata con l’atto di citazione non era valida per impedire la prosecuzione del contratto (art. 28, comma 1, L. citata);

b) dall’altra, ha, invece, ritenuto efficace la disdetta alla seconda scadenza, in quanto esternata con atto di citazione del 20 marzo 1990 ed in linea con la giurisprudenza costante di questa Corte, che pure richiama e va condivisa (p. 7 sentenza impugnata).

Ciò posto, e non essendo stata prevista una rinnovazione per la durata di anni nove, in quanto la clausola n. 20 esplicita solo una durata non inferiore a nove, ma per quanto concerne il rinnovo si limita a prevedere “alle stesse condizioni” (p. 7 ricorso), è evidente che le pattuizioni contrattuali non sono state interpretate in modo difforme dalla espressa volontà delle parti.

Infatti, come peraltro sembra riconoscere la stessa ricorrente, emerge dalla citata clausola che il D.V. aveva espresso la volontà “di concedere in affitto la cava per cui è causa” a “tempo indeterminato” (e, quindi, per non meno di nove anni, come durata minima ex art. 27, comma 4, L. citata), per cui doveva richiedere il rilascio alla prima scadenza e, contrariamente a quanto essa asserisce, era la Sogem (secondo quella clausola) a poter richiedere il rinnovo alle stesse condizioni e non già il D.V. (v. p. 7 ricorso con la trascrizione della clausola n. 20).

In altri termini, correttamente, in riferimento al dato documentale, il giudice dell’appello ha ritenuto che non era previsto il rinnovo tacito del contratto.

Quel rinnovo “alle stesse condizioni” avrebbe potuto avverarsi solo su domanda della Sogem, per cui, non valendo la citazione del 1990 come disdetta alla prima scadenza, il contratto si sarebbe rinnovato tacitamente per sei anni, come per legge, ovvero nel (OMISSIS).

Dopo questo passaggio logico, il giudice dell’appello, tenuto conto della citazione notificata nel 1990, assimila l’atto alla disdetta e lo ritiene valido ed efficacia per la seconda scadenza.

Infatti, trattandosi di seconda scadenza contrattuale la citazione è sufficiente, non essendo imposto al locatore l’onere di esplicitare i motivi della “disdetta”, così come previsto per la prima scadenza, come esattamente fa rilevare il resistente.

Nè va accolto il motivo sotto il profilo concernente il “comportamento delle parti” ed, in particolare quello relativo ad una presunta ulteriore rinnovazione, perchè il locatore avrebbe trattenuto e non respinti i canoni corrisposti del conduttore, successivi alla scadenza del contratto.

Questa censura, proposta in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5 risulta smentita dal fatto, cui non si accenna nel ricorso, ma di cui da atto la sentenza, che in atti vi è un lungo e considerevole contenzioso, sintomatico della volontà del locatore di riavere il proprio bene (p. 7 sentenza impugnata).

2.-Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978 e dell’art. 2697 c.c. degli artt. 1592 ss., e 2736 ss.

c.c., artt. 99 e 112 c.p.c., nonchè omesso esame di un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5), in sostanza, la ricorrente lamenta l’omessa ammissione del giuramento decisorio.

Anche questa doglianza va disattesa.

Di vero, se è esatto quanto si sostiene nel ricorso (con il conforto della giurisprudenza che richiama: Cass. n. 12297/95), ovvero che il giuramento decisorio va sempre disposto anche se deferito in via subordinata, anche se i fatti con esso dedotti siano stati già accertati o esclusi in base alle risultanze probatorie, già acquisite al processo (già lontana Cass. n. 271/60), è, altresì, vero che il capitolo del giuramento nella sua formulazione (v. p. 13- 14 ricorso) riguardava la prova legale sulla ricezione di tutti i pagamenti dei canoni relativi al rapporto di affitto del fondo, per cui questa prova non avrebbe inciso affatto sulle risultanze documentali, che propendevano per la scadenza del contratto.

Ed, infatti, il giudice dell’appello ha ritenuto che il giuramento fosse privo del carattere decisorietà, atteso che le circostanze dedotte lasciano impregiudicata la loro valutazione ai fini di una rinuncia alla disdetta (p. 8 sentenza impugnata) (v. per quanto valga Cass. n. 8998/01).

Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese che seguono la soccombenza vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1200/00, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2010

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