Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11936 del 10/06/2016


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Cassazione civile sez. trib., 10/06/2016, (ud. 08/02/2016, dep. 10/06/2016), n.11936

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20966-2013 proposto da:

VALDONI SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA E.Q. VISCONTI

99, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BATTISTA CONTE, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati DONATELLI SAMUELE,

ANGELO VOZZA giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA SUD SPA, – EQUITALIA PRAGMA SPA in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE

AFRICA 40, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA SORDINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIANFRANCO CHIARELLI giusta

delega a margine;

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 110/2012 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

TARANTO, depositata il 22/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/02/2016 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato CONTE che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato URBANI NERI che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

Valdoni s.r.l. in liquidazione ricorre nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e di Equitalia Pragma s.p.a. (che resistono con controricorso) per la cassazione della sentenza n. 110/28/2012 con la quale, in controversia concernente impugnazione di cartella di pagamento per Irpeg e Irap relative all’anno di imposta 2003, la CTR della Puglia ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso della contribuente ritenendo, per quanto ancora di rilievo, che la notifica del prodromico avviso di accertamento alla società fosse da ritenersi validamente effettuata a norma dell’art. 145 c.p.c., essendo risultata chiusa la sede della società ed irreperibile l’amministratore della suddetta.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

Col primo motivo, deducendo vizio di motivazione per erronea valutazione delle risultanze probatorie relative all’esistenza della sede societaria, la società ricorrente premesso che il messo notificatore, essendosi recato presso la sede sociale e avendo rinvenuto il capannone “non in uso e comunque chiuso” si era recato presso il legale rappresentante della società nel relativo domicilio siccome indicato nell’atto, e, non avendo in tale luogo rinvenuto “alcuna porta” a nome del suddetto legale rappresentante nè essendo risultati nel Comune altro domicilio ovvero abitazioni o uffici del medesimo, aveva proceduto col rito degli irreperibili ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1), lett. e) – si duole del fatto che i giudici d’appello abbiano ritenuto legittima la notifica effettuata a norma della disposizione sopra richiamata nonostante nella relata si leggesse che la sede della società era “chiusa” e non “abbandonata da sempre”, come invece affermato nella sentenza impugnata, e non abbiano considerato sia che dalla visura della Camera di commercio di Taranto risultava che la sede dalla società era nel territorio del suddetto Comune sia che la cartella di pagamento oggetto del presente giudizio era stata regolarmente notificata al suddetto indirizzo.

Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 140 e 145 c.p.c. nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1), lett. e), la ricorrente si duole del fatto che il messo notificatore abbia proceduto alla notifica ai sensi del citato art. 60 -prevista per il solo caso in cui nel Comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi sia abitazione, ufficio o azienda del contribuente- e non ai sensi dell’art. 140 c.p.c., pur senza aver dato atto nella relata della inesistenza di abitazione, ufficio o azienda della società contribuente nel Comune ove doveva eseguirsi la notificazione.

La censure, da esaminare congiuntamente perchè logicamente connesse, sono infondate e, in particolare, la censura di vizio di motivazione è infondata per mancanza di decisività dei fatti in ordine ai quali il ricorrente lamenta l’insufficienza di motivazione.

Invero, a norma dell’art. 145 c.p.c., comma 1, (nel testo, anteriore alla modifica introdotta dalla L. n. 263 del 2005, applicabile nella specie ratione temporis) la notificazione alle persone giuridiche si esegue “nella loro sede mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa”, mentre il terzo comma dell’articolo in esame prevede che “se la notificazione non può essere eseguita a norma dei commi precedenti e nell’atto è indicata la persona fisica che rappresenta l’ente, si osservano le disposizioni degli artt. 138, 139 e 141 c.p.c.”.

