Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11959 del 06/05/2021

Cassazione civile sez. II, 06/05/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 06/05/2021), n.11959

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27296/2019 R.G. proposto da:

M.Q., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma,

alla via Conca d’Oro, n. 184/190, presso lo studio dell’avvocato

Maurizio Discepolo, che lo rappresenta e difende in virtù di

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, c.f. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 10362/2019 del Tribunale di Ancona;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 15 dicembre 2020 del

Consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. M.Q., cittadino del (OMISSIS), originario del distretto di (OMISSIS), di religione musulmana, formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che a seguito della morte del nonno materno erano sorti, per la divisione dell’eredità, dissidi tra la sua famiglia e lo zio materno, dissidi culminati nell’incendio dell’abitazione familiare da parte dello zio e nelle violenze che lo zio gli aveva adoperato.

Esponeva che la vita nel villaggio d’origine era segnata da problemi di violenza e droga, tant’è che aveva subito nella moschea un tentativo di violenza sessuale.

Esponeva che per tali ragioni aveva deciso, quando era ancora minorenne, di lasciare il paese d’origine ed aveva raggiunto l’Italia nel 2015.

2. La competente Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale con provvedimento del 6.4.2017 rigettava l’istanza.

3. Il Tribunale di Ancona rigettava il ricorso proposto da M.Q. avverso il provvedimento del 6.4.2017.

4. In data 13.6.2018 M.Q. formulava nuova istanza di protezione internazionale.

5. La competente Commissione Territoriale con provvedimento del 30.10.2018 dichiarava l’istanza inammissibile.

6. Con Decreto n. 10362/2019 il Tribunale di Ancona respingeva il ricorso proposto da M.Q. avverso il provvedimento del 30.10.2018.

Evidenziava il tribunale che dalle risultanze dei rapporti internazionali – quali quello dell'”UNHCR”, pubblicato nel maggio del 2017, e quello dell'”EASO”, pubblicato ad agosto del 2017 – si desumeva che la sicurezza in Pakistan era senz’altro migliorata in dipendenza della diminuzione degli attacchi terroristici; che, in particolare, la situazione del Panjab, regione di provenienza del ricorrente, era di sostanziale stabilità.

Evidenziava d’altra parte che, ai fini del buon esito della reiterata domanda di protezione, l’istante non aveva allegato elementi nuovi, idonei ad accrescere la probabilità di accoglimento della formulata istanza, siccome aveva rappresentato la medesima vicenda esposta in precedenza, nè aveva esplicitato le ragioni per le quali non aveva precedentemente addotto i pretesi nuovi elementi di valutazione.

Evidenziava comunque che lo stabile rapporto di lavoro di cui M.Q. aveva dato riscontro, non solo non costituiva nuova risultanza, ma neppure valeva a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria, siccome l’esistenza di un rapporto di lavoro non comporta di per sè il diritto alla forma residuale di protezione internazionale.

7. Avverso tale decreto ha proposto ricorso M.Q.; ne ha chiesto sulla base di quattro motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente ai soli fini della partecipazione all’eventuale udienza di discussione.

8. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 29 e 32, la nullità della decisione della commissione territoriale, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, l’eccesso di potere, la carenza, l’insufficienza, l’illogicità e l’ingiustizia manifesta della motivazione.

Premette che con il ricorso al Tribunale di Ancona aveva eccepito la nullità della decisione della commissione territoriale in data 30.10.2018, siccome la commissione non gli aveva accordato il termine di tre giorni per la presentazione di nuove memorie, così pregiudicando il suo diritto di difesa.

Indi deduce che il tribunale non si è pronunciato in ordine a tale eccezione, viepiù che la concessione di un termine gli avrebbe consentito l’allegazione delle buste-paga successive alla reiterazione della domanda.

9. Il primo motivo di ricorso va respinto.

10. Non assume rilievo alcuno la prefigurata omissione di pronuncia, giacchè non assumono alcun rilievo le nullità eventualmente inficiati l’iter procedimentale innanzi alla commissione territoriale ed il provvedimento finale della medesima commissione.

11. Al riguardo è sufficiente il riferimento all’insegnamento di questa Corte.

Ovvero all’insegnamento secondo cui, in tema di immigrazione, la nullità del provvedimento amministrativo di diniego della protezione internazionale, reso dalla commissione territoriale, non ha autonoma rilevanza nel giudizio introdotto dal ricorso al tribunale avverso il predetto provvedimento, poichè tale procedimento ha ad oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata, sicchè deve pervenire alla decisione sulla spettanza, o meno, del diritto stesso e non può limitarsi al mero annullamento del diniego amministrativo (cfr. Cass. (ord.) 3.9.2014, n. 18632; Cass. 6.10.2017, n. 23472; Cass. (ord.) 27.6.2019, n. 17318).

12. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29 e dell’art. 40, parr. 3 e 4, della direttiva 2013/32/UE.

Deduce che all’atto della proposizione della precedente domanda di protezione internazionale non avrebbe potuto produrre, siccome ancora d’età minore, la prova dei contratti di lavoro e le relative “buste-paga”.

Deduce che l’allegazione del contratto di lavoro all’uopo siglato ed, in pari tempo, le scarse condizioni di sicurezza del Pakistan costituiscono senza dubbio nuovi elementi di valutazione.

Deduce che ha dato prova di essersi pienamente integrato, anche grazie al lavoro svolto, nel contesto socioeconomico italiano.

13. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Deduce che il tribunale non si è avvalso di fonti di informazioni aggiornate, allorchè ha negato la protezione sussidiaria dell’art. 14 cit., ex lett. c).

