Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11950 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. III, 19/06/2020, (ud. 28/02/2020, dep. 19/06/2020), n.11950

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27998/2019 proposto da:

A.S., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIACINTO

CORACE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistentie con atto di costituzione –

avverso il decreto RG 24271/18 del TRIBUNALE di MILANO, depositata il

24/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/02/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il signor A.S., cittadino (OMISSIS), impugnava la decisione di diniego della commissione Territoriale di riconoscimento della protezione internazionale sede di (OMISSIS) che non aveva riconosciuto nessuna delle tre forme di protezione richieste per mancanza di credibilità delle vicende narrate. Con Decreto di rigetto n. 6785/2019, del 24 agosto 2019 il Tribunale di Milano confermava la tesi della Commissione territoriale di Milano evidenziando che: il racconto del ricorrente si caratterizza per la sinteticità, vaghezza e genericità. A.S. aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio paese d’origine perchè aveva partecipato ad un servizio giornalistico insieme ad altri due suoi colleghi giornalisti, per il giornale per cui lavorava, relativo alla sparizione di alcune donne e bambini e che tale inchiesta aveva infastitido il Ministro H. del Partito (OMISSIS).

Sul presupposto della non credibilità delle circostanze narrate, la mancanza di fondati rischi di condanna a morte o trattamento degradante derivante da una violenza generalizzata e la condizione di vulnerabilità, il Tribunale di Milano respingeva oltre il riconoscimento dello status di rifugiato anche le domande di protezione sussidiaria e umanitaria.

2. Ricorre avverso detta pronuncia il signor A.S. con 3 motivi di ricorso. Il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione al fine di partecipare all’eventuale udienza pubblica di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

che

3.1. Con il primo motivo di ricorso proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente deduce violazione di legge del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6,7 e D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU, nonchè omesso esame di fatti decisivi e assenza di motivazione, nonchè violazione dei parametri normativi relativi agli atti di persecuzione e minacce subite nel proprio paese di origine. Il giudice del merito avrebbe errato perchè ha omesso di svolgere qualsivoglia adempimento istruttorio al fine di tentare di chiarire i dubbi di cedibilità che la commissione territoriale ha sollevato e che il ricorrente ha puntualmente contestato in sede di ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

3.2. Con il secondo motivo proposto il ricorrente deduce la violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente fissati nel D.Lgs n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. C), in violazione degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale. Omesso esame di fatti decisivi; Violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 Cedu. Violazione dei parametri normativi per la definizione di un danno grave. Violazione di legge in riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione Edu, all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ed all’art. 46 della direttiva Europea n. 2013/32.

Il ricorrente ritiene che la sentenza impugnata sarebbe errata nella parte in cui prevede che se le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibile e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso pur in assenza di prove, i fatti narrati potranno essere considerati veritieri.

Il tribunale omette qualsiasi collaborazione per reperire i riscontri delle allegazioni con violazione dei parametri normativi sull’onere della prova attenuato.

3.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione e/o falsa applicazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 e art. 10, comma 3, motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione umanitaria e alla valutazione di assenza di specifica vulnerabilità; omesso esame di fatti decisivi circa della sussistenza dei requisiti di quest’ultima. Violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 4, 7, 14, 16, 17; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10,32; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; art. 10 Cost.. Omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione ai presupposti della protezione umanitaria; mancanza, o quantomeno, apparenza della motivazione e la nullità della sentenza per violazione di varie disposizioni artt. 112,132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2, art. 111 Cost., comma 6.

La sentenza impugnata sarebbe errata nella parte in cui respinge la domanda del ricorrente affermando che la situazione personale globalmente valutata non evidenzia uno stabile inserimento nella realtà socio lavorativa, nè in generale un apprezzabile livello di integrazione, il che porta a ritenere non sussistenti i requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Il giudice del merito avrebbe dovuto valutare che il ricorrente è stabilmente inserito nel nostro paese con un regolare contratto di lavoro, abita autonomamente in un appartamento sito in (OMISSIS) riesce ad esprimersi in italiano tant’è che alla domanda formulata dal giudice ha risposto in italiano.

