Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11962 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. III, 19/06/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 19/06/2020), n.11962

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27612/2019 proposto da:

T.S., elettivamente domiciliato a Cuneo, Viale Angeli 24,

presso l’avv. Barbaro Alessandra che lo difende in virtù di procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino 17.6.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4

marzo 2020 dal Consigliere relatore Dott. Rossetti Marco.

Fatto

FATTI DI CAUSA

T.S., cittadino maliano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, ex D.Lgs. n. 19 novembre 2007, n. 251, art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ex D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il Mali per timore di essere ucciso dal capovillaggio, il quale per impossessarsi di un fondo aveva già ucciso il padre dell’odierno ricorrente;

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento T.S. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso al Tribunale di Torino (deve ritenersi un refuso l’indicazione, a pagina 2 del ricorso, della presentazione del ricorso introduttivo del presente giudizio dinanzi al tribunale di Catanzaro), che lo rigettò;

l’ordinanza di primo grado, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Torino con sentenza 17.6.2019;

a fondamento della propria decisione la Corte d’appello ritenne che:

-) il motivo d’appello con cui si censurava la mancata audizione dell’interessato era infondato, avendo il Tribunale la facoltà, ma non l’obbligo, di interrogare il richiedente asilo, e tale facoltà nella specie era stata legittimamente esercitata;

-) la protezione sussidiaria ex D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) o b) non poteva essere concessa perchè nel racconto del richiedente non emergevano fatti persecutori;

-) la protezione sussidiaria ex D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) non poteva essere concessa perchè in Mali non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria, infine, non poteva essere concessa in quanto non ricorrevano nella specie situazioni particolari di vulnerabilità;

tale sentenza è stata impugnata per cassazione da T.S. con ricorso fondato su due motivi;

il Ministero dell’Interno non si è difeso;

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, nonchè dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 28 luglio 1951.

Deduce che, rigettando la domanda di protezione sussidiaria, la Corte d’appello avrebbe commesso i seguenti errori:

-) avrebbe violato il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e l’art. 1 della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, nella parte in cui da un lato ha ritenuto inverosimile e stereotipato il racconto del ricorrente, e dall’altro ha rigettato la sua istanza di essere ascoltato;

-) non ha tenuto conto delle fonti nazionali e internazionali dalle quali emerge che in Mali esiste una condizione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, la quale costituisce minaccia grave per la vita alla salute degli abitanti.

Dopo aver illustrato tali ragioni, l’esposizione del motivo passa a discorrere della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, e deduce che anche tale domanda sarebbe stata erroneamente rigettata dalla Corte d’appello.

In questo caso l’errore commesso dalla Corte d’appello sarebbe consistito nel fatto che questa ha trascurato di considerare il lungo periodo di soggiorno trascorso in Italia dal ricorrente; la conseguita stabilità lavorativa; la raggiunta integrazione; “l’osservanza delle norme” da parte del richiedente asilo.

1.1. Nella parte in cui lamenta l’erroneità del rigetto della domanda di protezione sussidiaria il ricorso è inammissibile, con riferimento alle ipotesi di cui alle lettere a) e b) di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, per mancanza di illustrazione.

Il ricorrente, infatti, non espone mai, in alcun punto del proprio ricorso, se e quali rischi di persecuzione per le ragioni indicate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), abbia dedotto in giudizio.

1.2. Nella parte in cui lamenta l’erroneità del rigetto della domanda di protezione sussidiaria con riferimento all’ipotesi di cui al citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) il motivo è del pari inammissibile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4.

La Corte d’appello, infatti, ha dedicato una amplissima illustrazione (pagine 7-17 della sentenza impugnata) a descrivere le condizioni socio-politiche, economiche e geografiche del Mali. Ha analiticamente localizzato la regione di provenienza dell’odierno ricorrente, ha escluso che in tale regione esista una guerra in corso; ha citato a sostegno di questa conclusione quattordici diverse fonti bibliografiche, provenienti dalle più autorevoli organizzazioni internazionali od associazioni non governative attive nel campo dei diritti umani.

A fronte di tale ampia motivazione, con cui la sentenza d’appello ha esposto le ragioni per le quali nella regione di provenienza del richiedente asilo non esiste una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, il ricorrente non formula alcuna seria censura, limitandosi a sostenere che la situazione di violenza indiscriminata da lui invocata a fondamento della propria domanda di protezione sussidiaria emergerebbe proprio dalle fonti citate dalla Corte d’appello nella propria sentenza. Una censura, dunque, che si risolve in una tautologia, e non soddisfa il requisito di analitica indicazione dei motivi di ricorso, richiesto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 4.

