Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11956 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. III, 19/06/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 19/06/2020), n.11956

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27928-2019 proposto da:

D.A., nato in (OMISSIS), rappresentato e difeso

dall’avv.to Maria Monica Bassan con studio in Padova, via Buonarroti

n. 2 (maria.bassan.aordineavvocatibadova.it), giusta procura

speciale allegata al ricorso, e domiciliato in Roma piazza Cavour

presso la cancelleria civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di VENEZIA n 875/2019

depositato il 7.03.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

4.03.2020 dal Cons. Dr. Antonella Di Florio.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

1. D.A., cittadino gambiano, ricorre affidandosi a tre motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Venezia che aveva confermato l’ordinanza del Tribunale con cui era stata rigettata l’impugnazione proposta avverso il provvedimento di diniego della Commissione Territoriale di Verona-sez. Padova,dinanzi alla quale aveva avanzato la domanda di protezione internazionale declinata, in via gradata, nelle forme dello stato di rifugiato, della “protezione sussidiaria” ex D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e della protezione umanitaria ex D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

1.1.Per ciò che qui interessa, il ricorrente ha narrato di essere giunto in Italia nel 2015 ancora minorenne, a seguito di transito in Libia, e di essere fuggito dal proprio paese in quanto, orfano di padre in giovane età aveva dovuto prendersi cura del terreno di famiglia sul quale aveva involontariamente provocato un incendio che si era espanso anche nel terreno dei vicini, bruciandone gran parte e provocando la morte di una bambina. Temendo di essere arrestato e di dover subire il regime carcerario disumano ivi esistente, si era allontanato dal paese di origine, recandosi dapprima in Senegal e, successivamente, attraverso il transito in Mali, Burkina Faso e Libia, era giunto in Italia.

2. Il Ministero dell’Interno non si è difeso chiedendo di poter partecipare all’udienza di discussione ex art. 370 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

1.Con il primo motivo,il ricorrente censura il provvedimento impugnato nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto non credibile il suo racconto: deduce, al riguardo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, assumendo che non erano stati rispettati i canoni previsti della norma richiamata.

1.1. Critica la valutazione delle emergenze istruttorie, e si duole anche che la Corte territoriale, in merito al mandato di arresto prodotto, lo aveva apoditticamente ritenuto contraffatto.

1.2. Il motivo è inammissibile per mancanza di autosufficienza.

La Corte territoriale, infatti, dopo aver esaminato la normativa vigente (pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata), ha motivato la propria decisione dando atto che l’atto d’appello non conteneva allegazioni idoneee a porre in discussione il giudizio espresso dal Tribunale sull’inattendibilità del D. (cfr. pag. 12 terzo cpv): al riguardo, si osserva che la censura proposta manca della trascrizione,nel corpo del ricorso, del corrispondete motivo di gravame in mancanza del quale non è consentito a questa Corte di apprezzare la violazione dedotta.

1.3. E vale solo la pena di rilevare che, per quanto riguarda la nuova produzione in appello del mandato d’arresto, risulta che la Corte territoriale lo abbia adeguatamente esaminato, rilevandone la contraffazione e facendone emergere la contraddizione con le altre emergenze istruttorie, riconducibili anche alle dichiarazioni dello stesso ricorrente che non aveva mai menzionato persone informate sui fatti nel corso dell’audizione, ed aveva anzi sostenuto di non essere rimasto in contatto con nessuno nel paese di origine (cfr. pagg. 12 e 13 della sentenza impugnata): tale valutazione che non presenta vizi logici è incensurabile in sede di legittimità, anche perchè attiene alla complessiva valutazione di credibilità del richiedente sulla quale, come rilevato dalla Corte, mancava la trascrizione della corrispondente censura.

2.Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 e art. 14, lett. b) e il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis: critica il provvedimento impugnato nella parte in cui ha ritenuto insussistenti i presupposti di fatto per la concessione della protezione sussidiaria.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. La censura, infatti, non coglie la ratio decidendi della pronuncia – che ha ritenuto che non ricorressero i presupposti della misura invocata (e cioè la condanna alla pena di morte o la sottoposizione a tortura o a trattamenti disumani e degradanti, o a violenza indiscriminata derivante da conflitto armato)-riproponendo la propria vicenda personale ed i rischi che da essa potevano derivare rispetto al pericolo di essere condannato a pena detentiva: tale prospettazione, tuttavia, fuoriesce dal perimetro della protezione maggiore invocata, in quanto attiene ad una vicenda privata, risalente nel tempo, in relazione alla quale la detenzione temuta, vista l’inammissibilità di ogni diversa valutazione del mandato di arresto prodotto, rappresenta una mera ipotesi.

3. Con il terzo motivo,infine, il ricorrentededuce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e art. 5, comma 6 TUI: censura il provvedimento impugnato nella parte in cui ha rigettato la sua domanda di protezione umanitaria, non valutando la situazione del suo paese di origine e senza tenere conto del percorso di integrazione da lui intrapreso in Italia.

