Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11954 del 17/05/2010

Cassazione civile sez. III, 17/05/2010, (ud. 02/03/2010, dep. 17/05/2010), n.11954

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13443-2006 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

ADRIANA 11, presso lo studio dell’avvocato GIURATO UGO, rappresentato

e difeso dall’avvocato RICCIARDOLO ALFIO giusta delega in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

B.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA OSLAVIA 39/F, presso lo studio dell’avvocato TINELLI

ALEANDRO, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine dei

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 995/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, 1^

SEZIONE CIVILE, emessa il 13/7/2005, depositata il 07/10/2005, R.G.N.

994/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2010 dal Consigliere Dott. ALBERTO TALEVI;

udito l’Avvocato ALFIO RICCIARDOLO;

udito l’Avvocato ALEANDRO TINELLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nell’impugnata decisione lo svolgimento del processo è esposto come segue.

“Con atto di citazione notificato in data 5.6.2001, P. A. conveniva in giudizio B.C. e proponeva appello avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Catania, in composizione monocratica, in data 22.2.2000 con la quale il Tribunale medesimo aveva in atto domanda attrice per essere prescritto il relativo diritto, aveva rigettato la domanda di convenzionale del convenuto ed aveva integralmente compensato tra le parti le spese processuali.

A sostegno dell’impugnazione, parte appellante deduceva i motivi che possono succintamente riassumersi nei seguenti punti.

1) Ha errato il giudice di primo grado nel non ammettere i due mezzi istruttori richiesti e cioè l’interrogatorio formale e la prova testimoniale perchè sarebbe mancato, a suo dire, il requisito della specificità, come richiesto con dagli artt. 230 e 244 cod. proc. civ.. Infatti con l’interrogatorio formale si tendeva a fare confessare al convenuto che in vane circostanze egli aveva riconosciuto di dovere la somma richiesta in citazione e di avere promesso il pagamento. Correlativamente, con la prova testimoniale si intendevano provare gli stessi fatti. Per altro, circostanza determinante è che nel corso del periodo di prescrizione si siano verificati fatti interrutivi tali da fare e ricominciare il computo dei termini prescrizionali; e nel caso che ci occupa ne sarebbe stato sufficiente uno solo ai fini di paralizzare l’eccezione di prescrizione proposta. La migliore specificazione dei momenti e dei luoghi in cui detti atti sono avvenuti, poteva essere chiarita dal convenuto o dal leste indicato su specifica domanda del decidente. Si chiede, pertanto che sul punto la sentenza sia riformata nel senso cioè che vengano ammessi i mezzi istruttori richiesti perchè rilevanti ai fini della decisione.

2) Ha errato il Tribunale nel non accogliere la domanda che, comunque, doveva essere accolta, anche se il rigetto è da considerare consequenziale al mancato accoglimento dei mezzi istruttori.

Ciò premesso, parie appellante concludeva nei termini sopra riportati e chiedeva, pertanto, che questa Corte riformasse o annullasse la sentenza impugnata e condannasse controparte al rimborso delle spese e dei compensi di entrambi i gradi del giudizio.

Costituitasi in giudizio, parte appellata contestava quanto dedotto da controparte e, in via incidentale, proponeva appello assumendo che la sentenza di primo grado è in esatta solo nel punto relativo alle spese del giudizio che, per la soccombenza dell’attore, andavano poste a di lui carico. Chiedeva, pertanto, il rigetto dell’appello principale, l’accoglimento di quello incidentale da esso B. proposto nonchè la condanna di controparte al pagamento delle spese processuali anche di questo grado dei giudizio.

lenivano, poi, ammessi dal collegio i mezzi istruttori chiesti, già in primo grado, da parte appellante e veniva quindi assunto l’interrogatorio formale deferito al B. e la prova testimoniale sui medesimi capitoli.

In sede, infine, di precisazione delle conclusioni B.C. deferiva al P. il giuramento decisorio sul seguente capitolo: “giuri e giurando neghi o affermi di aver ricevuto dal sig. B.C. negli anni (OMISSIS) la complessiva somma di L. 350.000,000″.

