Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11962 del 17/05/2010

Cassazione civile sez. III, 17/05/2010, (ud. 07/04/2010, dep. 17/05/2010), n.11962

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11754-2006 proposto da:

F.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA C. FACCHINETTI 13, presso lo studio dell’avvocato AMODIO

FERNANDO, che lo rappresenta e difende con delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

P.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 48, presso lo studio dell’avvocato AMITRANO

MARGARETH, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CORVASCE FRANCESCO con delega a argine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 337/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA, Quarta

Sezione Civile, emessa il 25/01/2005; depositata il 23/02/2005;

R.G.N. 1911/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2010 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato AMITRANO MARGARETGH;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’iter processuale può essere così ricostruito sulla base della sentenza impugnata.

Con ricorso del 12 novembre 1997 F.F., premesso di avere condotto in locazione a uso abitativo un immobile sito in (OMISSIS), di proprietà di P. C., pagando mensilmente, a titolo di pigione, la somma di L. 800.000, di gran lunga superiore a quella legalmente dovuta, chiedeva al Pretore di Roma che, previa determinazione del canone equo, il locatore venisse condannato alla restituzione degli importi percepiti in eccedenza.

Resisteva il P., il quale eccepiva che la locazione era stata stipulata per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria del conduttore, con conseguente inapplicabilità del regime locatizio ordinario di cui alla L. n. 392 del 1978. Spiegava inoltre domanda riconvenzionale al fine di conseguire il pagamento della somma di lire sette milioni dovuta per canoni insoluti.

Con sentenza del 20 marzo 2002 il Tribunale, in accoglimento della domanda attrice, condannava il locatore alla restituzione della somma di Euro 13.000,25 (pari alla differenza tra L. 32.172.000, pagate in eccedenza, e L. 7.000.000, delle quali il ricorrente si era riconosciuto debitore), oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

Proposto gravame dal P., la Corte d’appello, in data 23 febbraio 2005, in riforma della decisione impugnata, rigettava la domanda del F., condannandolo al pagamento della somma di Euro 3.615,20, oltre accessori e spese del doppio grado.

Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione F. F. formulando due motivi.

Resiste con controricorso P.C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Col primo motivo l’impugnante denuncia violazione degli artt. 2697 cod. civ. e 116 cod. proc. civ., per avere il giudice di merito basato il proprio convincimento solo su alcune risultanze istruttorie, senza valutare l’intero complesso della piattaforma probatoria e, soprattutto, valorizzando ingiustificatamente le deposizioni dei testi di parte appellante, a tutto scapito di quelli di controparte. Peraltro la prova orale era supportata anche da quella documentale, dimostrativa degli impegni di studio e di lavoro del F..

1.2 Col secondo mezzo il ricorrente lamenta vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale giustificato il proprio convincimento richiamando solo alcuni elementi probatori a esclusione di altri.

2.1 Le censure, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro evidente connessione, sono infondate.

Il giudice di merito ha motivato il suo convincimento rilevando che dalle deposizioni dei testi escussi era emerso che il F., al momento della stipula del contratto, aveva manifestato l’intenzione di prendere in locazione l’appartamento per esigenze abitative di natura transitoria, segnatamente al fine di ospitarvi i genitori che spesso si recavano a (OMISSIS) per sottoporsi a visite mediche, nonchè per coltivare propri interessi di carattere religioso e sociale.

Secondo il decidente dell’attendibilità di tali testi non v’era ragione di dubitare, considerato che gli stessi avevano assistito alla stipula del contratto, mentre indimostrato era rimasto che il locatore fosse venuto a conoscenza – all’epoca o successivamente – della funzionalità della locazione alla soddisfazione di esigenze abitative primarie e normali del conduttore, il quale, oltre a essere iscritto all’Università di (OMISSIS), lavorava presso una cooperativa sociale di assistenza a portatori di handicap. 2.2 Ritiene il collegio che la decisione impugnata costituisca coerente e corretta applicazione del principio per cui il conduttore il quale, dedotta la obiettiva inesistenza delle esigenze abitative transitorie menzionate nel contratto, chieda la restituzione di quanto pagato in eccedenza rispetto al canone legale, ha l’onere di provare che il locatore, in base alla situazione di fatto da lui conosciuta al momento della stipula, era in grado di valutare l’inesistenza delle condizioni ivi prospettate, di talchè la scelta negoziale non aveva avuto, in realtà, altro scopo che quello di eludere la normativa sull’equo canone (Cass. civ., 8 marzo 2007, n. 5332; Cass. civ. 30 marzo 2001, n. 4727).

Peraltro l’esito negativo di tale valutazione è stato argomentato dalla Corte territoriale con un apparato argomentativo logicamente corretto ed esente da aporie o da contrasti disarticolanti tra emergenze fattuali e qualificazione giuridica adottata.

La circostanza che siffatto giudizio non risponda alle aspettative della parte o che non instauri tra i dati emersi nel corso del processo il collegamento ritenuto più opportuno e più appagante, non costituisce elemento idoneo a infirmare la scelta operata in dispositivo, in quanto tutto ciò rimane all’interno della possibilità di valutazione dei fatti, e, non contrastando con la logica e con le leggi della razionalità, appartiene all’insindacabile apprezzamento del giudice di merito. Valga in proposito ricordare che il vizio di mancanza o insufficienza della motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del decidente, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza di nessi logici, mentre il vizio di contraddittorietà presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione adottata. Questi vizi non possono tuttavia mai consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui alla prova è assegnato un valore legale (Cass. n. 02869 del 26.02.2003; Cass. civ., Sez. lavoro, 06/03/2008, n. 6064).

2.3 In ogni caso entrambi i motivi appaiono eccentrici rispetto alla ratio decidendi del provvedimento impugnato. Lo sforzo argomentativo del ricorrente è invero volto a dimostrare il malgoverno delle risultanze istruttorie in punto di stabilità delle esigenze abitative del conduttore, senza considerare che rilevante, ai fini che qui interessano, è esclusivamente la conoscenza, o quanto meno la conoscibilità, secondo criteri di comune buon senso e di ragionevole apprezzamento del contesto fattuale di riferimento, che delle stesse abbia avuto la controparte.

3 In definitiva il ricorso deve essere respinto.

Il ricorrente rifonderà alla controparte costituita le spese del giudizio nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in complessivi Euro 1.200 (di cui Euro 200 per spese), oltre IVA e CPA, come per legge.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2010

 

 

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