Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11963 del 07/05/2019

Cassazione civile sez. II, 07/05/2019, (ud. 23/11/2018, dep. 07/05/2019), n.11963

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1250-2015 proposto da:

V.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA C. POMA 2,

presso lo studio dell’avvocato GREGORIO TROILO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ULISSE MELEGA;

– ricorrente –

contro

P.G. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIA

GIULIANA 50, presso lo studio dell’avvocato EMILIANO (Ndr: testo

originale non comprensibile), rappresentato e difeso dagli avvocati

(Ndr: testo originale non comprensibile) FORMICA, MARCO DELL’AMORE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2063/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

citata il 19/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/11/2018 dal Consigliere CHIARA BESSO MARCHEIS;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CAPASSO LUCIO che ha concluso per il

rigetto del ricorso.

Fatto

PREMESSO

CHE:

1. In data 20/12/2006 P.G. conveniva in giudizio V.I., chiedendo che venisse accertata la responsabilità precontrattuale di quest’ultimo per avere improvvisamente interrotto, senza giustificato motivo, le trattative relative alla compravendita di un immobile da adibire all’attività di parrucchiere, con conseguente condanna alla restituzione delle spese sostenute e al risarcimento del danno. Il convenuto, costituendosi, contestava la domanda dell’attore, sostenendo che nessun accordo definitivo era intervenuto tra le parti, e proponeva domanda riconvenzionale chiedendo la condanna dell’attore al risarcimento del danno per mancato utilizzo del bene. Il Tribunale di Bologna accertava la responsabilità precontrattuale di V.I. e lo condannava a corrispondere all’attore, a titolo di risarcimento del danno, Euro 26.898,34; rigettava la domanda riconvenzionale del convenuto.

2. Avverso tale decisione proponeva appello V.I., lamentando l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza del Tribunale, l’omessa ed errata valutazione del materiale probatorio, nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 1337 e 2043 c.c.. Con sentenza n. 2063 del 19 novembre 2013 la Corte d’appello di Bologna rigettava l’appello, confermando la sentenza impugnata.

3. Contro la sentenza ricorre in cassazione V.I.. Resiste con controricorso P.G..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

I. Il ricorso è articolato in due motivi.

a) Il primo motivo denuncia, in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per avere la Corte d’appello, nel richiamare l’approssimativa ricostruzione dei fatti del Tribunale, omesso di approfondire “i tre fatti centrali della controversia: il mancato accordo sul prezzo, la reciproca desistenza delle parti dalle trattative e il mancato esborso da parte di P. delle spese di cui aveva chiesto il rimborso”.

Il motivo è inammissibile: nella rubrica e nel successivo svolgimento richiama un parametro – l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione – non applicabile ratione temporis alla fattispecie (la sentenza impugnata è infatti stata depositata il 19 novembre 2013, così che trova applicazione il disposto di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54), nè è ravvisabile, nella sentenza impugnata, l’omesso esame di fatti storici, essendoci stato, ad avviso del giudice di merito, accordo sul prezzo, avendo il ricorrente violato il dovere di correttezza e buona fede precontrattuale, recedendo dal contratto senza giusta causa, essendo le spese state adeguatamente documentate.

b) Il secondo motivo, in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1337 c.c., per avere la Corte d’appello, nel confermare la responsabilità precontrattuale del ricorrente, violato l’art. 1337 c.c., nonchè i principi interpretativi dello stesso dati dalla giurisprudenza di questa Corte.

Il motivo è inammissibile: ripropone, invocando la violazione e falsa applicazione dell’art. 1337 c.c., la doglianza fatta valere con il motivo precedente, nella sostanza contestando l’accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito circa l’accordo sul prezzo, lo stadio raggiunto nelle trattative e il ragionevole affidamento circa la conclusione del contratto, l’ammontare delle spese sostenute da P..

II. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in Euro 4.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-bis i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione seconda civile, il 23 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2019

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