Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11962 del 31/05/2011

Cassazione civile sez. un., 31/05/2011, (ud. 10/05/2011, dep. 31/05/2011), n.11962

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. ELEFANTE Antonio – Presidente di Sezione –

Dott. FELICETTI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4805-2010 proposto da:

SECAB SOCIETA’ COOPERATIVA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14,

presso lo studio dell’avvocato PAFUNDI GABRIELE, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati MANSI ANTONIO, MANSI FRANCESCO

PAOLO, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PALUZZA, COMUNE DI CERCIVENTO, in persona dei rispettivi

Sindaci pro tempore, PROVINCIA DI UDINE, in persona del Presidente

pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 62

r presso lo studio dell’avvocato CICCOTTI SABINA, che li rappresenta

e difende unitamente all’avvocato RAFFA MASSIMO, per delega in calce

al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, AGENZIA DEL DEMANIO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5/2009 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 12/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FELICETTI;

udito l’Avvocato Stefano SANTARELLI per delega dell’avvocato Gabriele

Pafundi;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale dott. IANNELLI

Domenico che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La SECAB Società Cooperativa in data 27 luglio 1982 chiese la concessione a derivare dal torrente (OMISSIS), nel territorio del Comune di (OMISSIS) una certa quantità d’acqua da trasformare in energia elettrica. In data (OMISSIS) fu sottoscritto il relativo disciplinare, dove all’art. 13 fu stabilito che la ditta concessionaria “ai sensi della L. n. 7 del 1977, art. 3 è tenuta all’osservanza della L. n. 1377 del 1956 e pertanto è assoggettabile alla corresponsione del canone annuo che la competente autorità finanziaria potrà stabilire in applicazione dell’art. 1 della Legge predetta a favore dei Comuni rivieraschi e rispettive Province. A tali effetti sono rivieraschi i Comuni di Paluzza e Cercivento e la Provincia di Udine”. La concessione fu disposta con decreto del 27 febbraio 1990. La provincia di Udine, in data 27 giugno 2003, trasmise alla SECAB un decreto dell’Agenzia del Demanio con il quale fu stabilita l’entità del sovracanone, dei canoni arretrati e la suddivisione di essi tra la Provincia e i su detti Comuni, a far data dal 1981 per un importo complessivo di Euro 51.938,50. Il decreto e la comunicazione con la richiesta di pagamento furono impugnati dalla SECAB dinanzi al TRAP di Venezia che – in contraddittorio con la Provincia e i Comuni interessati, nonchè con l’Agenzia del Demanio e il Ministero delle Finanze – respinse il ricorso, salvo che riguardo alla eccezione di prescrizione dei canoni maturatisi sino al 27 giugno 1998.

Ritenne in particolare che anche le piccole derivazioni sono soggette al sovracanone, che questo era dovuto dal rilascio della concessione e che l’atto impositivo era legittimo. La sentenza fu impugnata dalla SECAB dinanzi al TSAP, insistendo sull’illegittimità dell’imposizione dei sovracanoni e sulla richiesta di disapplicazione sotto vari profili formali, nonchè per non essere i sovracanoni applicabili ai titolari di piccole derivazioni, quale era quella oggetto della concessione ed essere comunque dovuti dalla data di utilizzazione dell’impianto e non da quella della concessione. Le controparti resistettero al gravame senza proporre alcun appello incidentale. Il TSAP, con sentenza depositata il 12 gennaio 2009, rigettò il gravame. La SECAB ha proposto ricorso a questa Corte avverso tale sentenza, con atto notificato il 15/17 febbraio 2010 alla Provincia di Udine, al Comune di Cercivento, al Comune di Paluzza, all’Agenzia del Demanio e al Ministero delle Finanze formulando otto motivi. La Provincia di Udine, il Comune di Paluzza e il Comune di Cercivento resistono con controricorso notificato il 25/27 marzo 2010 alle controparti. Hanno anche depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va pregiudizialmente rigettata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso formulata dai controricorrenti in quanto l’odierna ricorrente, nel proporre il giudizio dinanzi al TRAP avrebbe originariamente domandato l’annullamento dei provvedimenti impugnati e solo successivamente, nel corso del procedimento dinanzi al TRAP avrebbe chiesto la disapplicazione dei provvedimenti impugnati, con declaratoria che nessun importo era dovuto e restituzione delle somme versate. Il TRAP, infatti, ha interpretato la domanda come domanda di accertamento dell’illegittimità degli atti impugnati ai fini della loro disapplicazione e affermato al riguardo la propria giurisdizione, senza che in proposito sia stato proposto appello incidentale, con la formazione del giudicato su tali punti e con la conseguente infondatezza dell’eccezione ora sollevata.

