Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11959 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. III, 19/06/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 19/06/2020), n.11959

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27868/19 proposto da:

S.E., elettivamente domiciliato all’indirizzo PEC del proprio

difensore, avvocatessa Valentina Sassano

(valentinasassano.pec.ordineavvocatitorino.it), che lo rappresenta e

difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino 11.1.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4

marzo 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.E., cittadino gambiano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, ex D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ex D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento dell’istanza dedusse di avere avuto un diverbio per ragioni di vicinato con una persona che, essendo stata ferita in occasione di una lite, era poi deceduta; e che in conseguenza di questo fatto aveva lasciato il Gambia per timore di essere accusato di quell’omicidio;

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento S.E. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso al Tribunale, che lo rigettò;

la sentenza di primo grado, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Torino con sentenza 11.1.2019;

per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello rigettò il gravame sul punto del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari osservando che “nessuna considerazione è stata svolta in sede di appello in merito a una situazione di vulnerabilità in cui verserebbe l’appellante”;

tale sentenza è stata impugnata per cassazione da S.E. con ricorso fondato su un motivo;

ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Deduce che la Corte d’appello, nel rigettare il relativo motivo di gravame, non avrebbe tenuto conto dell’avvenuto inserimento sociale e lavorativo del ricorrente nel nostro Paese.

Detto ciò, l’illustrazione del motivo prosegue collazionando tre brani estratti da una sentenza della Corte di cassazione, nella quale si afferma il principio che l’avvenuto inserimento sociale e lavorativo dello straniero può essere valorizzato come presupposto per la concessione del permesso di soggiorno per motivi sanitari.

1.1. Il ricorso è inammissibile.

Esso infatti prescinde dalla ratio decidendi sottesa dalla sentenza impugnata.

Questa ha ritenuto (pagina 4, terzo capoverso) che l’appellante nulla aveva dedotto, nel secondo grado di giudizio, in merito alla situazione di vulnerabilità in cui verrebbe a trovarsi nel caso di rientro in patria (nè, del resto, il ricorso espone in che termini e con quali censure era stato proposto appello avverso il rigetto della domanda di protezione umanitaria pronunciato dal Tribunale).

La sentenza impugnata, pertanto, non ha esaminato nel merito la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ma ha ritenuto che quella domanda non fosse stata riproposta in appello (e solo ad abundantiam la Corte d’appello ha poi aggiunto le ulteriori osservazioni di cui si duole l’odierno ricorrente).

Giusta o sbagliata che fosse tale valutazione, essa si sarebbe dovuta impugnare con un motivo ad hoc, che tuttavia non è stato proposto: il ricorrente, infatti, come già detto, ha puntato le proprie critiche unicamente sul merito della propria domanda, ma non la sola preliminare valutazione di mancata riproposizione in appello di essa.

2. Non è luogo a provvedere sulle spese, poichè la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

2.1. Il rigetto del ricorso comporta l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

Non rileva la circostanza che il ricorrente abbia chiesto l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, poichè in atti non è stata prodotta alcuna delibera di ammissione al suddetto beneficio.

PQM

la Corte di cassazione:

dichiara inammissibile il ricorso;

dà atto che sussistono, allo stato, i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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