Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11960 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. II, 06/05/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 06/05/2021), n.11960

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26722/2019 proposto da:

L.M., rappresentato e difeso dall’avv. ANTONELLA MACALUSO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), IN PERSONA DEL MINISTRO PRO

TEMPORE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 68/2019 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 01/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/01/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– la Corte d’appello di Caltanissetta, rigettò l’impugnazione proposta da L.M. avverso la decisione del Tribunale che aveva rigettato il reclamo dal medesimo proposto avverso il provvedimento di diniego della chiesta protezione internazionale da parte della competente Commissione amministrativa, evidenziando quanto segue:

– il richiedente, proveniente dal Pakistan (Punjab), aveva narrato che avendo avuto un’occasionale rapporto omosessuale con il figlio del sindaco, suo padre era stato ucciso ed egli era fuggito, senza aver motivo di ritornare perchè in Patria non aveva più nessuno;

– la Corte locale giudicava il racconto inattendibile, evidenziando che il narrante aveva indicato date discordanti a riguardo della morte del padre, non aveva fornito alcun dettaglio della vicenda, affermato di non essere omosessuale e che s’era trattato di un occasionale sbaglio;

– dalle COI consultate non era dato trarre che nella zona di provenienza (Punjab) fosse riscontrabile una situazione di violenza diffusa e incontrollabile;

– quanto alla protezione umanitaria, l’istante non aveva allegato alcuna qualificata integrazione in Italia;

ritenuto che il L. ricorre sulla base di tre censure avverso la statuizione d’appello e che il Ministero dell’Interno resiste con controricorso;

considerato che il primo motivo, con il quale il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. c) e artt. 5, 7 e 8, anche in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per avere la Corte d’appello giudicato inverosimili i fatti narrati, senza tener conto del diritto fondamentale all’orientamento sessuale, più volte ribadito in sede di giustizia unionale e da questa Corte e della repressione penale dell’omosessualità vigente in Pakistan, non supera il vaglio di legittimità, poichè non attinge la ratio decisoria, stante che la Corte locale non ha posto in dubbio il principio e tantomeno affermato che nel Paese d’origine vi sia libertà di coltivazione di un orientamento omosessuale, ma, ben diversamente, ha escluso che il narrato fosse da reputare credibile in ordine alla narrazione;

considerato che il secondo motivo, con il quale il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, nonchè omesso esame di un fatto controverso e decisivo, per avere la decisione negato sussistere una situazione di conflitto armato o di una delle ipotesi ad essa assimilata dalla legge, è inammissibile, in quanto:

a) la Corte locale chiarisce, quanto alla situazione in Pakistan, con particolare riguardo alla zona di provenienza (Punjab), che dalle COI aggiornate era dato escludere la sussistenza di quella situazione di violenza diffusa e incontrollata evocata dal ricorrente; in definitiva risultava evidenziata una condizione di sottosviluppo e d’instabilità del Paese, diffusa, peraltro, purtroppo in molte regioni del mondo, ma non la situazione di particolare criticità dalla quale può conseguire il diritto alla protezione sussidiaria;

b) il Giudice del merito, quindi, ha deciso applicando il principio enunciato da questa Corte, la quale ha avuto modo di chiarire che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria; il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6, n. 18306, 08/07/2019, Rv. 654719);

c) piuttosto palesemente le critiche sono rivolte al controllo motivazionale, in spregio al contenuto dell’art. 360 c.p.c., vigente n. 5, difatti, invece che porre in rilievo l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo o l’assenza di giustificazione argomentativa della decisione, con le stesse il ricorrente, contrappone al ragionato esame della Corte il proprio avverso convincimento;

considerato che il terzo motivo, con il quale viene allegata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2,5, comma 6 e art. 19, comma 1, nonchè omesso esame di un fatto controverso e decisivo, per essere stato negato il diritto alla protezione umanitaria, assumendosi che la condizione d’omosessualità avrebbe perlomeno imposto il riconoscimento dell’anzidetta forma di protezione minore, è del pari inammissibile, avendo il ricorrente, anche a riguardo dell’esposta censura, ancora una volta, omesso di attingere la ratio decisoria (non risultava credibile che l’immigrato fosse omosessuale) e nel resto essendosi limitato a considerazioni generali sulle condizioni di sottosviluppo del Paese d’origine, non correlate alla situazione individuale del ricorrente;

considerato che la giurisprudenza della Corte è ormai costante nel ritenere che l’art. 366 c.p.c., n. 4, si applichi, specularmente, anche al controricorso (Cass. n. 12171/09 ed ivi richiamo a Cass. n. 5400/06; cfr. anche Cass. nn. 6222/12 e 3421/97); ciò, tuttavia non significa affatto pretendere, al fine di valutarne l’ammissibilità, che il controricorso debba contenere dei propri “motivi” specifici e speculari rispetto a quelli del ricorso, nè tanto meno che contrattacchi la decisione con altre autonome argomentazioni, ma semplicemente esigere che esso contenga una sia pur minima confutazione del ricorso, in qualunque modo articolata, purchè la sua giustapposizione alla vicenda oggetto di ricorso non sia affidata alla sola deduzione logica della Corte sulla sola base dell’indicazione dei dati di riferimento della causa (numero d’iscrizione a ruolo, nomi delle parti, decisione impugnata);

che, pertanto, specificato in punto di diritto che: “ove il controricorso (…), a dispetto della indicazione della causa alla quale si riferisce, risulti privo di forza individualizzante, constando di uno schema avversativo “di genere”, sprovvisto cioè di concreta attitudine di contrasto, attraverso l’esposizione di argomenti specificamente indirizzati a quella vicenda e a quella decisione e posti a confronto di quel ricorso, non assolve al suo scopo”, deve reputarsi che il controricorso qui al vaglio sia estraneo al genus, e per esso non può essere riconosciuto il diritto al rimborso delle spese; considerato che sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto;

che di recente questa Corte a sezioni unite, dopo avere affermato la natura tributaria del debito gravante sulla parte in ordine al pagamento del cd. doppio contributo, ha, altresì chiarito che la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero – per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio (come in questo caso) – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, per la revoca dell’ammissione (S.U. n. 4315, 20/2/2020).

PQM

dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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