2.Con il primo motivo si denuncia la violazione della L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5 in relazione al R.D. n. 1775 del 1933, art. 200. Si deduce che il TSAP avrebbe errato nel ritenere che il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo può essere esercitato dal giudice ordinario solo nei giudizi fra privati e cioè in quelli in cui non sia parte la p.a.. Tale affermazione sarebbe contraria al dato normativo e contraddetta dalla giurisprudenza della cassazione. Si cita al riguardo la sentenza n. 18263 del 2004 di queste sezioni unite. Si rileva, inoltre, che nel caso di specie l’atto amministrativo del quale si chiedeva la disapplicazione riguardava il diritto dei soggetti beneficiari del sovracanone, i quali nel rapporto con la SECAB (odierna ricorrente) oggetto del giudizio non si trovavano in un rapporto pubblicistico, ma privatistico. Si formula il seguente quesito: “Dica la Corte se in applicazione della L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5 l’AGO può disconoscere incidenter tantum la validità di un atto amministrativo e quindi disapplicarlo perchè illegittimo e soprattutto quando dallo stesso sorge una onerosa prestazione patrimoniale per la parte incisa.” Il motivo va dichiarato inammissibile, avendo la sentenza impugnata ritenuto “non precluso nella fattispecie il potere di disapplicazione dei primi giudici, anche se esso non è stato esercitato in concreto” e per avere conseguentemente esaminato i motivi prospettati dall’odierna ricorrente ai fini della disapplicazione richiesta, rigettandoli nel merito.

3.Con il secondo motivo si denuncia la violazione della L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5 della L. n. 241 del 1990, art. 7 e del R.D. n. 1775 del 1933, art. 53 in relazione all’art. 200 dello stesso R.D., per avere la sentenza impugnata rigettato il secondo motivo di appello, relativo al mancato avviso dell’avvio del procedimento, non avendo l’Agenzia del Demanio comunicato alla SECAB l’inizio del procedimento per l’imposizione dei sovracanoni, privandola della possibilità d’intervenire nel relativo procedimento, con conseguente nullità del provvedimento adottato. Si deduce al riguardo che il TSAP aveva errato sia ne considerare non dovuto l’avviso dell’inizio del procedimento, sia nel ritenere che la comunicazione della provincia di Udine alla SECAB della richiesta al Ministero delle Finanze di determinare la misura del sovracanone fosse idonea a permetterle d’intervenire nel procedimento, mentre l’avviso di procedimento deve venire dall’autorità che deve emanare l’atto e contenere il nominativo del responsabile del procedimento. Si formulano in proposito i seguenti quesiti: “Dica la Corte se alla luce della L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5 della L. n. 241 del 1990, art. 7 del R.D. n. 1775 del 1933, art. 53 e art. 97 Cost. la mancata comunicazione dell’avvio di procedimento renda l’atto emanato in violazione di quel principio illegittimo e se quindi l’AGO possa disapplicarlo per evitare la lesione dei diritti soggettivi della parte privata incisa dal provvedimento”. “Dica la Corte se nel caso di specie l’invio per mera conoscenza alla concessionaria dell’atto con cui la Provincia di Udine invitava l’Agenzia del Demanio a provvedere alla determinazione di sovracanoni possa costituire equipollente all’avviso di avvio del procedimento o se invece occorra un espresso esplicito avviso dell’Ente impositore e unico legittimato a eventualmente imporre il sovracanone e a indicare il responsabile del procedimento”.

Il motivo è infondato.

Il TSAP, nel rigettare il secondo motivo dell’appello – con il quale si lamentava il mancato avviso dell’avvio del procedimento, non avendo l’Agenzia del Demanio comunicato alla SECAB l’inizio del procedimento per l’imposizione dei sovracanoni, con conseguente nullità del provvedimento adottato – ha ritenuto, fra l’altro, “palese che la comunicazione dalla Provincia di Udine alla concessionaria della propria istanza al Ministero delle Finanze di determinare la misura dei sovracanoni ha consentito alla parte interessata d’interloquire sulla stessa determinazione e di opporsi ad essa nei modi di legge” ed ha condiviso l’affermazione del giudice di primo grado secondo la quale l’avviso ricevuto aveva consentito alla SECAB “di partecipare al contraddittorio svoltosi nel procedimento, esercitando ogni diritto di cui poteva fruire per effetto dell’avviso di cui lamenta la mancanza”.