Deduce che esiste un clima di forte tensione tra India e Pakistan, destinato a sfociare in un conflitto; che nella regione di sua provenienza, il Punjab, continua il conflitto tra talebani e popolazione locale; che dal rapporto “EASO” per l’anno 2018 si evince che il numero delle vittime è tuttora elevato.

Deduce ulteriormente che i reports menzionati dal tribunale fanno tutti riferimento all’anno 2017 e non sono attuali.

14. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 3 e 4 Cost., la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, D.P.R. n. 349 del 1999, art. 11, lett. c) ter e art. 28, lett. d), dell’art. 19, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Deduce che ha errato il tribunale a negare la protezione umanitaria.

Deduce che dal maggio 2018 ha sempre lavorato in Italia, parla l’italiano e si è così garantito un buon tenore di vita; che, qualora rimpatriato, non avrebbe in Pakistan alcuna prospettiva di lavoro, non potrebbe contare sul sostegno familiare e sarebbe esposto a pericoli in considerazione del clima di tensione esistente nel suo paese d’origine.

15. I rilievi, che la delibazione del secondo, del terzo e del quarto motivo di ricorso postula, tendono, per ampia parte, a sovrapporsi e a riproporsi; il che suggerisce la disamina simultanea dei medesimi mezzi di impugnazione, mezzi che, in ogni caso, sono da rigettare.

16. Vanno, in premessa, ribaditi gli insegnamenti di questa Corte.

Ovvero l’insegnamento secondo cui, in tema di protezione internazionale, i “nuovi elementi”, alla cui allegazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29, lett. b), subordina l’ammissibilità della reiterazione della domanda di tutela, possono consistere, oltre che in nuovi fatti di persecuzione (o comunque in nuovi fatti costitutivi del diritto) successivi al rigetto della domanda da parte della competente commissione, anche in nuove prove dei medesimi fatti costitutivi, purchè il richiedente non abbia potuto, senza sua colpa, produrle in precedenza in sede amministrativa o in quella giurisdizionale, mediante l’introduzione del procedimento di cui all’art. 35 del D.Lgs. cit. (cfr. Cass. (ord.) 9.7.2019, n. 18440 (Rv. 654657-01)).

Ovvero l’insegnamento secondo cui, in caso di reiterazione della domanda, dopo che si sia già svolto un precedente giudizio diretto al riconoscimento della protezione internazionale, il richiedente asilo, a pena di inammissibilità della nuova istanza, è tenuto ad indicare le ragioni per cui, senza colpa, non ha potuto addurre i “nuovi elementi” indicati dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29, comma 1, lett. b), nel giudizio inizialmente proposto, atteso che quest’ultimo ha ad oggetto non già l’impugnazione del provvedimento di diniego della commissione, ma il riconoscimento del diritto alla protezione invocata, sicchè, in esso, è possibile integrare le originarie deduzioni svolte in sede amministrativa (cfr. Cass. (ord.) 9.7.2019, n. 18440 (Rv. 654657-02)).

17. In questo quadro, con precipuo riferimento alla protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c), ovviamente l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” implica un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito, censurabile, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064).

18. Cosicchè, nel solco dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed alla luce dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, non può che rappresentarsi quanto segue.

Per un verso, nessuna “anomalia motivazionale” si scorge in ordine alle motivazioni alla stregua delle quali il tribunale ha disconosciuto la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c).

Per altro verso, pur ad ammettere che il rapporto “EASO” 2018 menzionato dal ricorrente (cfr. ricorso pagg. 15 – 16) abbia un carattere di “novità”, è innegabile comunque che i riferimenti al Punjab, regione di origine del ricorrente, non sono significativi (è richiamato, tra l’altro, un articolo apparso nell'(OMISSIS) sul quotidiano “(OMISSIS)”, quanto asserito dalla “(OMISSIS)” e quanto riferito da taluni non meglio qualificati funzionari appartenenti alle forze di sicurezza in un articolo apparso sul quotidiano pakistano “(OMISSIS)”).

Per altro verso ancora, il carattere di possibile “novità” del report “EASO” 2018 si stempera incisivamente, se si tiene conto che comunque, allorchè ha denegato la “sussidiaria” ex lett. c), il tribunale ha fatto riferimento a fonti di informazione che si proiettano sino al secondo semestre del 2018 (cfr. decreto impugnato, pagg. 2 – 3).

19. Con precipuo riguardo alla protezione umanitaria non può non rimarcarsi che l’impossibilità di comprovare in precedenza, in occasione della proposizione della pregressa istanza di protezione internazionale, il rapporto di lavoro è correlata del tutto genericamente, sic et simpliciter, alla minore età, all’epoca, del ricorrente.

20. In ogni caso non può non porsi in risalto quanto segue.

21. Indiscutibilmente, in modo precipuo con il quarto motivo, il ricorrente censura il giudizio “di fatto” cui, in punto di “umanitaria”, il tribunale marchigiano ha comunque atteso, giudizio “di fatto” inevitabilmente postulato dalla valutazione comparativa, caso per caso, necessaria ai fini del riscontro della condizione di “vulnerabilità” – e soggettiva e oggettiva – del richiedente.

22. Ebbene, in quest’ottica, similmente nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, nessuna ipotesi di “anomalia motivazionale” inficia le motivazioni, pur in parte qua, dell’impugnato dictum.

23. D’altro canto, il ricorrente indiscutibilmente sollecita questa Corte al riesame delle risultanze istruttorie.

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

24. Il Ministero dell’Interno sostanzialmente non ha svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso, pertanto, nessuna statuizione in ordine alle spese va assunta.

25. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021

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