Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11949 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. III, 19/06/2020, (ud. 28/02/2020, dep. 19/06/2020), n.11949

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27996/2019 proposto da:

J.A.S., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIACINTO CORACE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempere,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso il decreto RG 22747/18 del TRIBUNALE di MILANO, depositata il

24/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/02/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il signor J.A.S., cittadino (OMISSIS), impugnava la decisione di diniego della commissione Territoriale di riconoscimento della protezione internazionale sede di (OMISSIS), adottata con verbale del 22 marzo 2018 e notificato in data 10 aprile 2018 che non aveva riconosciuto nessuna delle tre forme di protezione richieste per mancanza di credibilità delle vicende narrate.

Con Decreto di rigetto n. 6718/2019, del 24 agosto 2019, il Tribunale di Milano confermava la tesi della Commissione territoriale di Milano evidenziando che il racconto risultava assai generico e contraddittorio. In particolare non appariva plausibile che il ricorrente di 31 anni lasciasse il negozio di stoffe dove lavorava per sottrarsi alle minacce del padre che lo aveva minacciato dopo la morte della madre. Inoltre, non appariva plausibile che non fossero coinvolti altri eredi. Secondo il Tribunale anche il suo ritorno in Nigeria fra il (OMISSIS) lascierebbe presupporre che egli non temesse di trovarsi in pericolo.

Sul presupposto della non credibilità delle circostanze narrate, la mancanza di fondati rischi di condanna a morte o trattamento degradante derivante da una violenza generalizzata e la condizione di vulnerabilità, il Tribunale di Milano respingeva anche le domande di protezione sussidiaria e umanitaria.

2. Ricorre avverso detta pronuncia il signor J.A.S. con 4 motivi di ricorso.

Il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione al fine di partecipare all’eventuale udienza pubblica di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3.1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente fissate dal D.Lgs. n. 251 del 2007. Il Tribunale non avrebbe compiuto alcun esame sulle informazioni provenienti dal richiedente stesso e sulla situazione generale in Nigeria e, soprattutto, nelle aree da esso su indicate da eseguirsi mediante la puntuale osservanza degli obblighi di cooperazione istruttorie incombenti sull’autorità giurisdizionale.

3.2. Con il secondo motivo proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU, nonchè omesso esame di fatti decisivi. Il Tribunale avrebbe errato perchè respingendo la domanda di protezione internazionale del ricorrente ha affermato che il racconto del ricorrente vagliato secondo i canoni della credibilità intrinseca ed estrinseca è rimasto del tutto sfornito di prova.

3.3. Con il terzo motivo ex art. 360, comma 1, n. 3 – lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 8, 9, 10, 11, come introdotto dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito con modificazioni nella L. 13 aprile 2017, n. 46, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Censura il ricorrente la decisione del Tribunale di Milano per aver disatteso il dato normativo che prevede la obbligatorietà della fissazione dell’udienza di comparizione delle parti nel caso di indisponibilità della video registrazione dell’audizione del richiedente asilo davanti la Commissione territoriale di Milano per il riconoscimento della Protezione Internazionale.

3.4. Con il quarto motivo il ricorrente, con cui lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 17 e art. 14, lett. C), ritiene che il Tribunale di Milano avrebbe errato perchè pur prendendo in considerazione quale fonte principale di informazione sulla regione di origine del ricorrente l’ultimo report EASO del 2017 non ha considerato la presenza di violenza, omettendo di valutare anche l’esistenza di un conflitto armato fra le forze governative e altri movimenti secessionisti.

I primi quattro motivi, congiuntamente esaminabili, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

La valutazione di (non) credibilità del ricorrente appare, difatti, rispettosa tout court dei criteri di Cass. 8820/2020, essendo stata puntualmente condotta alla luce della necessaria disamina complessiva dell’intera vicenda riferita dal richiedente asilo, che lo ha visto, secondo quanto da lui dettagliatamente esposto, contraddire ripetutamente e irrimediabilmente se stesso, a far data dalle dichiarazioni rese in sede di audizione. Infatti il giudice del merito ha ritenuto che il ricorrente non sia stato in grado di indicare fondate e documentate ragioni che gli impedirebbero di fare rientro nel suo paese (cfr. decreto impugnato pag. 5, 6 e 7).

