Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11958 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. III, 19/06/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 19/06/2020), n.11958

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28055/19 proposto da:

I.F., elettivamente domiciliato a Gramsci n. 22, presso

l’avvocatessa Rosa Vignali che lo difende in virtù di procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino 20.5.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4

marzo 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

I.F., cittadino pakistano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, ex D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ex D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il Pakistan in quanto, avendo assistito ad atti di violenza commessi arbitrariamente dalla polizia locale, decise di testimoniare su quanto aveva veduto; ed in conseguenza di questa sua scelta iniziò a ricevere “visite a casa e minacce di morte”;

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento I.F. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso al Tribunale, che lo rigettò;

la sentenza di primo grado, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Torino con sentenza 20.5.2019;

a fondamento della propria decisione la Corte d’appello ritenne che:

-) era superfluo reiterare l’audizione in appello del richiedente asilo, in quanto quest’ultimo nè aveva censurato le modalità con cui l’audizione si era svolta dinanzi alla commissione territoriale, nè aveva indicato elementi rilevanti rispetto ai quali sarebbe stato necessario un approfondimento da compiere attraverso l’audizione;

-) il racconto del richiedente asilo era implausibile e quindi non credibile;

-) la protezione sussidiaria ex D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) non poteva essere concessa perchè:

-) l’appello sul punto era inammissibile per aspecificità, ai sensi dell’art. 342 c.p.c. (così la sentenza d’appello, pagina 12, terzo capoverso);

-) in ogni caso, e ad abundantiam, perchè in Pakistan non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato (la Corte d’appello richiama un rapporto EASO del 2017, e si sofferma (pagina 11, ultimo capoverso) in particolare sulla regione di provenienza del richiedente, il Punjab);

-) la protezione umanitaria, infine, non poteva essere concessa in quanto: a) il ricorrente non aveva prospettato alcuna particolare situazione riconducibile alle previsioni del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; b) in ogni caso le COI già esaminate con riferimento alla domanda di protezione sussidiaria dimostravano che il richiedente non era esposto, nel caso di rimpatrio, ad una condizione di vulnerabilità; c) lo svolgimento di attività lavorativa in Italia da parte del richiedente non poteva, di per sè, giustificare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

tale sentenza è stata impugnata per cassazione da I.F. con ricorso fondato su tre motivi;

il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35.

Sostiene che il procedimento e la sentenza di appello sarebbero nulli perchè il giudice di secondo grado avrebbe illegittimamente rigettato la richiesta di audizione personale formulata dal ricorrente, nonostante quest’ultimo non fosse stato ascoltato neanche in primo grado.

1.1. Il motivo è infondato.

Il giudizio di opposizione alle decisioni della Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale era disciplinato, in origine, dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35.

Tale norma prevedeva espressamente, al comma 10, che il Tribunale decidesse sull’opposizione “sentite le parti”, mentre il successivo comma 13 estendeva tale previsione ai giudizi d’appello.

In seguito il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, commi 10 e 13 vennero abrogati dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 34, comma 20, lett. c), e la materia venne disciplinata dall’art. 19 di quest’ultimo decreto, il quale non previde più espressamente l’obbligo del Tribunale di “sentire le parti”, limitandosi a stabilire che l’impugnazione della decisione della Commissione Territoriale avvenisse con le forme del rito sommario, le quali (artt. 702 bis e 702 ter c.p.c.) non prevedono affatto l’obbligo del giudice di sentire le parti personalmente.

Tale norma, oggi pur essa abrogata, era quella vigente all’epoca in cui il giudizio di opposizione venne introdotto dall’odierno ricorrente (2017).

1.2. Da un lato, dunque, in base al diritto applicabile ratione temporis la Corte d’appello non aveva l’obbligo di sentire le parti, ma solo la facoltà di farlo; dall’altro lato, l’eventuale cattivo esercizio di tale facoltà da parte del giudice d’appello non potrebbe essere sindacato in questa sede, riguardando un atto rimesso alla discrezionalità del giudice di merito (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 3003 del 07/02/2018, Rv. 647297 – 01); in terzo luogo qualsiasi eventuale nullità processuale verificatasi nel corso del giudizio d’appello, per potere condurre alla cassazione della sentenza impugnata, deve aver prodotto un vulnus alle ragioni della difesa di chi la invoca, pregiudizio che nel caso di specie non viene neanche prospettato.