Quindi, precisate all’udienza del 11.2.2005, le conclusioni sopra riportate, la causa veniva dal collegio ritenuta per la decisione con i termini di legge per il deposito di comparse conclusionali ed eventuali memorie di replica”.

Con sentenza 13.7 – 7.10.2005 la Corte di Appello di Catania, definitivamente pronunciando, decideva come segue.

“… rigetta l’appello principale e quello incidentale e conferma la sentenza impugnata.

Condanna, altresì, parte appellante al rimborso, in favore di parte appellata, di due terzi delle spese processuali di questo grado del giudizio (rimanendo il restante terzo compensato), spese che, nell’intero, liquida nella somma complessiva di Euro 4.389,00, di cui Euro 740.00 per diritti di procuratore ed Euro 3.250,00 per onorario di avvocato, oltre CPA ed IVA come per legge.”.

Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione P.A..

Ha resistito con controricorso B.C..

Ciascuna delle due parti ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due motivi di ricorso vanno esaminati insieme in quanto connessi.

Con il primo motivo P.A. denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2944 c.c., e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5)” esponendo domande da riassumere come segue. La Corte territoriale erroneamente ha ritenuto che il comportamento tenuto dal B.C. nell’occasione descritta dal teste C. nella sua deposizione, non potesse integrare la fattispecie del riconoscimento del diritto solo sulla base del fatto che in seguito alla richiesta di restituzione della somma da parte de P., il B. non negò di dovere detta somma, forse interpretando tale non negazione come silenzio o come indifferenza; senza considerare che anche un comportamento passivo può configurare il riconoscimento del diritto, se esso è stato tenuto dinnanzi ad un atto non equivoco, come è la richiesta di restituzione di una somma di denaro, della quale peraltro si e consapevoli di essere debitori (sulla esistenza del credito non esiste dubbio alcuno). La sentenza n. 12833/1909 dai giudici di appello citata espone l’opposto di quanto sostenuto dalla Corte di appello.

Con il secondo motivo P.A.d. “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2944 ex. con riferimento all’art. 2733 c.c. (confessione giudiziale) e art. 2721 c.c. (prova testimoniale) art. 115 c.p.c. (disponibilità delle prove e fatti notori) e art. 116 c.p.c., (valutazione delle prove) (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)” esponendo doglianze da riassumere nel modo seguente. La Corte, dopo avere ammesso l’interrogatorio formale e la prova testimoniale, ritenendoli certamente rilevanti, in sede di decisione ha manifestato delle gravi perplessità su dette due prove con ciò esplicitamente o, comunque, implicitamente, svalutando la rilevanza di tali mezzi istruttori e cadendo sul punto in una palese contraddizione. Il giudice di appello, nel riportare testualmente la deposizione del C. da un canto ha quasi voluto evidenziarne la genericità, perchè il teste non avrebbe fatto alcun riferimento di luogo e anche di tempo, e dall’altro ha però ammesso che il P. richiese, almeno in quella circostanza, indicata dal C., la restituzione della somma e il conteggio degli interessi. Il teste invece è stato molto preciso nel localizzare temporalmente l’episodio e cioè l’estate del (OMISSIS).

E che la richiesta di restituzione e il riconoscimento siano avvenuti in un luogo o in un altro, non ha rilevanza. Ciò che rileva è che essi siano stati fatti entro il termine di prescrizione. Il B. in sede di interrogatorio mentì, avendo negato che il ricorrente gli avesse richiesto la restituzione della somma. In ciò è stato smentito dal teste C.. Il suo comportamento doveva essere censurato e valutato negativamente (ai sensi dell’art. 116 c.p.c.) dalla Corte. La bugia del B. infatti si è riflessa anche sulla seconda espressione (relativa al riconoscimento del diritto) e ne ha confermato la piena valenza. In sede di deposizione il teste C. afferma; “Il B. in tale occasione non negò di dovere restituire quella somma, ma si limitò a chiedere tempo rispondendo ci vediamo”.

