Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11964 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. II, 06/05/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 06/05/2021), n.11964

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26050/2019 proposto da:

G.I., elettivamente domiciliato in Padova, via Tommaseo n.

13, presso lo studio dell’avv.to VITTORIO MANFIO, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE VERONA SEZ. PADOVA;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

29/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Venezia, con decreto pubblicato il 29 luglio 2019, respingeva il ricorso proposto da G.I., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il richiedente, con riferimento ai motivi che lo avevano indotto ad espatriare, aveva dichiarato di aver abbandonato il proprio paese per motivi politici e per la violenza dei militari.

3. Il Tribunale rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che il racconto del richiedente non era credibile. La narrazione circa i motivi che lo avevano costretto all’espatrio era, infatti, troppo generica, confusa e piena di contraddizioni. In ogni caso i fatti non integravano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale nè con riferimento alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato dato che la vicenda narrata, al di là della sua inattendibilità, non riportava alcuna forma di persecuzione, nè a quella di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

Del pari, doveva essere rigettata la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c). Dalle fonti internazionali, infatti, emergeva che il Burkina Faso era un paese nel quale non sussisteva alcun conflitto armato nel senso richiesto ai fini della suddetta protezione.

Infine, quanto alla richiesta concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari il Tribunale evidenziava che non vi erano i presupposti per il suo accoglimento non avendo questi raggiunto un adeguato livello di integrazione sociale. Inoltre, il suo racconto non era stato ritenuto credibile.

2. G.I. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di quattro motivi di ricorso.

3. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 111 Cost., comma 6 e art. 132 c.p.c., n. 4, con conseguente nullità della sentenza per motivazione omessa o solo apparente.

A parere del ricorrente nel decreto del Tribunale di Venezia non vi sarebbe alcuna motivazione sul rigetto di riconoscimento dello status di rifugiato nonostante la specifica richiesta effettuata con il ricorso. La motivazione sarebbe del tutto mancante perchè dalla lettura del provvedimento non si comprenderebbe l’iter logico seguito dal Tribunale al fine di effettuare un controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione del criterio di valutazione della prova e della L. n. 39 del 1990, art. 1, comma 5, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, che disciplina l’esame della domanda fissando laddove non sia documentata i criteri di valutazione della credibilità del ricorrente del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, violazione dell’art. 111 Cost., comma 6 e art. 132 c.p.c., n. 4, con conseguente nullità della sentenza per motivazione omessa o solo apparente.

La censura attiene alla ritenuta non credibilità del racconto del richiedente che invece era esaustivo e corrispondente alle fonti relative al paese di provenienza, che il Tribunale non avrebbe in alcun modo approfondito. Pertanto, il decreto impugnato non solo non avrebbe considerato le allegazioni del ricorso e i riscontri documentali prodotti, ma avrebbe violato anche il principio di cooperazione istruttoria non avendo tenuto in debito conto la situazione generale esistente nel paese di origine.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 4, motivazione mancante o apparente.

La censura attiene al rigetto della protezione sussidiaria senza tener conto di fonti aggiornate e con omesso esame di elementi decisivi per il giudizio.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, omesso esame riguardo: i fatti narrati in sede di audizione davanti la commissione e di interrogatorio davanti al giudice, le fonti indicate nelle sentenze allegate dal ricorrente, le stesse fonti indicate dal tribunale di Venezia in relazione alla valutazione delle condizioni di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Sussistenza delle condizioni della protezione umanitaria. Violazione dell’art. 111 Cost., comma 6 e art. 132 c.p.c., n. 4, con conseguente nullità del decreto per motivazione omessa o solo apparente.

La censura attiene al rigetto della protezione umanitaria nonostante il concreto rischio per la vita o l’integrità fisica a carico del richiedente anche per la situazione del paese di provenienza dove permane un clima generale di instabilità insicurezza. Il Tribunale avrebbe omesso di valutare anche le vicende verificatesi in Libia dove il ricorrente era rimasto ferito al collo. Inoltre, nessuna considerazione sarebbe stata svolta sulle fonti ministeriali riportate nelle due sentenze allegate al ricorso.

5. I quattro motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

Quanto alla valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale di Venezia ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito. In particolare, con riferimento alla inverosimiglianza e contraddittorietà delle dichiarazioni del ricorrente.

Con riferimento alla domanda di riconoscimento dello Status di rifugiato il rigetto è motivato sulla base della ritenuta non credibilità del racconto e, dunque, la censura di mancanza o insufficienza della motivazione non si confronta con il provvedimento impugnato.

Il Tribunale di Venezia, inoltre, ha fatto esplicito riferimento alle fonti internazionali dalle quali ha tratto la convinzione che il Burkina Faso non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Deve ribadirsi che in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del paese di provenienza, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019).

Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), deve evidenziarsi che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile e che in tal caso non si impone l’esercizio dei poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

La pronuncia impugnata, dunque, risulta del tutto conforme ai principi di diritto espressi da questa Corte, atteso che quanto al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, esso può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa.

6. In conclusione il ricorso è inammissibile.

7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.000 più spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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