Questa Corte, con sentenza 24 febbraio 2011, n. 4447, in fattispecie analoga, ha ritenuto che costituisca accertamento di fatto quello compiuto dal TSAP in relazione alla idoneità dell’invio al concessionario della richiesta dell’Ente locale t indirizzata all’Amministrazione statale di determinare i sovracanoni a svolgere la funzione cui è preordinato l’avviso di avvio del procedimento, che è quella di consentire agl’interessati d’interloquire al riguardo a tutela dei propri interessi. Ciò in applicazione del principio di equipollenza al rituale avviso di avvio del procedimento ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 8 di atti che abbiano comunque reso edotto l’interessato dell’inizio del procedimento ponendolo in condizione di parteciparvi.

Nel caso di specie il TSAP ha compiuto detto accertamento in fatto e la ricorrente non ha offerto elementi decisivi atti a dimostrare che la comunicazione su detta, in quanto non proveniente dall’Autorità che ha emesso l’atto impugnato, non le aveva consentito d’intervenire nel procedimento a tutela dei propri interessi, come invece il TSAP ha affermato nella sentenza impugnata. Ne deriva il rigetto del secondo motivo e tale rigetto, relativo a una “ratio decidendi” idonea da sola a sorreggere la motivazione della sentenza impugnata, rende inammissibile il settimo motivo, che censura un’ulteriore “ratio decidendi” al riguardo.

4.Con il terzo motivo si denuncia la violazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 53 e della L. n. 241 del 1990, art. 16 per avere erroneamente il TSAP ritenuto l’inammissibilità del motivo, in quanto non formulato nel grado precedente, con il quale era stata dedotta la mancata audizione del parere del Consiglio Superiore dei lavori pubblici, obbligatorio nel procedimento in questione. Il motivo, infatti, era stato formulato a pag. 18 e segg. del ricorso al TRAP e detto parere era obbligatorio a norma del R.D. n. 1775 del 1933, art. 53 stante la necessità di cognizioni tecniche, come rilevato dalla sentenza n. 257 del 1982 della Corte costituzionale e dalla sentenza n. 2483 del 1965 di queste sezioni unite. Si formula in proposito il seguente quesito: “Dica la Corte se l’errore di avere considerato come esposta, per la prima volta una domanda solo in grado di appello, mentre invece era stata ritualmente proposta in primo grado ed averla conseguentemente non presa in considerazione non costituisca un motivo di nullità della sentenza specie se concerne un motivo fondamentale”. “Dica conseguentemente se nel procedimento previsto dal R.D. n. 1775 del 1933, art. 53 il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici sia obbligatorio”. “Dica altresì se la conseguenza della mancata acquisizione di quel parere renda illegittimo l’atto amministrativo che dovrebbe contenerlo o comunque tenerne conto con espliciti richiami”.

Il motivo è inammissibile, prospettandosi con esso un errore revocatorio, non deducibile in questa sede, sostanziandosi la censura con esso formulata nella deduzione dell’avere la decisione impugnata posto a base del “decisum” censurato un fatto diverso da quello che si assume incontroversamente risultante dagli atti.

5.Con il quarto motivo si denuncia la violazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 53 come mod. dalla L. n. 1377 del 1956 e delle norme sul giusto procedimento, nonchè della L. n. 241 del 1990, art. 3 per non avere l’Agenzia del Demanio svolto alcuna istruttoria e per la mancanza assoluta di motivazione. Si deduce che in effetti non si sarebbe svolto alcun procedimento. Si formula in proposito il seguente quesito: “Dica la Corte se in un procedimento amministrativo altamente discrezionale sull’an e sul quantum è necessario lo svolgimento di apposita istruttoria”. “Dica se il non aver pronunciato in merito all’assenza d’istruttoria e compiuta motivazione costituisca vizio ex art. 364 c.p.c., nn. 4 e 5”.

Il motivo è inammissibile, non censurandosi con esso specificamente alcun punto o statuizione della sentenza impugnata in relazione ad un motivo di gravame proposto al TSAP e da questo non esaminato.

6.Con il quinto motivo si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5 contraddittoria motivazione e travisamento dei fatti in relazione all’interpretazione della domanda e dei motivi di appello. Si lamenta che il TSAP abbia ritenuto il primo motivo d’appello inammissibile, per non essere chiaro se al TRAP fosse stata chiesta la disapplicazione del provvedimento determinativo del sovracanone perchè non motivato. Si deduce che, invece, il motivo era stato formulato in primo grado, a pag. 18 del ricorso, dove si lamentava la mancanza d’istruttoria e di motivazione, in relazione alla determinazione del canone nella misura massima consentita, mentre la stessa imposizione del canone, oltre che la sua misura, erano discrezionali e andavano rapportati alla redditività dell’impianto e agl’ipotetici danni agli enti territoriali, come prescritto dal R.D. n. 1775 del 1933, art. 53. Si formula il seguente quesito: “Dica la Corte se l’errore di avere considerato come esposta per la prima volta una domanda solo in grado di appello mentre invece era stata proposta in primo grado e averla conseguentemente non presa in considerazione non costituisca un motivo di nullità della sentenza, specie se concernente un motivo fondamentale”.