4. I primi tre motivi, congiuntamente esaminabili, sono inammissibili. Il Tribunale ha ritenuto il richiedente asilo inattendibile.

La valutazione di (non) credibilità del ricorrente appare, difatti, rispettosa tout court dei criteri di Cass. 8820/2020, essendo stata puntualmente condotta alla luce della necessaria disamina complessiva dell’intera vicenda riferita dal richiedente asilo, che lo ha visto, secondo quanto da lui dettagliatamente esposto, contraddire ripetutamente e irrimediabilmente se stesso, a far data dalle dichiarazioni rese in sede di audizione. Infatti il giudice del merito ha ritenuto che il ricorrente non sia stato in grado di indicare fondate e documentate ragioni che gli impedirebbero di fare rientro nel suo paese (cfr. decreto impugnato pag. 3, 4, 5, 6).

L’analisi, analitica e approfondita, di tutti gli elementi del racconto compiuta dal giudice di merito ne sottraggono la relativa motivazione alle censure mosse da parte ricorrente.

Conforme a diritto risulta per altro verso la pronuncia impugnata sotto il profilo del dovere di cooperazione del giudice che ha ritenuto che in Pakistan, sulla base delle fonti aggiornate consultate, non si rilevano conflittualità tali da giustificare la concessione di della protezione sussidiaria non essendo presente una violenza indiscriminata e diffusa sul territorio d’interesse.

Parimenti infondato è il terzo motivo con cui il ricorrente censura il provvedimento impugnato nella parte in cui ha rigettato la sua domanda di protezione umanitaria, senza tenere conto del percorso di integrazione da lui intrapreso nel nostro Paese;

Questa Corte, infatti, ha già ripetutamente affermato che il permesso di soggiorno per motivi umanitari è una misura residuale ed atipica, che può essere accordata solo a coloro che, se facessero ritorno nel Paese di origine, si troverebbero in una situazione di vulnerabilità strettamente connessa al proprio vissuto personale. Se così non fosse, il permesso di soggiorno per motivi umanitari, misura “personalizzata” e concreta, finirebbe per essere accordato non già sulla base delle specificità del caso concreto, ma sulla base delle condizioni generali del Paese d’origine del richiedente, in termini del tutto generali ed astratti, ed in violazione della ratio e della lettera della legge (Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298-01).

Per quanto attiene, infine, alla deduzione dell’avvenuto inserimento lavorativo nel nostro Paese del richiedente, tale circostanza è da sola giuridicamente insufficiente ai fini del giudizio di comparazione per la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in assenza di una situazione di vulnerabilità che, per quanto detto, deve dipendere dal rischio di subire nel Paese d’origine una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (che nel caso di specie è stata solo genericamente dedotta), condizione che non può ravvisarsi nel mero rischio di regressione a condizioni economiche meno favorevoli.

Il Giudice del merito ha effettuato il giudizio di comparazione per valutare i fattori soggettivi ed oggettivi di vulnerabilità e li ha ritenuti inesistenti. Tale giudizio di fatto è insindacabile in questa sede.

5. In ogni caso nulla impedisce che al ricorrente, ove dovessero mutare le condizioni di sicurezza del suo paese, di rinnovare la domanda di protezione.

6. Non è luogo a provvedere sulle spese, atteso che l’intimata ha depositato solo un atto di costituzione per la partecipazione all’eventuale pubblica udienza.

la circostanza che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), in virtù della prenotazione a debito prevista dal combinato disposto di cui agli artt. 11 e 131 del decreto sopra ricordato (Sez. 6-3, Ordinanza n. 9538 del 12/04/2017, Rv. 643826-01), salvo che la suddetta ammissione non sia stata ancora, o venisse in seguito, revocata dal giudice a ciò competente.

P.Q.M.

(-) rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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