Ritiene il ricorrente che il teste abbia usato una espressione impropria (in effetti egli intendeva riferire che il B. riconobbe il credito del P. e chiese tempo per definirlo).

Se il B. avesse voluto contestare la richiesta non avrebbe “non negato” ma avrebbe “negato” puramente e semplicemente, nè avrebbe richiesto tempo. La Corte sostiene che l’espressione riferita da teste era da considerare incerta ed equivoca in quanto in realtà il B. “volle disimpegnarsi dalla conversazione pronunciando un ci vediamo” che, specialmente nell’uso dialettale siciliano, non soltanto ha un indubbio carattere evasivo, ma assume, non di rado, anche un significato di negazione, intendendosi spesso, con tale espressione, troncare un discorso al quale il soggetto non attribuisce o non vuole attribuire ne capo nè coda o che vuole comunque respingere e contestare anche se non ritiene opportuno di farli in quella circostanza di tempo e di luogo” (pag. 9 della sentenza). Il dialetto siciliano e il richiamo ad esso non possono considerarsi fatti notori. Non si comprende perchè mai la Corte si sia avventurata in una esegesi di due semplici parole, per pervenire ad una conclusione che stride con il senso comune delle parole stesse e che addirittura contrasta con l’altra frase riferita dal teste; la Corte ha dimenticato totalmente di riportale la frase “ma si limitò a chiedere tempo”.

Le doglianze sopra riassunte (e le altre non riportate per brevità) non possono essere accolte.

Molte censure sono inammissibili (prima ancora che prive di pregio) in quanto, al di là della formale prospettazione, in realtà si basano semplicemente su una diversa valutazione delle risultanze processuali (cfr. tra le altre Cass. Sentenza n 42 del 07/01/2009:

“La valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le vane risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti”).

Comunque l’impugnata decisione (in ogni suo punto) si sottrae al sindacato di legittimità in quanto fondata su una motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione.

In particolare va rilevato che: -A) se si interpreta correttamente l’impugnata decisione si rileva che in realtà i giudici dell’appello non seguono principi di diritto contrari a quelli enunciati in Cass. n. 12833/1999 cit. e segg., ma fanno invece buon governo di quanto enunciato da questa Corte Suprema in materia, -B) sempre in base ad una corretta interpretazione della predetta sentenza deve ritenersi che la Corte di merito abbia valutato (implicitamente) l’espressione “… si limitò a chiedere tempo …” come una mera interpretazione del teste (dunque di per sè del tutto irrilevante) del significato della risposta ed in particolare delle parole “ci vediamo” (nel senso che, secondo il testimone, con queste parole, il B. manifestò l’intenzione di chiedere tempo); e pertanto correttamente detto Giudice si e dedicato alla valutazione non della soggettiva interpretazione del C., ma solo delle uniche specifiche parole effettivamente e concretamente attribuite dal teste stesso alla controparte (“… ci vediamo …”); -C) la valutazione da parte della Corte di merito di quest’ultima espressione si basa su un significato affermato come valido in linea generale nella lingua italiana, anche a prescindere dal dialetto siciliano (si consideri in particolare la parola “… specialmente …”, fa quale indica chiaramente che l’intero rilievo “… specialmente nell’uso dialettale siciliano …” è stato esposto solo come ulteriore argomentazione, meramente rafforzativa – con specifico riferimento a dialetto siciliano – di una tesi già compiutamente esposta in via generale con riferimento alla lingua italiana), quindi l’asserita erronea applicazione del concetto di notorio è in realtà priva di base anzitutto in quanto la censura concerne non la basilare ratio decidendi sul punto, ma solo una argomentazione ulteriore (e non necessaria per sorreggere la motivazione); comunque anche con riferimento a detta argomentazione ulteriore concernente tale dialetto siciliano i vizi denunciati non sussistono.

Non rimane dunque che respingere il ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come esposto nel seguente dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 8.000,00 (ottomila Euro) per onorario oltre Euro 200,00 (duecento Euro) per spese vive ed oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2010

 

 

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