Con il sesto motivo si denuncia la violazione della L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5, della L. n. 241 del 1990, art. 3 e del R.D. n. 1775 del 1933, art. 53 in relazione all’art. 200 dello stesso R.D., per avere il TSAP, esaminando il primo motivo del ricorso, relativo al difetto di motivazione del provvedimento impositivo del sovracanone, ritenuto che esso era infondato ponendosi con esso una domanda di disapplicazione non consentita riguardando un atto discrezionale dell’Amministrazione. Viceversa la disapplicazione, mentre non può riguardare il merito dell’atto amministrativo, può riguardare tutti i vizi di legittimità di esso e nel caso di specie era stato dedotto un vizio di motivazione e non una censura relativa al suo merito. Si formula il seguente quesito: “Dica la Corte se ai fini della disapplicazione in via incidentale dell’atto amministrativo il g.o. possa sindacare il difetto di motivazione dell’atto: e ciò anche in considerazione de fatto che la motivazione costituisce un requisito essenziale per la legittimità del relativo provvedimento amministrativo, soprattutto quando come nel presente caso il provvedimento non è obbligatorio ma solo eventuale e ampiamente discrezionale”.

I due motivi vanno esaminati congiuntamente. Il quinto va dichiarato inammissibile, non avendo in effetti, in concreto, il TSAP accertato che il difetto di motivazione non fosse stato dedotto in primo grado, avendo ciò affermato solo in via eventuale, prendendo poi in concreto in esame nel merito la censura.

Il sesto è fondato. Erroneamente, infatti, il TSAP ha ritenuto che ai fini della disapplicazione dell’atto amministrativo il giudice ordinano non possa rilevare la carenza assoluta di istruttoria e motivazione in ordine all’atto amministrativo del quale si chiede la disapplicazione, trattandosi di vizio di legittimità e non di merito – come erroneamente affermato dal TSAP – ed essendo l’atto d’imposizione del sovracanone, ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 53 dopo l’entrata in vigore della L. n. 925 del 1980 che ne ha determinato in misura predeterminata l’eventuale ammontare, un atto discrezionale nell'”an”.

7. Con l’ottavo motivo si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5 contraddittoria motivazione e travisamento dei fatti in relazione all’interpretazione della domanda e dei motivi di appello e all’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., per avere il TSAP erroneamente ritenuto inammissibile il profilo di gravame relativo al difetto assoluto di potere dell’Agenzia delle Entrate all’emissione del provvedimento di determinazione dei sovracanoni e dell’ordine di pagamento, non essendo stata detta Agenzia convenuta in giudizio, mentre il provvedimento era stato emesso dall’Agenzia del Demanio (solo per mero errore materiale, di chiara evidenza, indicata nel secondo motivo di appello come Agenzia delle Entrate) regolarmente citata sin dal primo grado. Si formula il seguente quesito: “Dica la Corte se la sentenza del TSAP nel non considerare citata in giudizio l’Agenzia che ha emesso l’atto impugnato mentre invece era stata ritualmente evocata in giudizio fin dal primo grado, non costituisca motivo di nullità della sentenza, specie se riguarda un motivo fondamentale attinente alla regolarità del contraddicono”.

II motivo è inammissibile, prospettandosi con esso cumulativamente vizi di violazione di legge (processuale) e motivazionali, non concludendosi con un quesito ad esso rapportabile con riferimento alla duplicità delle censure ed alla specificità della fattispecie.

8. La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio, in relazione al motivo accolto, al TSAP in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese e farà applicazione del seguente principio di diritto: “Ai fini della disapplicazione dell’atto amministrativo d’imposizione del sovracanone, ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 53 il giudice ordinario può rilevarne la carenza assoluta di istruttoria e motivazione trattandosi di vizio di legittimità e non di merito”.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Dichiara inammissibili il primo, il terzo, il quarto, il quinto, il settimo e l’ottavo motivo. Dichiara non fondato il secondo motivo.

Accoglie il sesto motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese al Tribunale Superiore per le acque pubbliche in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle sezioni unite civili, 10 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2011

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