3.1. Si osserva, preliminarmente che le censure prospettate, pur ricondotte alla violazione di legge, riguardano, nel complesso, la sostanziale “apparenza” della motivazione che il ricorrente assume essere stata resa attraverso un percorso logico che non ha dato realmente conto dei motivi del rigetto della domanda di protezione umanitaria: ha dedotto, al riguardo, che non erano stati affatto esaminati gli elementi dedotti a fondamento della sua vulnerabilità; che era stata del tutto ignorata la documentazione prodotta a sostegno della sua integrazione in Italia, riferita alla attività lavorativa svolta; e che mancava, pertanto, un percorso argomentativo logicamente comprensibile e giuridicamente idoneo a sostenere la reiezione della sua istanza di protezione individualizzata.

3.2. Sintetizzato come sopra il motivo di ricorso, una corretta qualificazione di esso rispetto alle censure prospettate consente alla Corte di ricondurlo nell’alveo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, concernente l’ipotesi di nullità della sentenza, che ricomprende quella riferibile ad una motivazione inesistente, resa, cioè, attraverso una mera apparenza argomentativa.

3.3. Deve, al riguardo, richiamarsi preliminarmente l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte che ha affermato, con riferimento all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, che “ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” ((cfr. al riguardo Cass. 9105/2017 ed ancor prima Cass. 1370/2013; Cass. 24553/2013 e Cass. 23381/2017).

3.4. In tal modo riqualificato, il motivo è fondato.

L’avvenuta ed effettiva integrazione del ricorrente, infatti, può giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria se il rientro in patria del richiedente asilo, rispetto alla situazione nella quale dovrebbe andare a ricollocarsi, possa incidere sul “nucleo ineliminabile” dei diritti fondamentali della persona: nel caso in esame tale vulnus è stato apoditticamente escluso, con motivazione invero apparente.

3.5. La Corte, infatti, non ha tenuto conto nè della circostanza che il richiedente, orfano nel paese di origine, era giunto in Italia quando era minorenne, nè della sua integrazione che, in ragione del radicamento in età adolescenziale, assume una valenza ancora maggiore in termini di inserimento linguistico e culturale; nè ha dato conto dell’attività lavorativa svolta, comprovata dalla documentazione prodotta (cfr. infra doc. 11 allegati, il contratto di lavoro a tempo determinato della durata di dieci mesi e la successiva proroga annuale, ancora in corso alla data della decisione, stipulato alle dipendenze della (OMISSIS) in (OMISSIS), con mansioni di manovale all’assemblaggio meccanico).

3.6. In giudici d’appello, inoltre, hanno respinto la domanda di protezione umanitaria assumendo che non si potesse prescindere dalla credibilità delle dichiarazioni del ricorrente ed omettendo di considerare che questa Corte ha condivisibilmente affermato che “il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente, in relazione alla specifica situazione dedotta a sostegno della domanda di protezione internazionale, non può precludere la valutazione, da parte del giudice, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, delle diverse circostanze che concretizzino una situazione di “vulnerabilità”, da effettuarsi su base oggettiva e, se necessario, previa integrazione anche officiosa delle allegazioni del ricorrente, in applicazione del principio di cooperazione istruttoria, in quanto il riconoscimento del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, deve essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente al rigetto delle altre domande di protezione internazionale, attesa la strutturale diversità dei relativi presupposti.” (Cass. 10922/2019; in argomento, quanto, in particolare, al beneficio del dubbio, cfr. ancora la recentissima Cass. 7545/2020).

3.7. Il Collegio intende dare seguito a tale principio, con la conseguenza che il giudizio di comparazione, per la misura individualizzante invocata, non potrà tenere conto dei dubbi sulla attendibilità del richiedente e dovrà procedere comunque alla valutazione comparativa postulata dai più recenti arresti di legittimità (Sez. un., Sentenza n. 24960 del 13/11/2019; nello stesso senso, in precedenza, Sez. 1, Ordinanza n. 21280 del 09/08/2019; Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298)fra la situazione di integrazione nel paese di accoglienza ed i rischi di compromissione dei diritti fondamentali nel paese di origine, senza che ciò possa essere semplicisticamente considerato – come affermato dalla Corte l’aspirazione a realizzare il “diritto di essere felici”, visto che le tutele invocate si fondano su situazioni ben più drammatiche della speranza di “un migliore stile di vita” e sono volte ad ottenere il rispetto dei canoni minimi della dignità umana.

3.8. E, vale solo la pena di rilevare che a fronte di tali erronee affermazioni, non risulta esaminata dalla Corte territoriale, sulla base di fonti informative aggiornate alla data della decisione, la situazione esistente all’interno del paese relativa al rispetto dei diritti umani, dovendosi ribadire, al riguardo, l’orientamento di questa Corte (inaugurato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, seguito, tra le altre, da Cass. 19 aprile 2019, n. 11110 e da Cass. n. 12082/19, e culminato in Cass. SU 24960/2019 sopra richiamata) che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa, ex art. 8 CEDU, tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale.

4. In conclusione, la sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e rinviata alla Corte d’Appello di Venezia perchè, in diversa composizione, riesamini la controversia alla luce dei principii di diritto sopra evidenziati, provvedendo ad effettuare il doveroso giudizio di comparazione fra il livello di integrazione, anche lavorativa, raggiunta dal ricorrente in Italia e la condizione esistente all’interno del suo paese di origine relativa al rispetto del nucleo ineliminabile dei diritti umani, tenendo conto della sua storia individuale.

5. La Corte di rinvio dovrà altresì decidere in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il terzo motivo di ricorso; dichiara inammissibili gli altri.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione per il riesame della controversia ed anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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