I rilievi che precedono rendono altresì inammissibile, per difetto di rilevanza, la censura con cui il ricorrente si duole del giudizio di inattendibilità del proprio racconto contenuto nella sentenza impugnata.

Ed infatti, essendo immune dalle censure prospettate dal ricorrente la valutazione con cui la Corte d’appello ha reputato insussistente, nella regione di provenienza dell’odierno ricorrente, una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, diventa irrilevante stabilire se la versione dei fatti da lui fornita, ai fini della domanda di protezione sussidiaria, corrisponda o meno a verità.

1.3. Nella parte, infine, in cui censura il rigetto della domanda di protezione umanitaria il motivo è inammissibile, per violazione del precetto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6: il ricorrente infatti non indica quando abbia allegato in giudizio, e come abbia dimostrato, le tre circostanze di fatto che si assumono trascurate (il lungo soggiorno in Italia, la stabilità lavorativa, l’integrazione, l’osservanza delle norme).

2. Col secondo motivo il ricorrente prospetta (formalmente) il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 Ad onta di tale allegazione nella illustrazione del motivo, che si compendia in sole cinque righe, si sostiene che la Corte d’appello “ha omesso di sentire personalmente il ricorrente benchè la sua deposizione fosse significativa ed avrebbe potuto portare elementi decisivi di giudizio”.

2.1. Il motivo è inammissibile per totale difetto di illustrazione. Il ricorrente infatti non indica quali “elementi decisivi” avrebbe rivelato alla Corte d’appello, se fosse stato interrogato.

2.2. In ogni caso il motivo sarebbe stato infondato nel merito, se del merito si fosse potuto in questa sede discorrere.

Il giudizio di opposizione alle decisioni della Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale era disciplinato, in origine, dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35.

Tale norma prevedeva espressamente, al comma 10, che il Tribunale decidesse sull’opposizione “sentite le parti”, mentre il successivo comma 13 estendeva tale previsione ai giudizi d’appello.

In seguito il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, commi 10 e 13 vennero abrogati dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 34, comma 20, lett. (c), e la materia venne disciplinata dall’art. 19 di quest’ultimo decreto, il quale non previde più espressamente l’obbligo del Tribunale di “sentire le parti”, limitandosi a stabilire che l’impugnazione della decisione della Commissione Territoriale avvenisse con le forme del rito sommario, le quali (artt. 702 bis e 702 ter c.p.c.) non prevedono affatto l’obbligo del giudice di sentire le parti personalmente.

Tale norma, oggi pur essa abrogata, era quella vigente all’epoca in cui il giudizio di opposizione venne introdotto dall’odierno ricorrente (2017).

Da un lato, dunque, in base al diritto applicabile ratione temporis la Corte d’appello non aveva l’obbligo di sentire le parti, ma solo la facoltà di farlo; dall’altro lato, l’eventuale cattivo esercizio di tale facoltà da parte del giudice d’appello non potrebbe essere sindacato in questa sede, riguardando un atto rimesso alla discrezionalità del giudice di merito (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 3003 del 07/02/2018, Rv. 647297 – 01); in terzo luogo qualsiasi eventuale nullità processuale verificatasi nel corso del giudizio d’appello, per potere condurre alla cassazione della sentenza impugnata, deve aver prodotto un vulnus alle ragioni della difesa di chi la invoca, pregiudizio che nel caso di specie non viene neanche prospettato.

Non sarà superfluo aggiungere che l’odierno ricorrente venne interrogato dal giudice di primo grado (lo dichiara lui stesso nel ricorso), sicchè non potrebbe oggi dolersi nè di non essere stato messo in condizione di rappresentare personalmente le proprie istanze all’organo giudicante.

Irrilevante, poi, è la circostanza che il giudice di primo grado, allorchè interrogò l’odierno ricorrente, si sia limitato a chiedergli la conferma di quanto già dichiarato per iscritto dinanzi la Commissione Territoriale, dal momento che in quella sede nulla avrebbe impedito al ricorrente di compiere tutte le dichiarazioni che avesse voluto.

3. Non è luogo a provvedere sulle spese, poichè la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

3.1. Il rigetto del ricorso non comporta l’obbligo del pagamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto non sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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