Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11963 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. II, 06/05/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 06/05/2021), n.11963

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26221/2019 proposto da:

O.S., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avv.to MICHELE

CAROTTA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2933/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 12/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza pubblicata il 1 luglio 2019, respingeva il ricorso proposto da O.S., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Venezia aveva rigettato l’opposizione avverso la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il richiedente aveva raccontato di aver dovuto abbandonare il proprio villaggio per fuggire dagli anziani ai quali un oracolo aveva detto che la causa delle sventure che si erano abbattute sul villaggio dopo la morte del padre era la maledizione che egli aveva lanciato prima di morire e per eliminare la quale era necessario che lui e i suoi fratelli fossero uccisi. Aveva così deciso di fuggire ed era stato per due anni a Benin City doveva aveva insegnato diritto pubblico ed economia in una scuola privata e dove aveva conosciuto una ragazza dalla quale aveva avuto un figlio. Un giorno gli anziani del villaggio si erano presentati a casa sua ed egli aveva capito di non essere più al sicuro nemmeno in quella città ed era riuscito a fuggire, portando con sè la compagna incinta.

La Corte d’Appello riteneva non credibili i fatti narrati e dunque riteneva insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale sia con riferimento alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato sia a quella di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

Del pari, doveva essere rigettata la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c). Dalle fonti internazionali, infatti, emergeva che la Nigeria era un paese nel quale non sussisteva alcun conflitto armato nel senso richiesto ai fini della suddetta protezione.

Infine, quanto alla richiesta concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari la Corte d’Appello evidenziava che non vi erano i presupposti per il suo accoglimento non avendo questi raggiunto un adeguato livello di integrazione sociale e non potendosi ravvisare un miglioramento nelle condizioni di vita in una valutazione comparativa con il paese d’origine. Inoltre, il suo racconto non era stato ritenuto credibile.

2. O.S. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso.

3. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. – Nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente e nullità del procedimento omesso esame circa un fatto decisivo, il tutto in relazione all’art. 116 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per avere la corte d’appello di Venezia violato i canoni legali di valutazione degli elementi istruttori, nonchè per aver omesso l’esame di un fatto decisivo.

La censura attiene alla ritenuta non credibilità del racconto perchè vago e non dettagliato in violazione dei criteri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del dovere di collaborazione officiosa, per aver omesso di approfondire la valutazione delle condizioni del paese di provenienza sulla base di fonti aggiornate.

Il racconto aveva una coerenza intrinseca anche in riferimento al fatto che ben quattro anni dopo gli anziani del villaggio avevano raggiunto il ricorrente a Benin City, così come per gli altri punti del racconto. Peraltro nel corso dell’audizione non erano stati chiesti chiarimenti. Inoltre il racconto presentava anche una coerenza estrinseca rispetto al paese di provenienza. Il ricorrente cita un report Easo del 2018 dal quale emergerebbe una situazione di criticità e di instabilità politico istituzionale della Nigeria che consentirebbe di ritenere sussistente una situazione di conflitto interno tale da giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente e nullità del procedimento nonchè omesso esame circa un fatto decisivo in relazione all’art. 115 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14, per avere la Corte d’Appello omesso di applicare del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), in violazione dei criteri legali di valutazione degli elementi di prova con riferimento alla credibilità intrinseca del ricorrente.

La censura attiene al diniego di riconoscimento dello status di rifugiato e della domanda di protezione sussidiaria con statuizione erronea sull’assenza di pericolo concreto di trattamenti inumani o degradanti di minacce alla vita alla persona, non essendo stato valutato in modo adeguato il contesto generale del paese di provenienza.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente e nullità del procedimento omesso esame di un fatto decisivo il tutto in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis, per non avere il collegio valutato la vulnerabilità in relazione alla condizione di vita del ricorrente allegata in giudizio nonchè per omesso esame di un fatto decisivo.

La censura ha riguardo alla ritenuta insussistenza della condizione di vulnerabilità ai fini del riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Nella specie invece sussisterebbe un profilo di vulnerabilità, tenuto conto sia della credibilità del racconto sia dell’integrazione.

4. I tre motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ord. n. 3340 del 2019).

La Corte d’Appello di Venezia ha motivato ampiamente le ragioni della ritenuta non credibilità del racconto sulla base di una valutazione complessiva. In proposito deve richiamarsi il consolidato principio di diritto secondo cui: “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Sez. 1, Sent. n. 16056 del 2016).

La Corte di merito ha effettuato una valutazione complessiva delle risultanze istruttorie, sufficientemente e logicamente argomentata, fondando il proprio convincimento sugli elementi ritenuti più attendibili e non era tenuta ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti, essendo limitato il controllo del giudice della legittimità alla sola congruenza della decisione dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova (Cfr. Cass., Sez. 1, sentenza n. 11511 del 23 maggio 2014, Rv. 631448; Cass., Sez. L, sentenza n. 42 del 7 gennaio 2009, Rv. 606413; Cass., Sez. L., sentenza n. 2404 del 3 marzo 2000, Rv. 534557).

Inoltre, la Corte d’Appello ha fatto esplicito riferimento a fonti qualificate dalle quali ha tratto la convinzione che il Nigeria non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito e anche non idonea, quanto ai restanti fatti rappresentati (Cass. n. 14283/2019).

Deve ribadirsi che, in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), deve evidenziarsi che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile e che, in tal caso, non si impone l’esercizio dei poteri officiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, anche in questo caso il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso, con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono, l’esistenza di una situazione di integrazione da cui derivare una sua particolare vulnerabilità in caso di rientro forzoso. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta, in modo peraltro del tutto generico, una diversa interpretazione delle risultanze di causa. In particolare, deve nuovamente evidenziarsi che il ricorrente non ha allegato alcuna effettiva condizione di integrazione e che la condizione di vulnerabilità è stata esclusa sia sotto il profilo soggettivo che sotto quello oggettivo in relazione alla situazione generale del Nigeria.

5. In conclusione il ricorso è inammissibile.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.100 più spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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