L’analisi, analitica e approfondita, di tutti gli elementi del racconto compiuta dal giudice di merito ne sottraggono la relativa motivazione alle censure mosse da parte ricorrente.

Conforme a diritto risulta per altro verso la pronuncia impugnata sotto il profilo del dovere di cooperazione del giudice che ha ritenuto che in Nigeria, sulla base delle fonti aggiornate consultate, non si rilevano conflittualità tali da giustificare la concessione della protezione sussidiaria non essendo presente una violenza indiscriminata e diffusa sul territorio d’interesse.

Il terzo motivo con cui il ricorrente lamenta di non essere stato ascoltato dal Tribunale nel corso dell’udienza di trattazione è anche inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto il ricorrente non precisa nè se abbia formulato dinanzi al Tribunale una istanza in tal senso, nè donde risulti tale circostanza, nè quali dichiarazioni aggiuntive e rilevanti egli avrebbe inteso compiere dinanzi al Tribunale; il quarto motivo è infondato;

il Tribunale, come già sopra detto, ha dato ampiamente conto delle fonti dalle quali ha tratto le proprie conclusioni circa la insussistenza, nel Paese di provenienza del ricorrente, delle condizioni legittimanti la sua richiesta di protezione, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 17 e 14;

3.5. Parimenti infondato è il quinto motivo con cui il ricorrente censura il provvedimento impugnato nella parte in cui ha rigettato la sua domanda di protezione umanitaria, senza tenere conto del percorso di integrazione da lui intrapreso nel nostro Paese.

Questa Corte, infatti, ha già ripetutamente affermato che il permesso di soggiorno per motivi umanitari è una misura residuale ed atipica, che può essere accordata solo a coloro che, se facessero ritorno nel Paese di origine, si troverebbero in una situazione di vulnerabilità strettamente connessa al proprio vissuto personale. Se così non fosse, il permesso di soggiorno per motivi umanitari, misura “personalizzata” e concreta, finirebbe per essere accordato non già sulla base delle specificità del caso concreto, ma sulla base delle condizioni generali del Paese d’origine del richiedente, in termini del tutto generali ed astratti, ed in violazione della ratio e della lettera della legge (Sez. 1-, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298-01).

Per quanto attiene, infine, alla deduzione dell’avvenuto inserimento lavorativo nel nostro Paese del richiedente, tale circostanza è da sola giuridicamente insufficiente ai fini del giudizio di comparazione per la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in assenza di una situazione di vulnerabilità che, per quanto detto, deve dipendere dal rischio di subire nel Paese d’origine una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (che nel caso di specie è stata solo genericamente dedotta), condizione che non può ravvisarsi nel mero rischio di regressione a condizioni economiche meno favorevoli.

Il Giudice del merito ha effettuato il giudizio di comparazione per valutare i fattori soggettivi ed oggettivi di vulnerabilità e li ha ritenuti inesistenti (cfr. pag. 10 decreto impugnato). Tale giudizio di fatto è insindacabile in questa sede.

4. Non è luogo a provvedere sulle spese, atteso che l’intimata ha depositato solo un atto di costituzione per la partecipazione all’eventuale pubblica udienza.

La circostanza che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), in virtù della prenotazione a debito prevista dal combinato disposto di cui agli artt. 11 e 131 del decreto sopra ricordato (Sez. 6-3, Ordinanza n. 9538 del 12/04/2017, Rv. 643826-01), salvo che la suddetta ammissione non sia stata ancora, o venisse in seguito, revocata dal giudice a ciò competente.

P.Q.M.

(-) rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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