Da quanto sopra esposto emerge con assoluta chiarezza l’irrilevanza della circostanza che la sede della società oltre ad essere chiusa fosse anche abbandonata da tempo o che dalla visura presso la Camera di Commercio risultasse indicato quell’indirizzo come sede della società o anche che a quell’indirizzo sia stata successivamente notificata la cartella opposta in questa sede: la relata di notifica dà atto che all’indirizzo è stato rinvenuto un capannone “non in uso e comunque chiuso”, e tanto è sufficiente per ritenere che a quell’indirizzo non si potesse effettuare la notifica “mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa” e che quindi, secondo il successivo comma 3, non potendo la notificazione “essere eseguita a norma dei commi precedenti”, ed essendo evidentemente indicata nell’ano la persona fisica che rappresenta l’ente, andavano osservate “le disposizioni degli artt. 138, 139 e 141 c.p.c.”, cioè la notifica andava fatta al suddetto rappresentante a mani proprie ovunque si trovi (art. 138 c.p.c.), ovvero presso la residenza, la dimora o il domicilio (art. 139 c.p.c.) oppure presso il domiciliatario, senza necessità di alcuna ricerca per verificare se la società avesse o meno una sede nel Comune, essendo doveroso procedere alla notifica a norma dell’art. 145 c.p.c., comma 3 cit. ogni volta che non sia possibile consegnare copia dell’atto “al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa”.

Non ricorrendo le condizioni di cui agli artt. 138 e 141 c.p.c., la notifica alla rappresentante della società nella specie è stata tentata ai sensi dell’art. 139 c.p.c., tuttavia, come evidenziato dal medesimo ricorrente nella esposizione delle censure in esame, il messo ha dato atto che non era possibile effettuare la notifica perchè all’indirizzo della legale rappresentante non c’era alcuna porta a suo nome, precisando che la medesima risultava “sloggiata” (pur senza indicare, come sottolinea il ricorrente, la fonte dell’informazione) e aggiungendo che da una ricerca presso l’Anagrafe del Comune di Taranto la medesima risultava ancora domiciliata nell’indirizzo dove era stata tentata la notifica, ma non risultava avere nell’ambito del Comune (altra) abitazione, ufficio o azienda.

E’ perciò la stessa società ricorrente a riconoscere che il notificatore fece verifiche presso l’Anagrafe comunale per accertare se la legale rappresentante avesse nel Comune abitazione, ufficio o azienda, risultando però solo l’indirizzo presso il quale non era stata rinvenuta un’abitazione a suo nome e dal quale risultava “sloggiata”.

Correttamente pertanto il notificatore ha provveduto alla notifica ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e) (cioè mediante deposito dell’atto presso la Casa Comunale e affissione dell’avviso all’Albo Pretorio del Comune), non essendo nella specie applicabile l’art. 140 c.p.c. in quanto la legale rappresentante non risultava (più) abitare nell’indirizzo in cui era stata cercata e quindi non poteva trattarsi di una assenza precaria, essendo peraltro appena il caso di aggiungere che neppure sarebbero stati possibili nella specie gli adempimenti previsti per la diversa procedura di cui all’art. 140 c.p.c., e in particolare l’affissione dell’avviso del deposito presso la Casa Comunale, da effettuarsi sulla porta dell’abitazione del destinatario, avendo il notificatore, in relata non oggetto di querela di falso, affermato di non aver rinvenuto a quell’indirizzo alcuna abitazione del destinatario.

Quanto sopra esposto trova conferma nella giurisprudenza di questo giudice di legittimità, la quale, con riguardo alla normativa applicabile ratione temporis, ha avuto modo di precisare che: gli atti tributari devono essere notificati al contribuente persona giuridica presso la sede della stessa, entro l’ambito del domicilio fiscale, secondo la disciplina dell’art. 145 c.p.c., comma 1; qualora tale modalità risulti impossibile, si applica l’art. 145 c.p.c., successivo comma 3, e la notifica dovrà essere eseguita ai sensi degli artt. 138, 139 e 141 c.p.c., alla persona fisica che rappresenta l’ente; in caso d’impossibilità di procedere anche secondo questa modalità, la notifica dovrà essere eseguita secondo le forme dell’art. 140 c.p.c., ma se l’abitazione, l’ufficio o l’azienda del contribuente non si trovino nel comune del domicilio fiscale, la notifica dovrà effettuarsi ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), e si perfezionerà nell’ottavo giorno successivo a quello dell’affissione del prescritto avviso di deposito nell’albo del Comune (cfr. tra le altre cass. n. 15856 del 2009).

Il ricorso deve essere pertanto respinto. Le spese seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte respinge il ricorso e condanna la società soccombente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2016

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