Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11946 del 19/06/2020

Cassazione civile sez. III, 19/06/2020, (ud. 28/02/2020, dep. 19/06/2020), n.11946

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27737/2019 proposto da:

S.S., domiciliato ex lege in ROMA presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIACINTO CORACE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso il decreto RG 15056/18 del TRIBUNALE di MILANO, depositata il

28/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/02/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il signor S.S., cittadino del (OMISSIS), impugnava la decisione di diniego della commissione Territoriale di riconoscimento della protezione internazionale sede di (OMISSIS), che non aveva riconosciuto nessuna delle tre forme di protezione richieste per mancanza di credibilità delle vicende narrate.

Con Decreto di rigetto n. 6498/2019, il Tribunale di Milano confermava la tesi della Commissione territoriale di Milano.

Il giudice del merito ha osservato che il ricorrente pone a fondamento della domanda di protezione la sua condizione di cittadino del Gambia esposto, in quanto figlio di un importante attivista dell'(OMISSIS), al rischio di doversi difendere da gente del suo paese di cui non si fida, nonostante l’intervenuto mutamento della situazione politica, e al pericolo di poter essere perseguitato da parte di coloro che appoggiano ancora il vecchio regime e il deposto presidente J.. Il Tribunale ha ritenuto di non dubitare delle dichiarazioni del ricorrente relative alla provenienza, ma ha ritenuto non credibile l’affermazione sull’assenza di un’effettiva stabilizzazione del Gambia a causa della presenza sul territorio di forze legate al passato regime che inciterebbero la popolazione a rivoltarsi contro il governo B.. Pertanto, non è stato superato il principale rilievo mosso al ricorrente dalla stessa commissione territoriale e condiviso da Tribunale in punto di attualità del pericolo.

2. Ricorre avverso detta pronuncia il signor S.S. con 3 motivi di ricorso. Il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione al fine di partecipare all’eventuale udienza pubblica di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3.1. Con il primo motivo di ricorso proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente lamenta che il tribunale di Milano avrebbe errato nel valutare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, in quanto pur ritenendo credibili le dichiarazioni del ricorrente dopo aver rilevato il cambiamento politico avvenuto in Gambia ha omesso di valutare la sussistenza del pericolo di subire persecuzioni per mano dei sostenitori della presidente J. ancora presenti in Gambia ed ha, inoltre, omesso di verificare la possibilità che il ricorrente possa ottenere adeguata ed efficace tutela da parte dell’istituzioni nazionali.

3.2. Con il secondo motivo proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente si duole che il Tribunale di Milano avrebbe errato nel valutare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, perchè avrebbe violato i precisi parametri espressi dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, non avendo compiuto alcun esame della situazione oggettiva del paese di provenienza e non avendo indicato le fonti in base alle quali ha accertato le eseguibilità del rimpatrio in sicurezza e nel rispetto dei diritti umani ritenuti inviolabili come disposto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19.

3.3. Con il terzo motivo ex art. 360, comma 1, n. 3, il ricorrente censura la decisione del Tribunale di Milano per aver escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria perchè ha ritenuto irrilevante la situazione personale del ricorrente ed in particolare la posizione lavorativa, i corsi di formazione seguiti e in generale la condizione personale dello stesso richiamando erroneamente il D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 22.

4.1. I tre motivi congiuntamente esaminati sono infondati.

La valutazione di (non) credibilità del ricorrente appare, difatti, rispettosa tout court dei criteri di Cass. 8820/2020, essendo stata puntualmente condotta alla luce della necessaria disamina complessiva dell’intera vicenda riferita dal richiedente asilo, che lo ha visto, secondo quanto da lui dettagliatamente esposto, contraddire ripetutamente e irrimediabilmente se stesso, a far data dalle dichiarazioni rese in sede di audizione. Infatti il giudice del merito ha ritenuto che il ricorrente non sia stato in grado di indicare fondate e documentate ragioni che gli impedirebbero di fare rientro nel suo paese (cfr. decreto impugnato pag. 5, 6 e 7).

L’analisi, analitica e approfondita, di tutti gli elementi del racconto compiuta dal giudice di merito ne sottraggono la relativa motivazione alle censure mosse da parte ricorrente.

Conforme a diritto risulta per altro verso la pronuncia impugnata sotto il profilo del dovere di cooperazione del giudice che ha ritenuto che nel Gambia, sulla base delle fonti aggiornate consultate, non si rilevano conflittualità tali da giustificare la concessione di della protezione sussidiaria non essendo presente una violenza indiscriminata e diffusa sul territorio d’interesse.

Nel caso di specie, il Giudice del merito con motivazione ampia e scevra da vizi logico giuridici ha ritenuto non credibile e/o incongruente la versione della ricorrente.

Anche per quanto riguarda il secondo e terzo motivo non può che ribadirsi l’infondatezza. Innanzitutto per mancanza di allegazioni sulla condizione di vulnerabilità della richiedente.

Questa Corte, infatti, ha già ripetutamente affermato che il permesso di soggiorno per motivi umanitari è una misura residuale ed atipica, che può essere accordata solo a coloro che, se facessero ritorno nel Paese di origine, si troverebbero in una situazione di vulnerabilità strettamente connessa al proprio vissuto personale. Se così non fosse, il permesso di soggiorno per motivi umanitari, misura “personalizzata” e concreta, finirebbe per essere accordato non già sulla base delle specificità del caso concreto, ma sulla base delle condizioni generali del Paese d’origine del richiedente, in termini del tutto generali ed astratti, ed in violazione della ratio e della lettera della legge (Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298-01).

Per quanto attiene, infine, alla deduzione dell’avvenuto inserimento per le attività svolte nel nostro Paese del richiedente, tale circostanza è da sola giuridicamente insufficiente ai fini del giudizio di comparazione per la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in assenza di una situazione di vulnerabilità che, per quanto detto, deve dipendere dal rischio di subire nel Paese d’origine una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (che nel caso di specie è stata solo genericamente dedotta), condizione che non può ravvisarsi nel mero rischio di regressione a condizioni economiche meno favorevoli.

Il Giudice del merito ha effettuato il giudizio di comparazione per valutare i fattori soggettivi ed oggettivi di vulnerabilità e li ha ritenuti inesistenti (cfr. pagg. 11, 12 e 13 decreto impugnato). Tale giudizio di fatto è insindacabile in questa sede.

5. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio dell’amministrazione; la circostanza che la ricorrente sia stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), in virtù della prenotazione a debito prevista dal combinato disposto di cui agli artt. 11 e 131 del Decreto sopra ricordato (Sez. 6-3, Ordinanza n. 9538 del 12/04/2017, Rv. 643826-01), salvo che la suddetta ammissione non sia stata ancora, o venisse in seguito, revocata dal giudice a ciò competente.

P.Q.M.

(-) rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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