1.3. Tali principi sono stati già ripetutamente affermati da questa Corte. la quale ha ripetutamente affermato che “nel procedimento in grado d’appello relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10 che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 3003 del 07/02/2018, Rv. 647297 – 01; nello stesso senso, in seguito ed ex multis, Sez. 1, Ordinanza n. 4377 del 20.2.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 2353 del 3.2.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 1380 del 22.1.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 33176 del 16.12.2019).

Avverso tale giurisprudenza, della quale pure il ricorrente si dichiara consapevole (p. 11 del ricorso), il ricorso non muove rilievi tali da giustificarne il superamento, limitandosi a sostenere che le prime pronunce nelle quali quel principio venne affermato sarebbero sostanzialmente apodittiche. Il che, per quanto appena esposto, non corrisponde a verità.

2. Col secondo motivo il ricorrente impugna il rigetto della domanda di protezione sussidiaria, e lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Il motivo contiene varie censure così riassumibili:

-) avrebbe errato la Corte d’appello nel rigettare la domanda di protezione sussidiaria sul presupposto della non credibilità del richiedente asilo, mentre avrebbe invece dovuto analizzare le condizioni oggettive del paese di provenienza;

-) “sin dal ricorso di primo grado” il richiedente aveva indicato le fonti che testimoniavano la situazione di grave compromissione della sicurezza in Pakistan.

2.1. Il motivo è inammissibile per più ragioni.

In primo luogo è inammissibile perchè trascura di considerare che la Corte d’appello (indicata come “corte d’appello di Catanzaro2 a p. 13 del ricorso), con autonoma ratio decidendi, aveva reputato inammissibile, ex art. 342 c.p.c., l’appello con riferimento al rigetto della domanda di protezione sussidiaria.

Tale ratio decidendi non viene censurata dal ricorso.

2.2. In secondo luogo il motivo è inammissibile perchè prescinde dal contenuto effettivo della sentenza d’appello: la Corte d’appello, infatti, sia pure con motivazione ad abundantiam, non ha affatto rigettato la domanda di protezione sussidiaria sul presupposto della non credibilità del richiedente, ma l’ha rigettata sul diverso presupposto che nella regione di provenienza del richiedente asilo non esisterebbe una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato.

2.3. In terzo luogo, il motivo è inammissibile perchè, a fronte delle numerose COI citate dalla Corte d’appello a fondamento della propria decisione, il ricorrente non indica per quali ragioni quelle fonti si sarebbero dovute ritenere inattendibili o non aggiornate.

3. Col terzo motivo il ricorrente impugna il rigetto della domanda di protezione umanitaria.

Sostiene che erroneamente la Corte d’appello ha rigettato la relativa domanda, in quanto il ricorrente al momento della decisione d’appello si trovava da cinque anni in Italia, “il che appare un dato evidentemente non trascurabile in una qualsivoglia valutazione di inserimento nel territorio nazionale”; sicchè “la prova dell’integrazione sociale è stata documentalmente ben fornita”.

3.1. Il motivo è inammissibile, in quanto prescinde dalla ratio decidendi della sentenza impugnata, rappresentata dalla mancanza di allegazioni, nel giudizio di appello, delle circostanze specifiche giustificative della domanda di protezione umanitaria: affermazione che non viene censurata con il ricorso per cassazione.

4. Non è luogo a provvedere sulle spese, poichè la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

4.1. Il rigetto del ricorso comporta l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

Non rileva la circostanza che il ricorrente abbia chiesto l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, poichè in atti non è stata prodotta alcuna delibera di ammissione al suddetto beneficio.

PQM

La Corte di cassazione:

dichiara inammissibile il ricorso;

dà atto che sussistono, allo stato, i presupposti previsti dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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